Alzheimer, un’altra tegola sulla (prima e unica) terapia
Articolo del 20 Luglio 2021
Un’approvazione contestata e discussa. Tre grandi ospedali americani che rifiutano di usarla. La Fda sotto accusa. Storia di un farmaco e del business che c’è dietro.
Le critiche sono arrivate subito. Poi è stata la volta dei sospetti, delle rivelazioni scottanti. E infine, a poco più di un mese – il 7 giugno – dall’approvazione del primo farmaco anti-Alzheimer che promette di rallentare la progressione della malattia, è la stessa Fda (l’agenzia del farmaco americana) a capitolare: qualcosa di poco chiaro sembra accaduto realmente, ed è il caso di avviare un’indagine federale per appurare se qualcuno ai piani alti dell’agenzia ha giocato sporco. Il farmaco in questione è l’Aducanumab (nome commerciale Aduhelm) un anticorpo monoclonale sviluppato dalla biotech americana Biogen e indirizzato contro le placche di proteina betamiloide, ritenute una possibile causa dell’Alzheimer.
Un medicinale dal prezzo stellare, circa 56mila dollari all’anno, con prove di efficacia molto dubbie e importanti effetti collaterali. Al centro di aspre controversie per via di un processo di approvazione poco trasparente, che ha già fatto decidere a tre importanti gruppi ospedalieri americani come la Cleveland Clinic, il Mount Sinai di New York e il Providence Health & Services di Renton (Washington) di non somministrare il farmaco nelle proprie strutture, in attesa dei risultati delle indagini.
Il nuovo, parziale, passo indietro della Fda arriva in seguito ad un’inchiesta realizzata dal magazine online Stat, che ha denunciato una serie di presunti contatti illeciti tra l’azienda produttrice e alcuni funzionari di primo piano dell’agenzia nel corso del processo di approvazione dell’Aducanumab. Sospetti che arrivano in un momento in cui l’Fda è alle prese con un calo di popolarità in seguito alla gestione dell’era Trump, e che, probabilmente per questo, hanno spinto l’attuale direttrice facente funzioni, Janet Woodcock, a richiedere pubblicamente un’indagine sulla vicenda da parte dell’ispettorato generale del dipartimento della Salute e dei Servizi Umani del governo federale americano, la massima carica responsabile di verificare illeciti nella sanità a stelle e strisce.
Le accuse mosse dall’inchiesta di Stat, d’altronde, sono piuttosto gravi. E vanno ad inserirsi in una vicenda già controversa e ricca di colpi di scena, iniziata a marzo del 2019 quando il farmaco, in sviluppo già da più di un decennio, era in fase di studio all’interno di due ampie sperimentazioni cliniche di fase 3, la più avanzata, che solitamente prelude alla richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio.
Nonostante l’entusiasmo della Biogen, infatti, i dati raccolti si dimostrarono estremamente deludenti, tanto da convincere anche l’azienda che il farmaco non mostrava alcuna efficacia nel contrastare il declino cognitivo, spingendo alla sospensione anticipata delle sperimentazioni.
Aducanumab sembrava dunque sul punto di entrare nella lunga lista di farmaci anti Alzheimer abbandonati a un passo dal traguardo. Poi, a ottobre, cambia tutto: Biogen annuncia di aver presentato la richiesta di approvazione del farmaco, con il supporto della stessa Fda. Nuovo colpo di scena, quindi, motivato da una nuova analisi dei dati che avrebbe mostrato una certa efficacia dell’Aducanumab a dosi elevate in uno dei due trial, e un possibile effetto all’interno di una sotto-popolazione di pazienti nell’altro.
Prove ritenute da più parti assolutamente insufficienti per autorizzare l’immissione in commercio di un farmaco costosissimo (attualmente un anno di terapia costa 56mila dollari a paziente) e funestato da importanti effetti collaterali, tanto che la commissione di esperti indipendenti chiamata ad esprimersi sull’approvazione dall’Fda vota compatta (8 contro 1) per rifiutare la richiesta di Biogen.
