Esprimersi per sopravvivere
Articolo del 11 Luglio 2021
La genesi delle malattie avviene sul piano neurologico e solo dopo si manifesta nel corpo secondo quanto sostiene il Dott. Fabio Ghigi.
Ho sempre pensato che tutte le malattie derivino da una nostra incapacità di risposta comportamentale: talvolta ci blocchiamo, non sappiamo come reagire di fronte a eventi spiacevoli e tutta l’energia che si sarebbe dovuta incanalare nella risposta all’esterno, viene invece in realtà spostata sull’organo di competenza. Ogni malattia che noi vediamo come medici (talvolta anche come pazienti) e che tu sperimenti, caro lettore, come paziente è il risultato di una somatizzazione. La mancata espressione di una parola o di un gesto.
L’urlo di dolore che non viene espresso e soffoca dentro, il mal di pancia generato dall’incomprensione, il bruciore di stomaco per una frase che si è dovuta mandare giù e non lo si voleva fare. Se ricevo uno schiaffo (reale o virtuale che sia) e reagisco mollando a mia volta un sonoro ceffone non faccio somatizzazione, non c’è il tempo, non c’è nemmeno il motivo, tutto si è risolto nell’ambito di pochi gesti. Se mi trovo in difficoltà e la cosa mi ha profondamente turbato, ma non so come reagire, anzi, non reagisco proprio, perché mi trovo in uno stato di estrema incertezza sul da farsi, saranno i miei organi e le mie strutture a prendersi in carico il problema e reagiranno al posto mio. Il mio disappunto si tramuta in tensione e si internalizza.
Tutta la nostra vita relazionale è dominata dal sistema nervoso. Egli coordina ogni gesto della nostra vita, chi dobbiamo accarezzare o baciare, chi dobbiamo attaccare e colpire, da chi dobbiamo fuggire o cosa vogliamo mangiare. I comandi biochimici che arrivano dal corpo non sono nulla se non c’è un sistema effettore che porta poi all’azione. Una qualunque sbalzo glicemia conduce alla ricerca di cibo solo perché stimola centri nervosi, i quali a loro volta forzano il corpo alla
ricerca del cibo. Tutto è modulato e coordinato da un sistema nervoso che si è evoluto nel tempo e che è deputato, con tutto il resto del corpo, alla nostra sopravvivenza. Il sistema nervoso dell’uomo e la grande evoluzione della sua massa cranica hanno creato qualcosa di più di quello che si può vedere negli animali, con tutto il rispetto per il gorilla, di cui parleremo.
L’analisi del comportamento animale per comprendere le malattie dell’uomo
Mi è capitato di mostrare durante i miei seminari un breve spezzone di un filmato della lotta fra due grizzly. È stato possibile notare una certa aggressività nel comportamento dei due animali ma guardando le loro espressioni (i loro musi) abbiamo potuto notare che la disputa rappresenta puramente una lotta per il dominio del territorio o per la predominanza su di una femmina. Non vi è acredine nei loro gesti, non vi è rabbia nelle loro espressioni vocali, è esclusivamente presente la necessità di conquistare un territorio che è ciò di più puro e primigenio si possa vedere nel mondo della natura. Semplicemente vince il più forte, il più degno di tramandare i suoi geni.
Questo è quello che rappresenta per me la semplicità o forse meglio dire la linearità del mondo animale, quello selvatico ovviamente. Un mondo forse crudo, estremamente realistico, tuttavia inequivocabile. Queste caratteristiche devono forzatamente trasparire anche nella semplicità delle patologie degli animali selvatici. Essi devono avere manifestazioni patologiche semplici puramente legate al loro stile di vita: difficile pensare che possano sviluppare situazioni complesse sul piano della salute. Semplice e genuina la loro vita, semplici e lineari devono essere le loro malattie.
Quindi siamo ben lontani dalla complessità dei quadri patologici del genere umano.
Noi uomini sviluppiamo malattie sfiancanti, complesse e croniche, che rappresentano in pieno la difficoltà del nostro stile di vita e si riflettono nella profondità
e nella macchinazione delle nostre patologie. Quindi molta mente, molte emozioni, uno stato complesso dal punto di vista della realtà, devono per forza corrispondere a malattie complesse e profondamente nascoste e radicate.
