L’elettricità con cui abbiamo ricaricato il nostro smartphone, lo stoccaggio virtuale dei dati nei server, le materie prime utilizzate per produrre i dispositivi tecnologici che utilizziamo quotidianamente sono tutti fattori che contribuiscono a calcolare l’impronta ecologica delle nostre azioni digitali. Certo, le cose sono cambiate moltissimo da quando la posta era soltanto cartacea e ci si impensieriva soprattutto del disboscamento necessario per produrre grandi quantità di carta: oggi le preoccupazioni sono diverse, ma non per questo comunicare è un’attività priva di impatto ambientale, come qualsiasi attività umana.
I numeri della tecnologia nel mondo
Secondo uno studio francese dell’Agence de la Trasition Ecologique dal titolo “La face cachée du numérique”, ossia “Il volto nascosto del digitale”, le azioni digitali come inviare brevi messaggi o mandare una mail, ma anche utilizzare i motori di ricerca, commentare un post su Facebook o scrivere un tweet, non sono prive di impatto ambientale. Questo studio propone una conclusione apparentemente controintuitiva: più la nostra comunicazione si dematerializza, più usiamo dispositivi (che vanni costruiti, spesso con materiali preziosi e con filiere lunghe) ed energia per alimentarli. Lo studio prevede inoltre un aumento del numero di dispositivi come computer, smartphone e tablet da qui ai prossimi quattro anni, così come, conseguentemente, un aumento dell’impatto ambientale globale del digitale.
Ancora ignoto è invece l’impatto dei lockdown causati dalla pandemia di Covid-19, che ha sì ridotto drasticamente gli spostamenti delle persone verso il luogo di lavoro grazie allo smart working, ma ha anche aumentato la mole di dati trasmessa per via digitale. Lo studio “La face cachée du numerique” in merito ha rilevato che durante la crisi sanitaria il 41,6% dei francesi è ricorso al telelavoro e il 71% di essi vorrebbe continuare con questa soluzione. Se così venisse in futuro modificato stabilmente il lavoro, saranno da calcolare i pro e i contro di questo nuovo assetto dal punto di vista ambientale.
L’impatto ambientale delle mail
Secondo uno studio del 2010 dal titolo How bad are bananas: the carbon footprint of everything, di Mike Berners-Lee, ricercatore e scrittore in ambito di impronte ecologiche, una singola email di solo testo produrrebbe 4 grammi di CO2, mentre una mail con allegati arriva anche a 50 grammi di CO2. Se consideriamo questa stima, allora inviare 65 email corrisponderebbe a guidare un chilometro in automobile, come impronta ecologica. È stato stimato che, in media, in un anno sono 136 i chilogrammi di CO2 prodotti da ciascuno di noi tramite le email, che corrispondono a un viaggio in auto di circa 320 chilometri.
Nonostante le email utilizzino solo l’1,7% dell’energia che servirebbe per mandare una lettera cartacea, dobbiamo considerare che la praticità e la velocità dello strumento della posta elettronica ci inducono a inviare un numero estremamente più elevato di messaggi rispetto a quello che invieremmo con il cartaceo. L’ente britannico per la fornitura di energia OVO energy, molto impegnato nelle tematiche ambientali, ha affermato che sono oltre 64 milioni le mail non indispensabili inviate dai britannici ogni giorno. Le mail con scritto solo “grazie”, “ok, ricevuto”, “hai ricevuto la mia mail?”, sono i tipi di messaggi additati dalla campagna “Think before you thank” (pensaci prima di ringraziare) ideata proprio da questo ente per sensibilizzare la popolazione in merito all’impatto ambientale delle email. Secondo l’indagine svolta da OVO energy, ben il 72% dei cittadini britannici non ha idea del fatto che le email abbiano un impatto ambientale. Sono 23.475 le tonnellate di CO2 annue che vengono immesse in atmosfera proprio con questi messaggi evitabili.
I consigli utili
Lo studio francese precedentemente citato fornisce consigli utili per aiutarci a inquinare il meno possibile con le nostre azioni digitali. Per esempio, cercare di allungare la vita dei nostri dispositivi, alleggerire o comprimere gli allegati delle email, preferire le riunioni online con solo audio rispetto a quelle video, privilegiare l’uso del wi-fi rispetto ai dati nello smartphone, spegnere il computer quando non lo si usa. Come segnala poi l’associazione no-profit The Good Planet, anche cancellare le mail inutili dalla nostra casella di posta potrebbe contribuire. Per esempio, se consideriamo che nel 2019 erano 3,9 miliardi gli account di posta elettronica presenti nel mondo, anche solo cancellando 10 email dalla nostra casella taglieremmo, tutti insieme, 39.035 tonnellate di CO2. Considerando inoltre che ogni giorno sono inviate nel mondo circa 300 milioni di email possiamo fare la nostra parte nel ridurre questo carico per esempio disiscrivendoci dalle newsletter che non ci interessano e cancellando dalla casella di posta i messaggi che non ci servono, contribuendo a diminuire il traffico di email e il “peso” dei dati nei server.
Non solo email: lo streaming e il gaming online
Se le email hanno un’impronta ecologica, ce l’hanno sicuramente anche altre attività digitali come lo streaming video, un’altra delle attività che sono diventate sempre più comuni negli ultimi anni, e che ha visto un notevole boom con i lockdown causati dalla pandemia. La piattaforma Netflix, che offre film e serie TV on demand si è preoccupata dell’impatto ambientale del suo servizio, tanto da pubblicare sul suo blog ufficiale una stima dell’impronta ecologica. Netflix dichiarava nel 2015 che il 36% delle risorse che utilizzava provenivano da risorse rinnovabili e che sono circa 300 i grammi di CO2 l’anno per cliente. Questo considerando che, dal 2007, la piattaforma di streaming ha visto un aumento esponenziale di abbonati, erano circa 10 miliardi le ore di streaming “consumate” dagli iscritti al 2015. Secondo lo studio francese nominato all’inizio di questo articolo, sono state 300 megatonnellate di CO2 quelle emesse globalmente nel 2018 dallo streaming online (1 megatonnellata corrisponde a un miliardo di chilogrammi) mentre invece sarebbero 24 megatonnellate l’anno (solo negli Stati Uniti) quelle prodotte dal gaming online, secondo uno studio di “The Computer Games Journal”.
Fonte: Oggi Scienza