Nel 2050 l’umanità produrrà 3,4 miliardi di tonnellate all’anno di rifiuti urbani. La spazzatura aumenterà con velocità doppia rispetto alla popolazione e per raccoglierla serviranno macchine intelligenti. Che vanno progettate oggi.
Ogni anno, nel mondo, l’uomo e le sue attività generano 2,01 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Il 33% di questa montagna globale di rifiuti, calcola la Banca Mondiale, non è gestito in modo sicuro dal punto di vista ambientale.
Non solo. Come molti fenomeni umani, anche i rifiuti urbani generano disuguaglianze. Sempre la Banca Mondiale ha dimostrato, dati alla mano, che tutti producono rifiuti, ma solo i paesi a reddito “medio-alto” e “alto” possono contare su sistemi di raccolta quasi universali. Nei paesi a basso reddito, solo il 48% dei rifiuti prodotti viene poi raccolto, e solo nelle città: se ci si allontana dalle aree urbane, la percentuale di rifiuti raccolta cala drasticamente e si ferma al 26%.
Un pianeta diviso
Visto dalla spazzatura, il mondo è diviso in due. Sebbene rappresentino solo il 16% della popolazione mondiale, i Paesi ad alto reddito generano circa il 34% dei rifiuti mondiali, pari a 683 milioni di tonnellate. Sul fronte raccolta le cose non cambiano: da una parte c’è l’Africa subsahariana, che riesce a raccogliere solo il 44% dei rifiuti che produce, dall’altra Europa, Asia centrale e Nord America, dove la raccolta supera il 90% del totale.
Produrre rifiuti è facile. Raccoglierli e trattarli in modo sostenibile, non lo è affatto. Guardando al futuro, poi, le cose possono solo farsi più complesse. Gli esperti prevedono che i rifiuti urbani prodotti nel mondo aumenteranno fino a toccare quota 3,4 miliardi di tonnellate all’anno entro il 2050, correndo a un tasso di crescita più che doppio rispetto a quello che registrerà la popolazione del pianeta nello stesso periodo.
Per ritrovare slancio e ottimismo dobbiamo guardare indietro, più che avanti. Indietro di almeno 30 anni.
Il salto del rifiuto
Siamo in Europa. Secondo le statistiche elaborate Eurostat, nel 2019 il 48% dei rifiuti urbani prodotti è stato riciclato (attraverso il riciclo delle materie prime o il compostaggio). Questa quota era al 19% nel 1995. Sempre facendo riferimento al 2019, il dato disponibile più recente, Eurostat certifica che gli abitanti delle aree urbane dell’Europa a 27 hanno generato 502 kg di rifiuti pro-capite, contro il 467 kg del 1995 (+7,5%). Con 499 kg di rifiuti urbani pro-capite nel 2019, l’Italia risulta in linea con la media Europea.
Nel 2018, l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 il traguardo del 60% di rifiuti riciclati a livello comunitario. Previsto anche un obiettivo intermedio del 55% entro il 2025. Per carta e cartone si punta a riciclare l’85% entro il 2030 e il 75% entro il 2025. Per la plastica l’obiettivo è di arrivare al 60% di materiale riciclato entro il 2030. Target ambiziosi e oggi a rischio: nel 2018, i tecnici di Bruxelles non potevano prevedere l’arrivo del Covid-19.
L’intelligenza artificiale pulisce le città
Ma proseguiamo nella ricerca di segnali positivi, che a livello locale non mancano. Ad Amsterdam, per esempio, si sfrutta l’intelligenza artificiale per migliorare la raccolta dei rifiuti. Il team AI City ha sviluppato l’Urban object detection kit: installato su mezzi municipali, usa un algoritmo intelligente dotato di visione artificiale per identificare i rifiuti presenti sulle strade.
L’applicazione mappa automaticamente gli oggetti sospetti. Una volta identificata la spazzatura, condivide l’informazione con la società che si occupa della gestione dei rifiuti, comunicando la posizione dell’oggetto e la tipologia, con anche una percentuale che indica il grado di “certezza” che l’algoritmo assegna alla sua segnalazione.
Capita così che il sistema avvisi sulla presenza di un divano abbandonato o di un mobile lasciato dal suo ex proprietario in un “punto cieco” della città. Ma anche scritte sui muri o sacchi di spazzatura lontani dai cassonetti di raccolta. Urban object detection kit – che è anche capace di apprendere automaticamente dai propri errori, imparando a riconoscere i rifiuti man mano che presta servizio – ha vinto il 2021 Go smart award, premio dedicato alle soluzioni più promettenti per le città del futuro.