Un altro fulgido esempio di realtà selvatica si può trovare nella vita dei gorilla. Recentemente mi è capitato tra le mani proprio uno studio di una giornata tipo di un gorilla. Allo stato selvatico la giornata tipo di un gorilla è fatta di: una spettacolare dormita notturna, golosi spuntini e rilassanti pisolini. Stop. Un gorilla dorme quindi tantissimo, nove o dieci ore per notte, poi passa tutto il resto della giornata a ingozzarsi fra un pisolino e l’altro.
Ogni tanto qualche urlo e schiamazzo giusto per stabilire le gerarchie e far valere la propria superiorità. E l’attività fisica? Un essere umano per mantenersi in buona salute e tenere basso il rischio cardiovascolare dovrebbe fare i famosi diecimila passi tutti i giorni. Sapete quanti ne fa un gorilla? Intorno ai cinquemilacinquecento al giorno, cioè la metà di un umano che vuole stare in salute. Gli studi sugli scimpanzè confermano che questi primati hanno il colesterolo naturalmente alto ma restano sani con bassi livelli di attività fisica anche in cattività e le loro arterie non si ostruiscono né si otturano. Rarissimo il diabete e la pressione non si alza con l’età. Con tutto ciò la massa magra del gorilla è prossima all’80%: un vero record, eguagliato solo da atleti superallenati. Da questa analisi, ecco il primo ASSUNTO:
Tutto ciò che non appartiene al mondo animale, tutte le patologie che non esistono negli animali allo stato selvaggio devono per forza appartenere ad altri livelli d’integrazione. Gli animali i n natura godono di uno stato di salute molto buono, non soffrono di molte delle malattie che invece hanno gli umani. Quello che principalmente differenzia gli umani dagli animali è lo stato di coscienza. Possiamo affermare con una certa dose di sicurezza che per molti versi siano proprio le alterazioni dello stato di coscienza a generare i comandi biochimici che portano alle reattività degli organi. Mi spiego meglio. Se prendiamo come esempio il diabete ci accorgeremo che raramente, se non mai, gli animali ne soffrono: quindi il diabete deve appartenere a un livello integrativo superiore e di conseguenza ad un modello neurologico/comportamentale che parte dal sistema nervoso e che esprime la sua azione sul livello fisico. Sul pancreas, nel caso del diabete. Quindi
il pancreas soffre il diabete, non lo genera: è la vittima di uno stato alterato di cose.
Gli animali, almeno quelli che vivono allo stato selvatico, godono generalmente di un’ottima salute e non presentano di solito malattie cronico-degenerative come obesità, diabete, ipertensione, osteoporosi, artrosi ecc. L’ipertensione in natura è un modello che difficilmente si rinviene e quindi deve appartenere a un altro modello integrativo superiore, di tipo neurologico/comportamentale.
Il colesterolo elevato non esiste in natura come fattore patogeno, alcuni animali hanno alti livelli di colesterolemia ma non depositano placche sulle arterie. L’obesità in natura non esiste, una vacca o un elefante non sono obesi, sono semplicemente una vacca e un elefante ed hanno il peso o la massa che gli competono! Per me ormai è chiaro che le cause di tutte queste disfunzioni di tipo cronico devono per forza essere cercate sui livelli emotivo-comportamentali. Esse, le malattie croniche, hanno origine sul piano emotivo ma si sviluppano sul piano fisico ed è lì che noi le troviamo e sul piano fisico, talvolta erroneamente, pensiamo di curarle. Vi invito a fare una riflessione: gli unici animali che possono diventare obesi sono quelli che vivono a contatto con gli umani quindi gli animali da compagnia. Non hanno comunque alcuna percezione di poco conforto dal fatto di essere obesi: non si vedrà mai un cane depresso perché obeso, sarà semplicemente un simpatico Fido, un po’ pienotto. Mentre è opinione comune dei veterinari ‒ chiedete conferma ‒ che gli animali vivendo a stretto contatto e praticamente alle dipendenze dei loro
padroni ne assorbano gli umori e le patologie.
