Da Atene a Città del Capo, i grandi centri urbani devono mostrarsi pronti alla crisi climatica. Alcuni strumenti di finanziamento ad hoc possono aiutarli.
I cambiamenti climatici non sono una teoria, non sono una previsione, sono una realtà. Una realtà che sta già avendo un impatto – talvolta catastrofico – soprattutto sugli ambienti urbani. Stando ai dati della piattaforma Cdp Cities, nel solo 2018 l’85 per cento delle città del Pianeta ha fatto i conti con ondate di calore, alluvioni, siccità, inondazioni costiere, estrema volatilità del meteo e aumento della malattie trasmesse da vettori. Ciò non significa, però, che siano prive dei mezzi per difendersi. Anzi. La finanza per l’adattamento, uno dei temi caldi alla Cop26 di Glasgow, serve proprio per sviluppare soluzioni che permettano agli ambienti urbani di dimostrarsi resilienti. E può funzionare, come dimostrano alcuni esempi concreti.
San Francisco prova a difendersi dall’oceano
Tra i luoghi più iconici di San Francisco c’è l’Embarcadero, il lungomare di tre chilometri costruito lungo una diga eretta un secolo fa. Una diga che tuttora protegge dal mare beni e infrastrutture per un valore stimato in quasi 90 miliardi di euro, ma ultimamente inizia a sentire il peso degli anni. Per esempio, è stata costruita ben prima che venissero elaborati i moderni standard antisismici: alcuni studi sostengono che per distruggerla completamente basti un forte terremoto, eventualità molto probabile in California. Come se non bastasse, è stata studiata per il livello dei mari stimato all’epoca, non certo per un futuro in cui rischia di innalzarsi di mezzo metro già entro la fine del secolo (è questa la prospettiva, in caso il riscaldamento globale raggiunga i 2 gradi centigradi).
Ecco perché nel 2018 i cittadini hanno espresso il loro consenso all’emissione di un bond da 425 milioni di euro da parte dell’amministrazione. Una cifra che verrà investita in lavori di progettazione, ingegneria e ristrutturazione, indispensabili per far sì che la diga continui a svolgere al meglio il suo ruolo.
Il fumo degli incendi in California del 2020 visto dall’Embarcadero di San Francisco
Città del Capo esce dalla morsa della siccità
Tra il 2017 e il 2018, Città del Capo – la capitale legislativa del Sudafrica – è finita sulle pagine dei giornali di tutto il mondo per un motivo tutt’altro che lusinghiero: la gravissima crisi idrica che ha portato addirittura a prospettare il “day zero”, cioè il giorno dell’interruzione totale della fornitura (poi scongiurato). Una crisi che nei mesi successivi è stata superata – non senza sacrifici – grazie a una serie di misure per limitare i consumi, riutilizzare l’acqua e desalinizzare quella ricavata nelle zone costiere.
L’episodio però non può essere liquidato come una sfortunata causalità, perché è figlio di un fenomeno ampio e strutturale come il riscaldamento globale che ha peggiorato le ondate di siccità. Le risposte necessarie, dunque, sono altrettanto strutturali. Per finanziarle, già nel 2017 l’amministrazione municipale ha emesso il primo green bond della sua storia. Certificato come “eccellente” dall’agenzia di rating Moody’s, ha centrato il suo obiettivo di raccogliere capitali pari a un miliardo di rand (circa 55 milioni di euro). Denaro che verrà investito nell’ammodernamento della rete idrica, volto a migliorarne la gestione e ridurre gli sprechi.
Città del Capo, in Sudafrica, ha emesso il suo primo green bond per difendersi dalla siccità
La strategia di resilienza urbana di Atene
L’ultimo decennio della storia greca è stato profondamente segnato dalla crisi economica, divenuta ben presto anche crisi sociale e umanitaria. Gli aiuti internazionali sono stati infatti subordinati a un drastico piano di austerity che si è tradotto in tagli a scuole, pensioni, sanità; in una parola, al welfare.
