Nel 2019 il 70,9% delle 50-69enni ha fatto un controllo mammografico negli ultimi due anni (65,9% la media Ue27): al Nord quote elevate simili a quelle della Danimarca, al Sud e nelle Isole valori bassi, poco sopra quelli dei paesi dell’Europa dell’Est. Tra i vari fattori di rischio, nell’Ue27 l’Italia conferma livelli molto bassi di obesità e una percentuale minore di fumatori abituali. Ancora troppo contenuta la quota di adulti che svolgono attività fisica.
Nel 2019, prima della crisi pandemica, gli indicatori di prevenzione per la popolazione adulta in Italia risultavano in miglioramento. Il 70,9% delle 50-69enni ha fatto un controllo mammografico negli ultimi due anni (65,9% la media Ue27): al Nord quote elevate simili a quelle della Danimarca, al Sud e nelle Isole valori bassi, poco sopra quelli dei paesi dell’Europa dell’Est.
Tra i vari fattori di rischio, nell’Ue27 l’Italia conferma livelli molto bassi di obesità e una percentuale minore di fumatori abituali. Ancora troppo contenuta la quota di adulti che svolgono attività fisica secondo i livelli raccomandati dall’Oms per migliorare le condizioni di salute. È quanto emerge dai nuovi dati Istat appena pubblicati
Prima della pandemia, Italia sopra la media Ue27 per gli screening raccomandati
Nel 2019 in Italia il 70,9% di donne nella fascia di età raccomandata 50-69 anni si è sottoposta a una mammografia secondo la cadenza raccomandata (ogni due anni). Il nostro Paese si colloca sopra la media europea (65,9% Ue27), tra Spagna (74,1%) e Francia (70,0%), ma resta lontano dai tassi elevati dei paesi del Nord Europa come Svezia (95,2%) o Finlandia (92,3%).
La variabilità in Europa è molto marcata: diversi paesi dell’Europa dell’Est, come Polonia, Slovacchia, Lituania e Lettonia, hanno prevalenze intorno al 50%, o inferiori; all’ultimo posto c’è la Romania con il 9,2%.
Per la prevenzione del tumore della cervice uterina, il dato di copertura per l’Italia è comparabile a livello europeoiii, ovvero la quota di donne che hanno effettuato uno screening negli ultimi tre anni, è pari al 71,7% (media europea 72,6%) e in linea con la Spagna (71,4%). Livelli più elevati si osservano non solo nei paesi del Nord Europa, ma anche in paesi come Grecia (81,6%), Lettonia (79,1%), Slovenia, Croazia, Polonia e Ungheria, tutti sopra la media europea. L’Italia supera la media Ue27 solo tra i 45-64 anni (75,8% contro 72,3%).
La diffusione del tumore del colon-retto ha subito un notevole incremento negli ultimi decenni. Essendo molto spesso asintomatico nella fase di insorgenza, viene raccomandata un’adeguata prevenzione primaria e l’esecuzione di controlli periodici. Per l’esame della ricerca del sangue occulto nelle feci, la fascia di età confrontabile tra i vari paesi europei è quella di 50-74 anni: in Italia il 36,1% lo ha eseguito negli ultimi due anni, ossia con la cadenza raccomandata, valore più alto della media Ue27 (33,4%) e della Spagna (30,4%), ma molto al di sotto di Germania (43,8%), Austria (55,9%) e Danimarca (67,1%).
Sono evidenti le disuguaglianze sociali nell’accesso alla prevenzione dei tumori femminili: in media nei 27 paesi Ue i differenziali tra donne laureate e quelle con basso titolo studio sono di 8 punti in più per la mammografia, 20 per il pap-test. Le disuguaglianze sono più marcate nei paesi dell’Europa dell’Est, quasi inesistenti nei paesi del Nord Europa (Danimarca, Svezia, Paesi Bassi). L’Italia evidenzia differenze inferiori alla media europea per l’accesso al pap-test (14 punti percentuali), superiori per la mammografia (13 punti), dovuti alle basse prevalenze di ricorso tra le donne con basso titolo di studio, e quasi in linea con l’Europa (cinque punti contro i tre) per lo screening del sangue occulto.
Fino al 2019 crescita dei controlli per la prevenzione dei tumori femminili
La progressiva diffusione degli screening dei tumori femminili e la conseguente diagnosi precoce ha consentito di aumentare la sopravvivenza in caso di insorgenza di carcinoma mammario o della cervice uterina, grazie alla possibilità di un approccio terapeutico il più possibile tempestivo, e in molti casi anche la guarigione.