Non è dunque un caso che l’adorato cane di Aldo abbia, tra le varie patologie, un adenoma prostatico che guarda caso è ciò di cui soffre il suo padrone. Laura che ha problemi di tiroide è affezionata padrona di un cane con la stessa problematica. Il ragionamento di fondo è che il mondo dei sentimenti e delle emozioni non appartiene direttamente al mondo animale, almeno nell’accezione della complessità dei sentimenti e delle emozioni a cui noi siamo abituati a pensare nei termini di
attività della corteccia cerebrale e altre complesse attività integrative di alto livello.
L’obesità, ad esempio, si manifesta nel mondo metabolico (soma): noi ne vediamo gli effetti su un corpo che ingrassa. Non è tipica però del mondo
animale: quindi se non esiste negli animali allo stato selvatico deve appartenere al mondo delle emozioni superiori (neuro) riferite alla socialità complessa, tipicamente umana. In stretta correlazione con tutte le incertezze e paure delle nostre intricate società. Da qui l’esigenza di studiare per ogni singola patologia, che non è presente copiosamente in natura, il comportamento/stato emotivo dominante ‒ oserei dire esclusivo ‒ che appartiene a quella determinata patologia.
La Medicina Osservazionale
Ho aderito al concetto di medicina osservazionale ovvero quella che osserva le persone, analizza come vivono e come si muovono per trarne dei magnifici riferimenti clinici. Tutti noi dovremmo mettere in discussione ciò che abbiamo appreso per migliorarlo e non per denigrarlo. Conquistare una posizione di forza personale, diventare davvero credibili. Molti terapeuti fanno istintivamente questo percorso ed iniziano il lungo e profittevole cammino di osservazione del loro paziente. Facciamo un esempio concreto. Parliamo di persone in sovrappeso, anche forte sovrappeso: Carlo, 150 kg di peso, ex olimpionico, praticamente un armadio. Vi è la diffusa convinzione che le persone in sovrappeso debbano soffrire di dolori osteoarticolari, convinzione diffusa anche in ambito medico. Quante volte mi è capitato di sentire eminenti colleghi ortopedici dire ai loro pazienti in sovrappeso che il problema delle ginocchia o della schiena poteva essere legato al peso e quindi il consiglio
era di mettersi rapidamente a dieta. Scatenando tra l’altro una conflittualità non da poco nel malcapitato, il quale magari di diete ne aveva fin sopra i capelli. In questo caso, il paziente di 150 kg preso come esempio non manifesta dolore, come dolori non li hanno molti altri pazienti in sovrappeso e come invece sull’altro versante molti pazienti magri mi riferiscono importanti disturbi osteoarticolari. E quindi? Tutto dipende dai rapporti fra le masse: chi ha un buon equilibrio fra massa magra e massa grassa difficilmente ha dolori, anche se è molto pesante. Chi non ha un buon equilibrio fra le due masse pur essendo normopeso o sottopeso registra spesso dolori osteoarticolari: anche a parità d’impegno fisico.
Chiariamo, per i non addetti ai lavori, cosa s’intende per massa magra e massa grassa. La massa magra è rappresentata da tutto ciò che non è grasso e comprende: gli organi (quindi un cuore e un rene sono massa magra), comprende le ossa, i tendini, i muscoli (in pratica tutto ciò che va a definire il cosiddetto metabolismo basale, il consumo dell’organismo a riposo). La massa grassa è tutto il resto e comprende il grasso di deposito e di rivestimento che deve comunque esserci, pena gravi problemi di salute, e il sistema nervoso centrale e periferico. Esistono dei range di valori percentuali entro i quali possiamo stare in salute e dei valori nel rapporto fra massa magra e massa grassa che ci confermano che stiamo uscendo dalla salute: un buon rapporto fra le due masse ha di per sé caratteristiche antinfiammatorie.
Osservare le persone, non farsi pregiudizi: la fame, l’appetito hanno la stessa valenza nei magri e nelle persone sovrappeso.
Una persona in sovrappeso ha fame tanto quanto una persona normopeso, le caratteristiche non cambiano, casomai possono cambiare le quantità dei cibi introdotti e questo si può capire. Un’automobile di grosse dimensioni, un SUV tanto per intenderci, dovrà avere un motore e un serbatoio adatto alle dimensioni e ai consumi.
Se una persona magra denuncia di avere un buon appetito viene guardato con approvazione: è magro, vuol dire che sa trattenersi e mangia solo il giusto. Non è sempre così, conosco come voi persone magre che non si trattengono, sono fortunati metabolicamente perché non ingrassano, e molto spesso non sono per nulla ordinati con l’alimentazione.
