Città che vai, microbi che trovi
Articolo del 08 Luglio 2021
Ogni città ha un proprio microbioma. Lo afferma uno studio che, analizzando campioni da 60 centri urbani, ha rivelato anche l’esistenza di migliaia di specie di microorganismi finora sconosciute. Questi dati potrebbero aiutare a rilevare i focolai di infezioni, ma anche a studiare la prevalenza di microbi resistenti agli antibiotici.
L’aria e le superfici di un ambiente urbano ospitano un gran numero di batteri, virus e archea. Ma la composizione di questo microbioma ambientale non è sempre la stessa, anzi: porta impressa una “firma” caratteristica per ogni città. Lo rivela uno studio pubblicato su “Cell” dai ricercatori della University of Maryland School of Medicine (UMSOM) guidati da Christopher Mason. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 60 città di tutto il mondo, prelevati nel corso di tre anni precedenti alla pandemia di COVID-19, in quello che rappresenta attualmente il primo catalogo mondiale sistematico dell’ecosistema microbico urbano.
Le aree urbane sono da sempre un ambiente di grande interesse per i microbiologi, fin da quando è emerso che in tali contesti le persone nelle città interagiscono con i microbi in modi che possono essere notevolmente diversi rispetto alle aree rurali. I patogeni presenti negli ambienti con una forte antropizzazione sono stati indicati come possibili fonti di contagi e gli studi mostrano che alcune sindromi, prime fra tutte quelle legate alle allergie, sono associate alla crescente urbanizzazione.
Il lavoro del gruppo di Mason in questo campo è iniziato nel 2013, con un primo studio che prevedeva la raccolta e l’analisi di campioni nella metropolitana di New York. La scelta era dovuta al fatto che le aree di transito urbane sono il luogo in cui milioni di persone vengono quotidianamente in contatto reciproco, esponendo i microrganismi commensali che vivono nel nostro organismo al contatto con i microrganismi che vivono nell’ambiente.
La pubblicazione di quei risultati preliminari aveva suscitato un grande interesse da parte dei ricercatori di tutto il mondo che avrebbero voluto effettuare studi simili nelle loro città. Mason e colleghi hanno perciò elaborato un protocollo standardizzato di raccolta dei campioni, divulgato grazie a un video didattico su YouTube.
Gli autori hanno così potuto raccogliere 4728 contributi di tutti i continenti, che sono stati poi caratterizzati dal punto di vista genomico grazie alle risorse di calcolo del supercomputer XSEDE (Extreme Science and Engineering Discovery Environment) di Pittsburgh, negli Stati Uniti. L’analisi ha portato alla scoperta di 10.928 virus e 748 batteri che non erano presenti in alcuna banca dati di riferimento, e con una composizione delle diverse specie in gran parte caratteristica di ogni sito di raccolta.
“Ogni città ha la sua ‘eco molecolare’ dei microbi che la definiscono”, ha spiegato Mason. “Se analizzassi la scarpa di una persona, potrei prevedere la città del mondo da cui proviene con un’accuratezza del 90 per cento circa.”
Esiste però anche un piccolo insieme comune a quasi tutti i siti di raccolta: si tratta di 31 specie che ricorrono nel 97 per cento dei campioni di tutte le città considerate.
Complessivamente, lo studio riporta l’attenzione su un aspetto spesso trascurato: l’enorme diversità microbica, in gran parte sconosciuta, presente sulla Terra.
“Ci sono milioni di specie sulla Terra, ma attualmente abbiamo un riferimento genomico completo e solido solo per 100.000-200.000 di esse”, ha sottolineato Mason. La scoperta di nuove specie può perciò aiutare a determinare le correlazioni tra le diverse specie e delineare così alberi filogenetici più precisi nel campo della microbiologia, evidenziando anche i processi evolutivi.
Un risvolto molto più pratico riguarda la salute pubblica: una conoscenza più completa delle specie microbiche urbane permetterebbe in linea di principio di rilevare focolai di infezioni, nonché di studiare la prevalenza di microbi resistenti agli antibiotici in diversi ambienti.
Il prossimo passo è verificare come la pandemia ha influito sull’impronta del microbioma nelle città. “È una buona domanda – ha detto Schriml – e stiamo affrontando questo nella ricerca di follow–up“. Ed è anche previsto un progetto per le Olimpiadi di Tokyo 2021.