L’Urban object detection kit di Amsterdam
In Austria invece è stato avviato un progetto di ricerca nazionale, chiamato “AI-Waste”, che punta a ottimizzare l’intero processo di raccolta e trattamento dei rifiuti, di nuovo, servendosi di tecniche di intelligenza artificiale. L’obiettivo è aumentare di almeno il 10% la quota di spazzatura riciclata a livello nazionale. Vi lavorano il Know-Center è l’Institute for Machine Vision and Display dell’Università di Graz.
L’Intelligenza artificiale è utilizzata anche a valle del sistema di raccolta, ovvero nel processo di trattamento e smistamento dei rifiuti. A Londra, la società Greyparrot ha messo a punto un software di visione computerizzata dotato di intelligenza artificiale per aumentare l’automazione nella fase di smistamento. Applicato a un braccio snodato, il software dà vita a un robot capace di differenziare i rifiuti.
Cassonetti vuoti in 69 secondi
Anche l’Italia fa la sua parte per innovare la filiera dei rifiuti. Esa è un’azienda della provincia di Reggio Emilia fondata nel 1966 che si occupa di tecnologie per l’ambiente. Nel 2020 ha fatturato 20 milioni di euro ed è stata finalista al “Premio italiano meccatronica”. La società ha 85 dipendenti. Quest’anno, in piena pandemia, ha inaugurato un nuovo stabilimento di 27mila metri quadrati. La sua divisione Waste, dedicata a sistemi hi-tech per la raccolta rifiuti, quest’anno raddoppierà il fatturato, così come era accaduto nel 2020, l’anno del Covid.
Il merito è della piattaforma 2AS (Two Automatic System), adottata da numerose città italiane. E’ un sistema integrato per la raccolta dei rifiuti urbani composto da cassonetti connessi sparsi per la città, camion-robot che li “agganciano” e li svuotano in un ciclo che dura solo 69 secondi e senza che l’autista scenda dal mezzo.
L’interfaccia uomo-macchina del camion per la raccolta è dotato di visione artificiale – di derivazione automotive – e software in grado di programmare il percorso: combinando Gps, sensori e Internet delle cose (Iot), il sistema disegna il percorso facendosi guidare dalla posizione dei cassonetti più pieni (che tramite sensori inviano informazioni sul loro stato). Risultato: il camion va prima e solo dove ci sono rifiuti da ritirare.
Sistemi hi-tech vs raccolta porta a porta
Grazie a innovazioni come quelle il sistema 2AS, molte città hanno riconsiderare l’opzione che sfrutta cassonetti posizionati nei quartieri, rispetto alla tecnica di raccolta porta a porta. Con l’informatizzazione dei nuovi sistemi, la quota di raccolta differenziata non ne risente, anzi. Sfruttando i cassonetti connessi di Esa, il comune di Orbetello, per esempio, è passato dal 18% al 60% di raccolta differenziata in un solo anno. Altre esperienze descrivono una media di differenziata intorno all’80% raggiungibile in tre anni. A patto di affidarsi a sistemi di raccolta rifiuti di ultima generazione.
Uno studio condotto nel giugno 2020 dal Politecnico di Bari sulla città di Altamura, ha confermato però che la sfida della gestione dei rifiuti in città si vince anche – e ancora – con il metodo porta a porta. Lo studio ha potuto verificare che nella cittadina che sorge nell’area metropolitana di Bari, un centro di quasi 70mila abitanti, il sistema della raccolta porta a porta introdotto nel giugno 2018 e implementato nel mese di settembre dello stesso anno ha dato risultati incoraggianti. In meno di due mesi, la percentuale di rifiuti riciclabili raccolti come frazioni separate utilizzando specifici contenitori è passata dal 25 al 70%.
Il Covid e la pandemia della plastica
Tutto bene? Più o meno. L’emergenza Covid non ha risparmiato il settore della raccolta dei rifiuti. A livello locale, le società di raccolta hanno dovuto ridisegnare in tempo reale i servizi forniti introducendo misure di sicurezza per i lavoratori e comunicando nuove procedure agli utenti finali.
Ma è sul piano macro che l’emergenza lascerà i segni più profondi, gli effetti collaterali di lungo periodo. E’ chiaro da mesi, ormai. Il primo luglio 2020, il World Economic Forum ha lanciato l’allarme con un articolo dal titolo diretto: “La pandemia da plastica può solo peggiorare durante l’emergenza Covid-19”. Il testo trattava il tema della plastica monouso e quello della proliferazione dei rifiuti di plastica durante la pandemia. Mentre un accurato studio a firma “The Bureau of International Recycling” ha stimato che gli stop prolungati agli impianti imposti dall’emergenza sanitaria nel 2020 e – in misura ridotta ma non annullata – nel 2021, potrebbero portare quest’anno a un calo del 40% nella produzione dell’industria mondiale del riciclo.