Semplicemente e con grande naturalezza mangiano ciò che vogliono senza pensarci.
Se una persona in sovrappeso afferma di avere fame la si guarda con commiserazione: “poveretto, non sa controllarsi, chissà adesso come si abbuffa”. Esistono certamente i crapuloni, gli oziosi e i pigri ma sono rappresentati in egual misura in entrambe le categorie.
Osservando le persone con attenzione sono arrivato a questa conclusione: i soggetti in sovrappeso sono in realtà degli iperattivi. Sia mentalmente sia fisicamente, spesso soggetti ansiosi, costantemente in movimento forse perché sempre alla ricerca di cibo, o meglio di gratificazione. Mentre invece il soggetto in sovrappeso è
comunemente giudicato un incapace nell’autocontrollo, una persona senza carattere.
Possiamo notare esattamente il contrario nel momento in cui queste persone si mettono a dieta; devono dimostrare una motivazione inossidabile.
Dopo un po’ la situazione s’inquina, il peso aumenta e si fatica a fare attività fisica e talvolta si perde il mordente, si può giungere a diventare demotivati, non certamente pigri. Ed il peso con la conseguente massa grassa tendono ad aumentare.
Carola di professione è assistente bagnante in piscina e pratica tutti i sacrosanti giorni una bella ora di nuoto, è perennemente a dieta e con
sguardo spaesato mi domanda come possa essere da sempre in sovrappeso. Anche il sovrappeso, condizione cui abbiamo accennato, è certamente una somatizzazione. Guadagnando chili possiamo avere un “certo peso nella società” oppure essere più visibili, arrotondarci per fare il “puntaspilli” o mettere ciccia per difenderci o per arrotondare forme troppo spigolose o ancora per creare un magazzino per il periodo delle “vacche magre”. Ovvero stiamo somatizzando.
In pratica: tutte le volte che noi non riusciamo a operare una risposta in termini di verbalizzazione del contenuto del nostro disagio oppure non attiviamo
una risposta di tipo motorio rispetto a uno stress (quando cioè ci sentiamo incarcerati e impotenti) ecco che in queste situazioni l’unica strategia che abbiamo
è quella di sviluppare una risposta biologica a guida ormonale diretta verso l’interno del corpo. È una tecnica di “spostamento della nevrosi” che ci consente, nelle situazioni croniche, di attivare delle risposte che potremmo definire biochimiche SOSTITUTIVE. Se ricevo un insulto e rispondo con un insulto, se ricevo
uno schiaffo e rispondo con uno schiaffo, ebbene in questi casi non ci sarà con buona probabilità somatizzazione perché l’intensità della risposta è stata proporzionale all’intensità dell’offesa. È un po’ un’estremizzazione ma ci serve come modello didattico. Se invece ricevo un insulto, resto a bocca aperta e non so come reagire svilupperò una piccola o grande risposta di somatizzazione.
Immaginate quando l’insulto o il dispiacere si ripetono giorno dopo giorno e settimana dopo settimana. Situazioni che possiamo sperimentare quotidianamente: come dopo una mattinata molto stressante in cui abbiamo dovuto digerire situazioni o fatti o parole molto pesanti.
Ecco perché quando abbiamo una contrarietà, una disputa, qualcosa che non abbiamo mandato giù, potremmo avere come risposta di somatizzazione dei gonfiori gastrointestinali oppure un reflusso gastroesofageo, un attacco di mal di testa o un problema alla porzione cervicale della colonna.
Come evitare la somatizzazione ovvero come desomatizzare
Per affrontare al meglio le sfide alla salute che questo ragionamento ci propone ho sviluppato egli ultimi undici anni un modello terapeutico basato sull’utilizzo di elementi naturali, che aiuta l’organismo a eliminare tossine fisiche e atteggiamenti comportamentali tossici.
Questo sistema di benessere, ideato e costruito grazie alla mia esperienza in campo terapeutico, è basato sull’uso ragionato di prodotti naturali specifici che ho valutato ed assemblato in lunghi anni di prove cliniche. Fortunatamente lungo il cammino ho avuto modo di incontrare molti colleghi che si sono appassionati al concetto a me caro della desomatizzazione ed hanno voluto condividere con me le loro esperienze. Il gruppo di lavoro sta crescendo e con lui l’entusiasmo per un nuovo modello di cura.
