Triplicata la popolazione urbana esposta a livelli di calore estremi

Articolo del 08 Ottobre 2021

Il fenomeno è dovuto all’aumento della popolazione che vive nelle città, ma ancora di più alle “isole di calore” che nei centri urbani aggravano fortemente l’aumento globale delle temperature causato dalle attività umane.

A partire dagli anni ottanta la popolazione urbana mondiale esposta a eventi di calore estremo, tali da mettere a rischio la salute o addirittura la vita di chi vi è esposto, è triplicata, interessando ben 1,7 miliardi di persone, oltre un quinto della popolazione globale. A mostrarlo è uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori diretti da Cascade Tuholske dell’University della California a Santa Barbara, che firmano un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Negli studi sullo stress termico umano, il calore estremo è valutato con un indice, il WBGT (wet bulb globe temperature o temperatura rilevata con sonda a bulbo umido): questo indice pondera più rilevazioni della temperatura e del tasso di umidità al giorno con i valori dell’impegno metabolico di una persona acclimatata alle temperature medie del luogo, vestita in cotone che stia svolgendo un lavoro di una certa intensità. Su questa scala WBGT, per un lavoro di intensità bassa si ha un calore estremo a 30 °C, corrispondente a una “temperatura percepita” – per usare un termine di paragone più familiare – di 41 °C circa.

Aumenti annuali nel tasso di esposizione della popolazione urbana al calore estremo nel periodo 1983-2016

 

Nel loro studio i ricercatori hanno esaminato le immagini satellitari a infrarossi e le letture di migliaia di strumenti di rilevazione della temperatura e dell’umidità collocate a terra in 13.115 città, relative al periodo che va dal 1983 al 2016, riscontrando che dai 40 miliardi di giorni-persona di calore estremo nel 1983 si è passati a 119 miliardi di giorni-persona di calore estremo nel 2016, con un aumento del 199 per cento circa.

L’enorme aumento del numero di persone esposte a eventi di calore estremo è dovuto a due fattori: da un lato il fenomeno dello spostamento delle popolazioni dalle aree agricole ai centri urbani, che hanno determinato una crescita costante delle città, e dall’altro l’aumento delle temperature dovute al cambiamento climatico unito all’effetto “isola di calore” tipico delle città, quest’ultimo dovuto alla scarsità di vegetazione e all’abbondanza di cemento, asfalto e altre superfici impermeabili che tendono a intrappolare e concentrare il calore.

“Questo ha ampi effetti”, ha detto l’autore principale dello studio, Tuholske. “Aumenta la morbilità e la mortalità. Ha un impatto sulla capacità delle persone di lavorare, e si traduce in una minore produzione economica. Esacerba le condizioni di salute preesistenti.” Gli autori stimano che il riscaldamento urbano dovuto al cambiamento climatico e l’effetto isola di calore urbano diano conto in media del 52 per cento dell’aumento di popolazione esposta a calore estremo, ma con forti variazioni regionali e locali.

La città che ha visto il maggiore aumento in termini di giorni-persona è stata Dacca, in Bangladesh, per la quale, però, sono state le esasperate dinamiche di inurbamento a contribuire al fenomeno, e lo stesso vale per Shanghai in Cina, Yangon in Myanmar, Bangkok in Thailandia, Dubai negli Emirati Arabi Uniti, Hanoi in Vietnam e Khartoum in Sudan. Quasi esclusivamente dovuto al clima è invece l’aumento dell’esposizione che si è avuto a Baghdad in Iraq, il Cairo in Egitto, Kuwait City, Lagos in Nigeria, Calcutta, Mumbai e altre grandi città in India e Bangladesh.

Le città più colpite dal fenomeno sono prevalentemente quelle situate a latitudini basse ma non ne sono esenti anche altre città. In quelle europee, la cui dinamica demografica è stata relativamente statica, gli aumenti di esposizione sono stati guidati quasi esclusivamente dall’aumento del calore. I ricercatori hanno scoperto che il 17 per cento delle città studiate ha aggiunto un intero mese di giorni di caldo estremo nel periodo di studio di 34 anni.

Negli Stati Uniti – dove sono circa 40 le città importanti che hanno visto crescere rapidamente l’esposizione, principalmente raggruppate in Texas e nella Costa del Golfo – il contributo relativo di inurbamento e riscaldamento climatico è abbastanza equilibrato, con una sola vistosa eccezione, quella della città di Providence, nel Rhode Island, dove la crescita dell’esposizione era attribuibile al 93 per cento al clima più caldo e umido.

“Questo studio dimostra che ci vorranno investimenti considerevoli e coscienziosi per garantire che le città rimangano vivibili di fronte al riscaldamento del clima”, commenta Kristina Dahl, ricercatrice sul clima del gruppo statunitense Union of Concerned Scientists. Incrementare il verde urbano e modificare i tetti con colori più chiari o vegetazione in modo che non intrappolino così tanto calore, sono le principali strategie da considerare.

Gli autori sottolineano che, poiché lo studio si è fermato al 2016, i dati non hanno incluso la serie di ondate di calore record che hanno devastato il nord-ovest degli Stati Uniti e il Canada meridionale quest’estate, uccidendo centinaia di persone.

 

Fonte: Le Scienze

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