Specifiche cellule cerebrali ricordano le infezioni che hanno attaccato l’organismo e contribuiscono a reagire a nuovi episodi. La scoperta amplia il concetto classico di memoria immunitaria, e forse aiuterà a trattare disturbi infiammatori o autoimmuni tramite una specifica “rieducazione” di questi neuroni.
Immagine al microscopio elettronico di infezione intestinale da Escherichia coli
Mentre il cervello e il midollo spinale hanno una propria squadra di cellule immunitarie specializzate, il sistema immunitario periferico è dotato di un battaglione più grande di proteine, cellule e interi organi, come la milza, che ci proteggono dagli invasori. Negli ultimi dieci anni, i ricercatori hanno fatto grandi progressi nella comprensione di come il sistema immunitario periferico agisca sull’attività neurale, cioè di come i segnali immunitari che hanno origine al di fuori del sistema nervoso centrale possano influenzare i processi cognitivi, il comportamento sociale, la neurodegenerazione e altro ancora. Infatti, hanno imparato che le cellule immunitarie della periferia pattugliano abitualmente il sistema nervoso centrale e sostengono la sua funzione. In un nuovo studio, i ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che, proprio come il cervello ricorda persone, luoghi, odori e così via, memorizza anche ciò che gli studiosi chiamano “tracce di memoria” delle infezioni passate dell’organismo. Riattivare le cellule cerebrali che codificano queste informazioni è sufficiente per mobilitare rapidamente il sistema immunitario periferico a difendere i tessuti a rischio.
In un certo senso, la cosa non è del tutto sorprendente. È chiaro che il sistema immunitario periferico è in grado di conservare le informazioni sulle infezioni passate per combattere quelle future, altrimenti i vaccini non funzionerebbero. Ma Asya Rolls, neuroimmunologa del Technion-Israel Institute of Technology e autrice senior del documento, spiega che lo studio amplia questo concetto della memoria immunologica classica. Inizialmente, la ricercatrice è stata presa alla sprovvista dal fatto che il cervello potesse immagazzinare tracce di attività immunitaria e usarle per innescare una risposta così precisa. “Ero stupita”, afferma.
Il gruppo di Rolls si è concentrato su una regione del cervello chiamata corteccia insulare, che percepisce lo stato interno del corpo attraverso segnali viscerali come temperatura, dolore, fame e – hanno argomentato i ricercatori – forse anche l’attività immunitaria. Hanno studiato ceppi di topi con un tipo di infiammazione intestinale noto come colite e utilizzato marcatori fluorescenti per scattare istantanee dei gruppi di cellule cerebrali nella corteccia insulare che si attivavano durante l’infezione.
Dopo che l’infezione e la risposta immunitaria si sono attenuate, i ricercatori hanno iniettato nei topi un farmaco che ha riattivato artificialmente quegli stessi gruppi di cellule cerebrali. E sono rimasti sbalorditi da ciò che hanno visto: alla riattivazione, la corteccia insulare ha diretto il sistema immunitario a montare una risposta mirata nell’intestino nel sito dell’infiammazione originale; anche se, a quel punto, lì non c’era più alcuna infezione, né un danno ai tessuti o un’infiammazione locale avviata da un patogeno. Il cervello aveva conservato una sorta di memoria dell’infezione ed era pronto a ricominciare la lotta.
“Questo risultato è stato quello che ci ha spiazzato, perché davvero non ce lo aspettavamo”, dice la prima autrice dell’articolo Tamar Koren del Technion. “Questo è stato, credo, il nostro momento ‘Eureka!'”.
La ripetizione degli esperimenti in topi con infezioni della cavità addominale ha prodotto risultati simili. Ma non era ancora chiaro in che modo la corteccia insulare comunicasse con gli organi per stimolare una risposta immunitaria.
Per iniziare a rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno usato un tracciante fluorescente per individuare le connessioni nervose che permettevano al cervello di scambiare messaggi con l’intestino e la cavità addominale. Koren sospetta però che questo percorso sia solo una delle diverse linee di comunicazione. Ritiene infatti che la corteccia insulare possa anche inviare segnali ai tessuti che rivestono i vari organi o regolare i livelli di ormoni per aiutare a riattivare una risposta immunitaria.
Anche se probabilmente sono coinvolte anche altre regioni del cervello, la corteccia insulare era il posto giusto per iniziare, dichiara Kevin Tracey, neurochirurgo e presidente del Feinstein Institutes for Medical Research, non coinvolto nello studio. Negli anni novanta, Tracey ha dimostrato che un nervo specifico collegato al tronco encefalico poteva comunicare con le cellule immunitarie periferiche e smorzare la risposta immunitaria prima che danneggiasse il corpo. Questo fenomeno, ora conosciuto come riflesso infiammatorio, è stata la prima prova della capacità dei circuiti neurali di controllare il sistema immunitario periferico. Ed è ora usato per trattare malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide.
Il nuovo studio fornisce prove “inconfutabili” che il sistema nervoso centrale può controllare il sistema immunitario periferico, dice Tracey. “È un contributo incredibilmente importante ai campi delle neuroscienze e dell’immunologia”.
Proprio come i ricercatori hanno ricondotto l’elaborazione sensoriale e motoria a specifiche regioni del cervello, Tracey sospetta che esista anche una simile “mappa” neurologica delle informazioni immunologiche. Questo nuovo studio, dice, è la prima prova diretta di quella mappa. “Sarà davvero eccitante vedere cosa viene dopo”, aggiunge.
Il laboratorio di Rolls ha già iniziato a disegnare studi clinici per trattare l’infiammazione cronica dell’intestino sulla base dei risultati del suo gruppo. Molti disturbi intestinali, come le malattie infiammatorie intestinali, sono innescati dallo stress o da forti emozioni. I ricercatori pensano che questo faccia sì che i neuroni nella corteccia insulare si attivino male, riattivando una memoria immunologica e innescando una risposta immunitaria sbagliata. Sono stati in grado di alleviare con successo la colite nei topi semplicemente diminuendo l’attivazione nella corteccia insulare, e sospettano che mettere le persone malate in una macchina per la risonanza magnetica funzionale e insegnare loro a ridurre consapevolmente l’attività in quella regione potrebbe alleviare l’infiammazione intestinale con un minor bisogno di farmaci. Permettere al cervello di rispondere, spiega Rolls, sarebbe la risposta più equilibrata e personalizzata che il suo gruppo potrebbe chiedere.
Fonte: Le Scienze