Mancano gli insetti impollinatori e il calo dei semi prodotti dai fiori selvatici arriva fino al 50%, mettendo a rischio la sopravvivenza degli stessi fiori e della biodiversità dei nostri panorami. Lo dice uno studio protrattosi per diverso tempo condotto all’Università di Pisa e appena pubblicato sulla rivista Acta Oecologica. I ricercatori definiscono questo fenomeno come “depressione da consanguineità”: in altre parole le piante e i fiori selvatici “malsopportano” il proprio polline e per produrre semi prediligono invece quello proveniente da altri fiori della spessa specie portato appunto dagli insetti impollinatori come api, bombi o farfalle. La ricerca ha richiesto dieci anni di studi preliminari (osservazioni su flora ed impollinatori, raccolta semi, ecologia di germinazione delle specie raccolte) e due anni di sperimentazione effettiva.

“I risultati hanno evidenziato che alcune specie soffrono marcatamente già dopo una prima generazione della mancata impollinazione da parte degli insetti pronubi – spiega Stefano Benvenuti, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali – Questo vale in particolare per quei fiori che nell’evoluzione hanno consolidato stretti rapporti mutualisti “specializzati” e di reciproca dipendenza con determinati impollinatori, conformando la propria corolla alla forma ed alle dimensioni di certi impollinatori”.

L’eccesso di antropizzazione, unitamente ai cambiamenti climatici in corso – aggiunge Benvenuti – “penalizzano proprio quei fiori selvatici che sono i principali attori nel determinare l’impatto estetico-paesaggistico degli ambienti rurali.

Fiori come speronella, fiordaliso, gittaione, garofanino selvatico o e nigella svolgono una “silenziosa terapia del benessere” mediante i proprio sgargianti colori durante le rispettive dinamiche di fioritura.

La progressiva antropizzazione del territorio che priva di spazi ecologici gli impollinatori, unitamente a una gestione agronomica estremamente “semplificata”, rischiano di determinare una sorta di progressivo “abbruttimento” dei paesaggi rurali rendendoli sempre più poveri di quella componente cromatica che noi percepiamo come ‘bellezza'”.

 

Fonte: La Repubblica

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