Entro il 2050, oltre la metà del petrolio e del metano e la maggior parte del carbone disponibili dovrebbero rimanere inutilizzate per avere il 50 per cento di probabilità di contenere l’incremento globale della temperatura entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Sono queste le stime di uno studio approfondito pubblicato su “Nature”.
Nel 2015, i paesi del mondo firmatari degli accordi sul clima di Parigi concordarono di limitare il riscaldamento globale entro due gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, con un obiettivo ancora più ambizioso di rispettare il limite di 1,5 gradi. Nello stesso anno, uno studio pubblicato su “Nature”, stimava che per avere una buona possibilità di centrare l’obiettivo più conservativo, entro il 2050 un terzo circa delle riserve di petrolio, metà delle riserve di gas e oltre l’80 per cento delle riserve di carbone sarebbero dovute rimanere inutilizzate.
Ora un nuovo studio pubblicato sempre su “Nature” da Dan Welsby dello University College di Londra e colleghi riformula queste previsioni: se si vuole avere almeno il 50 per cento di possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius, entro il 2050 quasi il 60 per cento del petrolio e gas metano e il 90 per cento delle riserve di carbone devono rimanere nel sottosuolo.
Welsby e colleghi sono giunti a queste conclusioni conducendo un’analisi molto approfondita, che tiene conto delle principali fonti di energia primaria: combustibili fossili, in primo luogo, ma anche biomasse, energia nucleare ed energie rinnovabili. Hanno poi incrociato la domanda globale di energia e la sua produzione nelle diverse aree geografiche, considerando in particolare quanto le diverse riserve del mondo possano diventare via via meno convenienti da sfruttare con le limitazioni imposte alle emissioni.
Nel caso per esempio del Medio Oriente, che ha tra le maggiori riserve di combustibili fossili del mondo, l’estrazione continuerà a essere relativamente conveniente, così come le riserve di metano della Russia e dei paesi dell’ex blocco sovietico. In tal caso le percentuali di petrolio e metano che dovrebbe rimanere non sfruttato si avvicinano a quelle medie globali, o scendere addirittura al 38 per cento nel caso dei paesi ex-sovietici. Nel caso invece del Canada, molta parte del petrolio è difficile da estrarre perché in forma di sabbie bitumose: la percentuale non sfruttata potrebbe così salire all’83 per cento circa.
Nel caso delle quote di carbone che dovrebbero rimanere inutilizzate, le variazioni regionali sono meno pronunciate, e sono più basse nelle nazioni che fanno affidamento su questa fonte energetica, come l’India, la Cina (76 per cento) e altre parti dell’Asia, in cui tuttavia il consumo è andato rapidamente diminuendo negli ultimi anni. La percentuale sale invece drasticamente per paesi come la Russia e gli Stati Uniti (97 per cento).
Una volta definiti gli obiettivi, gli autori hanno definito anche la strada per raggiungerli. Complessivamente, la produzione di petrolio e gas, che globalmente sostengono l’81 del fabbisogno di energia, dovrebbe diminuire del tre per cento all’anno fino al 2050. E le proiezioni per le cinque maggiori regioni produttrici di petrolio e di gas metano fossile mostrano un declino a partire dal 2020, che segna il picco globale di queste produzioni, con un declino del 2,8 per cento e del 3,2 per cento rispettivamente. Si segnalano però importanti eccezioni, come gli Stati Uniti, in cui la produzione di petrolio aumenterà fino al 2025 per poi diminuire, e gli Stati ex sovietici, in cui il declino sarà dell’1,1 per cento fino al 2025 per poi arrivare al 3,5 per cento fino al 2050.
Infine, gli autori sottolineano che le loro cifre, per quanto sembrino drastiche, sottostimano probabilmente l’entità dei tagli che occorrerà apportare al consumo di combustibili fossili, considerato che il loro modello non tiene conto delle future risposte del pianeta al riscaldamento globale e che esistono ancora molte incertezze sulle tecnologie necessarie per contrastare le emissioni.
Fonte: Le Scienze