Covid-19, possiamo prevedere il decorso dell’infezione con un test?
Articolo del 18 Marzo 2021
Prendiamo un test per il coronavirus, uno di quelli che più o meno tutti abbiamo fatto nel corso dell’ultimo anno. Cosa ci dice? Se abbiamo contratto il virus oppure no, non molto di più. Se siamo positivi asintomatici, non dice se ci ammaleremo e in che forma, né se e quanto possiamo essere contagiosi per gli altri. Ma queste sono informazioni importanti sia per gli esperti che cercano di dominare la curva epidemiologica sia per la nostra salute, per poter gestire al meglio il nostro percorso terapeutico.
Scoprire la carica virale di un paziente e prevedere il decorso dell’infezione potrebbero essere più semplici e veloci nel prossimo futuro di quel che si possa credere. I ricercatori del Ceinge di Napoli, infatti, hanno trovato dei potenziali biomarcatori, rilevabili attraverso specifici kit.
Un test per la carica virale
Il team di Ettore Capoluongo e Massimo Zollo ha sviluppato un metodo per rintracciare, in un millilitro di materiale biologico prelevato tramite tampone, alcune molecole spia della carica virale. Queste molecole si chiamano sgN e sgE e sono dei piccoli RNA, indici della capacità del virus di replicarsi. In particolare sgN sembra associato a una maggiore carica virale e quindi infettività, per cui la sua rilevazione permetterebbe di identificare un’infezione attiva, quindi potenzialmente più trasmissibile.
“Il test molecolare, che rileva i subgenomici sgN e sgE, è stato coperto da brevetto”, ha dichiarato Mariano Giustino, amministratore delegato del Ceinge, “e abbiamo già avviato contatti per la produzione di un kit per applicazioni cliniche”.
Un test per prevedere il decorso della Covid-19
I ricercatori del Ceinge di Napoli sono stati protagonisti anche di un’altra scoperta: il profilo dei lipidi (grassi) cellulari, nello specifico dei ceramidi, correla con quello delle citochine pro-infiammatorie nel sangue dei pazienti. In altre parole, ha spiegato Margherita Ruoppolo, che ha partecipato allo studio, “una particolare classe di ceramidi endogeni (18 atomi di carbonio) ha livelli molto più alti nei pazienti affetti da una forma severa di patologia da coronavirus”. I lipidi dell’ospite, si legge nell’articolo pubblicato su Scientific Reports, giocano un ruolo importante nel ciclo vitale del virus, sia nel processo di infezione sia in quelli di replicazione e propagazione virale. Per questo possono aiutare a seguire, anzi a prevedere l’evoluzione della malattia. Inoltre, ha aggiunto Ruoppolo, “è possibile pensare di utilizzare tali marcatori per valutare l’efficacia del trattamento terapeutico dell’infezione da coronavirus in pazienti affetti a una forma grave”. L’idea del nuovo test per le varie applicazioni cliniche è stata depositata: “siamo in attesa del brevetto definitivo”, ha concluso Giustino.
Fonte: Galileo