Azione/Reazione
Immaginiamo una scena in cui sono coinvolti, nel traffico di una grande città, due automobilisti usciti entrambi di casa per raggiungere il posto di lavoro, circa una ventina di minuti prima.
Nel giro di venti minuti, essendo quello l’orario di punta, essi hanno dovuto evitare passanti incauti, schivare ciclisti disattenti, evitare di urtare gli specchietti delle auto parcheggiate all’interno delle strette vie dei centri cittadini, e aggiungiamo un altro elemento di stress, hanno appena dovuto chiudere una telefonata piuttosto burrascosa con un familiare. Immaginate quindi il loro livello di tensione emotiva che non trova immediato sfogo in gesti muscolari che possano dissipare la tensione: muoversi, correre, gesticolare, ridere, urlare, parlare sono tutti modi attraverso i quali scarichiamo lo stress e sono tutti gesti che implicano l’attività di gruppi muscolari. Tant’è che ci piace pensare che “i muscoli siano emozioni in movimento”.
Bene, all’ennesimo incrocio Franco, uno dei due autisti, non rispetta una precedenza e per un vero colpo di fortuna non succede un bell’incidente con Sergio, l’altro automobilista della nostra storia. I due autisti scendono inferociti dalle loro vetture, costernati anche dal fatto che questo intoppo sta creando un
ulteriore inatteso ritardo nella già difficile programmazione giornaliera.
Può nascere dunque un diverbio che prevede vari e differenti sviluppi: i due potrebbero semplicemente guardarsi in cagnesco, bofonchiare alcune parole di scusa o di animosità oppure potrebbero essere francamente aggressivi fino ad arrivare a una vera e propria colluttazione.
Immaginate che, a questo punto, giunga su questa scena di scaramuccia in corso, un uomo delle forze dell’ordine che in maniera molto autorevole ingiunga a queste due persone di compiere due giri di corsa dell’isolato, per poi tornare sul posto.
Immaginate che queste due persone (non credo possa succedere nel mondo reale) pur lamentandosi e restando sorpresi, aderiscano all’invito. Abbiamo detto due giri di corsa, non una camminata lenta brontolando e lamentandosi del ritardo.
Pensate che al ritorno dopo questi fatidici giri di corsa queste due persone siano ancora così profondamente arrabbiate una contro l’altra?
Oppure pensate come me che possano avere almeno parzialmente smaltito i fumi dell’arrabbiatura? E che quindi siano più inclini a un gesto di benevolenza o a porgere, oppure accettare, delle scuse.
Cosa è successo? Ecco la spiegazione: la corsa fatta ha comunicato al cervello antico (quello animale) di Franco e Sergio che è stata loro concessa la possibilità di una fuga, fittizia e limitata quanto volete e tuttavia pur sempre una fuga, a cui si aggiunge la riduzione della preoccupazione per l’essere sfuggiti ad uno scontro fisico con
probabili conseguenze disastrose. Mentre corrono intorno all’isolato, i due autisti aumentano l’ossigenazione globale, spostano il sangue verso la periferia del corpo e sciolgono la tensione che si era creata nei muscoli pronti alla lotta fra di loro poco prima che provvidenzialmente arrivasse l’agente delle forze dell’ordine.
Semplice no? Al ritorno i due contendenti non avranno più intenzioni così bellicose perché hanno sciolto le tensioni. Con buona probabilità non somatizzeranno questo episodio e il loro intestino non avrà bisogno di liberarsi così violentemente all’arrivo in ufficio, le loro pance non saranno gonfie di contrarietà per mezza
giornata e le loro schiene non soffriranno del carico di rabbia accumulata dato che la tensione è stata completamente dissipata.
In questo caso, quello della corsa anti-stress intorno all’isolato, dovremmo assistere a poca somatizzazione residua.
A volte purtroppo, grazie alle continue fonti di pressione cui siamo sottoposti, questi sistemi di scarico emotivo non sono più sufficienti a sciogliere le tensioni accumulate. La somatizzazione domina imperterrita procurandoci una discreta quantità di guai e tanto lavoro da fare.