Il carcinoma mammario è il più frequente tra le neoplasie maligne che colpiscono le donne (circa 700mila donne ne sono affette in Italia) e la prevalenza è in forte aumento (+45% negli ultimi 10 anni)
Nel 2019, il 70,9% delle donne di 50-69 anni ha dichiarato di essersi sottoposta a uno screening mammografico entro i due anni dall’intervista (cadenza raccomandata) (+14 punti percentuali rispetto al 2013, poco più di 2 punti rispetto al 2015).
Anche nel 2019 persiste un forte divario sul territorio italiano, con il Mezzogiorno penalizzato rispetto al Nord. Nel Nord-ovest e nel Nord-est si raggiunge rispettivamente l’80,7% e il 79,8%, nel Centro il 73,2% mentre al Sud e nelle Isole non si arriva al 60% (56,1% e 58%). Nell’Italia settentrionale le quote sono allineate ai paesi nordeuropei (Danimarca 82%), nel Mezzogiorno sono invece più basse di quelle rilevate in Grecia (65,7%).
I livelli minori di copertura si rilevano tra le donne con basso titolo di studio del Mezzogiorno (50%), dove anche le laureate si attestano al 65,6%, meno della media nazionale. Al Nord le disuguaglianze sono sempre presenti, ma più contenute rispetto al Mezzogiorno, la quota è al 76,3% per le meno istruite, all’85,4% per le laureate.
Tuttavia, nel confronto con il 2013 si registra un netto recupero del Mezzogiorno, poiché si riduce al 10,2% la quota di donne di 50-69 anni che non hanno mai fatto una mammografia (circa il 30% nel 2013) e allo stesso tempo cresce maggiormente il livello di copertura, ovvero la quota di donne che hanno fatto il controllo mammografico negli ultimi due anni (+ 20 punti percentuali nel Mezzogiorno, ossia un incremento quasi doppio rispetto al Nord), riducendo parzialmente il divario territoriale.
Nel Sud ancora basso l’accesso agli screening organizzati per la mammografia
Nell’aumento dei livelli di prevenzione la leva degli screening organizzati si rivela efficace. Nel
Nord-est, dove i livelli di copertura sono più elevati, il 79% delle donne dichiara di aver eseguito la mammografia tramite programmi organizzati, nel Sud questa quota scende al 46,5%.
Dopo i 55 anni in crescita la prevenzione del tumore della cervice uterina
Riguardo allo screening del tumore del collo dell’utero, di recente in molte regioni oltre al pap-test viene eseguito il test dell’HPV (o Papilloma virus), la cui frequenza raccomandata è pari a cinque anni.
Considerando le donne tra 25 e 64 anni, fascia di età in cui in Italia è raccomandato almeno un controllo entro i tre anni dal precedente, la copertura di pap-test o HPV raggiunge il 75,3% delle donne nel 2019, sostanzialmente analoga al 2015 (74,7%), ma in crescita di 13 punti percentuali rispetto al 2013. Merita attenzione la quota di donne della fascia target che, pur controllandosi, lo fanno in tempi più lunghi, oltre i tre anni (15,1% nel 2019), ma soprattutto il fatto che ancora una donna su 10 dichiara di non aver mai fatto un controllo nella vita.
Per il tumore del colon-retto più controlli tra i più istruiti e i residenti al Nord
Nel 2019 tale esame è stato eseguito almeno una volta nella vita dal 52,4% delle persone di 50-69 anni, mentre il 36,3% ha dichiarato di averlo effettuato negli ultimi due anni. Rispetto al 2015, si osserva un incremento significativo di entrambi gli indicatori (rispettivamente 47,5% e 32%). Tale incremento ha riguardato uomini e donne, che nel 2019 fanno registrare valori simili: il 53,5% degli uomini e il 51,5% delle donne hanno fatto l’esame almeno una volta nella vita, mentre lo ha fatto negli ultimi due anni il 36,9% degli uomini e il 35,8% delle donne.
I comportamenti si differenziano secondo il livello di istruzione degli individui (proxy dello status socio-economico): l’esame non è stato eseguito nella vita dal 51% delle persone di 50-69 anni con basso titolo di studio contro il 44,2% dei coetanei più istruiti; il 38,8% di questi ultimi lo ha fatto entro l’arco temporale raccomandato contro il 33,8% dei meno istruiti (divario ancora più marcato tra gli uomini).
Le diseguaglianze per titolo di studio si riflettono nelle diseguaglianze territoriali. Molto basse le prevalenze di chi ha eseguito l’esame negli ultimi due anni nelle Isole (24% delle persone di 50-69 anni) e soprattutto al Sud (19,6%), rispetto al Nord-est (52,6%). Elevata la variabilità tra regioni: al Sud si va dal valore molto elevato in Basilicata (45,1%) al minimo della Puglia (9,5%); al Nord il massimo è in Valle d’Aosta (57,3%), segue il Veneto (57,2%) mentre in Piemonte si scende al 19%.