Sette mesi, e si torna all’ennesimo colpo di scena: l’Fda approva l’Aducanumab per tutta la popolazione di malati di Alzheimer, un’indicazione terapeutica (ridimensionata solo negli scorsi giorni) persino più ampia di quella immaginata dall’azienda, che prevedeva un utilizzo solamente nei pazienti con forme di declino cognitivo lieve. La decisione viene accolta da pesanti critiche, e ben 3 membri della commissione indipendente che aveva bocciato il farmaco decidono di dimettersi.
Come si è arrivati a questa conclusione? Stando all’inchiesta di Stat tutto si gioca nei sei mesi tra la sospensione dei trial, a marzo 2019, e l’annuncio della richiesta della ripresa della procedura di approvazione, a ottobre. È in quel lasso di tempo infatti che, stando alle indiscrezioni raccolte dall’inchiesta, la dirigenza della Biogen lancia un progetto segreto, nome in codice “Project Onyx” (progetto onice), con l’obiettivo di portare dalla propria parte i vertici dell’Fda, e spianare la strada alla commercializzazione dell’Aducanumab.
Stando alle testimonianze raccolte dai giornalisti di Stat il progetto si concretizza nel maggio del 2019, quando Al Sandrock, uno dei dirigenti scientifici della Biogen, avrebbe incontrato privatamente, e in segreto, Billy Dunn, il direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Fda, per mostrargli i nuovi dati, e cercare di convincerlo dell’efficacia del farmaco. Non è dato sapere cosa si siano detti, perché, contrariamente alle regole dell’Fda, l’incontro non viene registrato, ma secondo le fonti raggiunte da Stat dopo appena un mese l’ufficio di Dunn propone alla Biogen, informalmente, di utilizzare una procedura di approvazione accelerata (accelerated approval) per portare sul mercato il farmaco in tempi rapidi, e in assenza di dati solidi di efficacia. È esattamente quanto poi accaduto realmente, anche se la versione ufficiale dell’Fda ha una timeline molto diversa: secondo l’agenzia la proposta sarebbe arrivata a marzo di quest’anno, ben due anni dopo quanto ricostruito da Stat.
Il sospetto, ovviamente, è che in quei due anni tra l’azienda e l’Fda vi siano stati contatti e trattative irregolari, e che la decisione di approvare il farmaco contro il parere del comitato di esperti chiamato ad esprimersi sul caso sia quindi l’epilogo di una storia che poco ha a che fare con la salute, e molto con il mondo degli affari. L’Aducanumab d’altronde ha tutte le carte in regola per diventare uno dei prossimi blockbuster farmaceutici, con un prezzo per paziente che raggiunge i 56mila dollari l’anno, e una platea di potenziali utilizzatori che si aggira tra il milione e mezzo e i sei milioni di pazienti, solamente negli Stati Uniti.
Per quanto riguarda l’Europa, Biogen ha già sottoposto all’Ema (agenzia del farmaco europea) la richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio all’interno del territorio Ue, e bisognerà attendere i prossimi mesi per scoprire se la nostra agenzia si allineerà, o meno, alle scelte dell’Fda. Se, come auspicato, l’ispettorato generale del dipartimento della Salute e dei Servizi Umani americano deciderà di svolgere un’indagine su quanto accaduto negli Usa, i risultati potrebbero quindi essere preziosi anche dalle nostre parti. Anche perché con una platea di pazienti che in Italia si aggira attorno a quota 100mila, e un prezzo che, se pur probabilmente inferiore a quello pagato dai pazienti americani, rimarrà certamente molto alto, il rischio di un salasso per il nostro Sistema sanitario nazionale, già ampiamente provato dall’attuale pandemia, è estremamente concreto.
Fonte: Repubblica