Nel mese della molitura torna la denuncia delle associazioni contro una pratica che distrugge la fauna dei corsi d’acqua e priva il terreno di risorse che, quando adeguatamente trattate, sono fondamentali per la concimazione dei terreni agricoli.
Ottobre è il mese della molitura delle olive e per molte zone del sud, soprattutto in Sicilia, dove le coltivazioni sono uno dei motori dell’economia, è anche il periodo dei “fiumi neri”. Come accade ogni anno, infatti, non sono pochi i frantoi che, contro ogni norma ambientale, sversano le “acque di vegetazione”, quelle derivanti dalla pulizia delle olive e dalla molitura, in fiumi e mari, direttamente o indirettamente, inquinando le acque e portando anche alla moria di pesci e della fauna marina.
Ad evidenziare quello che accade in provincia di Agrigento, una delle più colpite da questi atti illegali, è l’associazione ambientalista MareAmico che, dopo aver verificato la situazione, anche quest’anno denuncia: “Le acque di vegetazione che rappresentano l’ultimo scarto della molitura delle olive nei frantoi sono 200 volte più inquinanti delle fognature, perché sottraggono ossigeno all’acqua, portando alla morte di ogni forma di vita”. Il caso peggiore è quello del fiume Naro, corso d’acqua che attraversa le zone di Naro, Agrigento, Canicattì e Favara, per poi finire nel Mar Mediterraneo. Anche quest’anno per questo fiume si prevede una moria di molluschi, che in cerca di ossigeno, escono dall’acqua. La situazione, in questa stagione, potrebbe aggravarsi ancora di più, considerato che le condizioni hanno permesso un’ottima raccolta in termini di quantità. Oltre al fiume Naro, sempre in provincia di Agrigento, si teme per il fiume Magazzolo, tra Sciacca e Ribera, che come ogni anno, si tinge di nero, ogni ottobre. “Il procedimento è sempre lo stesso – spiega un ex commissario del corpo Forestale che negli anni si è occupato di un caso che si ripete ciclicamente – le acque di trattamento dovrebbero essere smaltite per un periodo di in una vasca all’interno del frantoio, per poi essere utilizzata per l’irrigazione dei terreni che devono essere segnalati al Comune. Questo procedimento però comporta un aggravio di costi e per molti uno spreco di tempo, in un momento in cui si lavora in continuazione, così si preferisce gettare l’acqua di vegetazione nei terreni senza vasche, oppure nei torrenti che poi finiscono nei fiumi”.
Oltre ad essere un danno per l’ambiente, quello che accade è anche uno spreco immane in quanto l’acqua di vegetazione, derivante dalla molitura, è un ottimo concime per i terreni e potrebbe essere una grande risorsa per le zone delle Sicilia in cui la desertificazione avanza. “Non tutti i frantoi, ma alcuni della provincia operano nell’illegalità – spiega ancora l’ex commissario – quando le vasche presto si riempiranno non si cercheranno alternative ma la via più facile: lo sversamento illegale nei terreni e nei fiumi”. Nel momento d’oro degli affari dei frantoi, infatti, in pochi pensano a quello che potrebbe accadere e ogni anno, nonostante gli interventi del corpo forestale, la situazione non cambia. Ad essere più colpita da questo modus operandi – in una isola che conta circa 140mila frantoi – oltre ad Agrigento, è la Sicilia Occidentale, il Trapanese, e nello specifico il fiume Modione che arriva nel mare di Triscina. Quando non arrivano direttamente nei fiumi, le acque di vegetazione vengono smaltite, in maniera ancora peggiore, nelle acque fognarie e arrivano così ai depuratori cittadini con il rischio che si blocchino per gli effetti sugli impianti. Questo provoca l’ulteriore stop dei già poco funzionanti depuratori (in provincia di Agrigento più di dieci sono sotto sequestro) con un aggravio di costi di smaltimento e disservizi che si ripercuotono sui cittadini.