Da allora l’amministrazione ha fatto il possibile per andare incontro alle necessità delle fasce più fragili della popolazione, erodendo così le poche risorse a disposizione. Ora si trova alle prese con una capitale, Atene, in cui appena il 30 per cento degli edifici risponde ai più basilari sistemi antisismici, tutto questo nel sesto paese al mondo come livello di terremoti. A questo si aggiungono i cambiamenti climatici che negli ultimi anni hanno moltiplicato le ondate di siccità, con conseguenze negative per la salute degli abitanti e per la stabilità della rete elettrica (e di tutti i servizi che ne derivano).
Gli incendi dell’estate 2021 ad Afnides, in Grecia
Questi e altri gli aspetti su cui vuole intervenire la strategia di resilienza urbana di Atene, un ambizioso piano che ha come orizzonte il 2030. Tra gli interventi previsti per esempio ci sono per esempio i corridoi verdi in città, nuovi parchi pubblici nelle zone in disuso, orti urbani, ma anche zone dove i residenti possano ristorarsi durante le ondate di calore. Il piano è stato finanziato anche mediante un prestito da 55 milioni di euro concesso dalla Banca europea per gli investimenti, attraverso uno strumento finanziario ad hoc che si focalizza sulla biodiversità e sull’adattamento (chiamato Natural capital finance facility).
Il supporto internazionale per la città di Dakar
“Storicamente l’Africa è responsabile solo del 3 per cento delle emissioni globali, eppure subisce gli impatti più forti della crisi”. Un’ingiustizia denunciata a chiare lettere nel commosso discorso della giovane attivista Vanessa Nakate sul palco della Youth4Climate, a Milano. Il Senegal non fa eccezione. I dati meteorologici rilevati tra il 1965 e il 2008 mettono in luce quanto la stagione delle piogge (tra giugno a settembre) sia diventate sempre più breve e intensa, accompagnata da frequenti inondazioni favorite anche dall’erosione costiera e dal degrado del suolo. Per contro, anche la stagione secca si è amplificata, con conseguenze negative sulla produttività agricola e sulla disponibilità di acqua per la popolazione.
Dakar, la capitale, ha ricevuto un fondamentale sostegno per dimostrarsi resiliente. Anzi, due. Il meccanismo di finanziamento della rete di sindaci C40 (C40 Cities Finance Facility) ha permesso di avviare la riqualificazione idraulica e paesaggistica di un bacino di ritenzione delle acque piovane. Più nello specifico, ha fornito le risorse per gli studi tecnici, per il trasferimento di competenze all’amministrazione comunale, per il coinvolgimento dei residenti e anche per il reperimento di altre fonti di finanziamento. Nel mese di marzo 2020 è entrata in gioco anche la Banca mondiale che ha aperto una linea di credito internazionale pari a 110 milioni di euro per migliorare il sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani; conteggiando anche la quota di cofinanziamento, dovrebbe arrivare a un totale di 260 milioni.
Un nuovo inizio per Rawalpindi e Nowshera
Era il 2010 quando il Pakistan veniva travolto dal peggiore disastro naturale della sua storia. A causa del fenomeno climatico della Niña, le precipitazioni si concentrarono tutte sul nordovest del subcontinente indiano, facendo esondare il fiume Indo. Quasi un quinto del territorio del Pakistan fu colpito dalle inondazioni, una zona grande quanto l’Inghilterra, per un totale di 20 milioni di abitanti.
Due persone attraversano in bici una zona di Nowshera rimasta abbandonata dopo l’alluvione del 2010 in Pakistan
Uno dei luoghi simbolo di un periodo così drammatico è la città di Nowshera che sorge sul corso del fiume Kabul, affluente dell’Indo. Proprio su Nowshera e Rawalpindi, metropoli da 3,3 milioni di abitanti della provincia del Punjab, si focalizza un finanziamento da circa 5,3 milioni di euro erogato dall’Adaptation fund. Denaro che servirà per migliorare i sistemi di raccolta dell’acqua, tanto a livello familiare quanto a livello urbano, al fine di mostrarsi pronti di fronte all’alternarsi di ondate di siccità e alluvioni. A livello nazionale e provinciale, gli investimenti permetteranno di pianificare i futuri sviluppi della città anche tenendo in considerazione l’evolversi del clima.
Fonte: LIFEGATE