Vaccinazione antinfluenzale per un anziano su due
L’influenza stagionale è responsabile ogni anno di 3-5 milioni di casi gravi in tutto il mondo e circa 650mila decessivi, ma il ricorso alla vaccinazione antinfluenzale può contenere i suoi effetti sia in termini di morbosità sia di letalità. Le complicazioni dell’influenza colpiscono principalmente le persone anziane pertanto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) raccomanda che almeno il 75% di chi ha 65 anni e più si vaccini contro l’influenza.
L’emergenza da Covid-19 ha fatto sì che le autorità competenti ponessero, ancor più che negli anni passati, l’accento sull’importanza di questa vaccinazione favorendone una maggiore copertura, con il risultato che nella stagione 2020-2021 risultano vaccinati due anziani su tre, nonostante le difficoltà di reperimento delle dosi in alcune Asl.
Nel 2019, le persone anziane vaccinate contro l’influenza (nei 12 mesi precedenti l’intervista) sono state il 46,9% (42,3% nel 2015) ben al di sotto della soglia raccomandata, che non è stata raggiunta neanche tra gli over 75 (59%, quattro anni prima era il 53%).
Colesterolo, glicemia e pressione arteriosa: meno controlli tra gli uomini al Sud
Nella popolazione di 15 anni e più, nel 2019, l’89,8% ha fatto un controllo del colesterolo nel sangue almeno una volta nella vita, l’89,1% della glicemia e il 92,8% della pressione arteriosa tramite personale sanitario. Rispetto al 2015, i valori aumentano solo per gli uomini, sia per il colesterolo (da 87,2% a 88,9%), che per la glicemia (da 86,2% a 88,1%) e, per entrambi i sessi, per il controllo della pressione arteriosa (uomini: da 89,8% a 91,9%, donne: da 92,3% a 93,6%).
Negli adulti di 25-64 anni i valori sono più elevati fra le donne, mentre negli over65 le differenze di genere non sono significative. Nel 2019 hanno controllato i valori del colesterolo e della glicemia nel sangue negli ultimi 12 mesi circa il 45% degli uomini di 25-64 anni e il 72% degli over65, nelle donne il 49% e il 70-71%. Più elevata la quota di chi ha controllato la pressione arteriosa a 25-64 anni (54,6% uomini; 57,8% nelle donne) e a 65 anni e più (78,4% uomini; 79,4% donne).
Sebbene tra gli ultrasettantacinquenni, in conseguenza dell’insorgenza di problemi di salute, sia molto elevata la quota di chi ha effettuato controlli diagnostici nell’ultimo anno, uno su quattro non ha controllato colesterolo e glicemia e uno su sei non si è fatto misurare la pressione arteriosa.
I controlli entro i 12 mesi sono effettuati da una platea più ampia in presenza di una malattia cronica correlata agli esami diagnostici descritti. Il controllo del colesterolo è stato effettuato nell’ultimo anno dal 76,3% delle persone di 25-64 anni affette da iperlipidemia e dal 68% di coloro che dichiarano almeno una malattia del sistema circolatorio (47,5% nel totale di 25-64enni); tra gli ultrasessantacinquenni l’incremento è più contenuto, i valori sono rispettivamente 83,2% e 76,9% (rispetto a 71,6%). In presenza di diabete, ha controllato la glicemia nell’ultimo anno l’86% della classe 25-64 anni e l’87,1% degli over 65 (rispetto a 47,4% e 71,1% nella popolazione totale). Tra le persone che dichiarano di soffrire di ipertensione, hanno controllato la pressione arteriosa negli ultimi dodici mesi l’82,5% dei 25-64enni (rispetto a 56,3%) e l’86,3% degli over 65 (rispetto a 79%).
Negli adulti di 25-64 anni si osservano significative differenze di comportamento, sia per genere sia per territorio. Circa uno su 10 non si è mai fatto controllare il colesterolo e la glicemia nel sangue; per gli uomini residenti nelle Isole i valori salgono rispettivamente a 13,1% e 14%. La pressione arteriosa non è mai stata controllata dal 6,2% degli adulti di 25-64 anni, dal 7,1% degli uomini di questa fascia di età e dal 9,7% degli uomini residenti al Sud. Tra chi ha effettuato i controlli negli ultimi 12 mesi, si osservano i valori più bassi tra i residenti nel Sud e nelle Isole, in particolare nel sesso maschile, e quelli più elevati tra i residenti nel Nord-est.
Livelli adeguati di attività fisica aerobica solo per un adulto su cinque
Nel 2019, il 19,0% delle persone di 18 anni e più ha svolto attività fisica aerobica nel tempo libero per almeno 150 minuti a settimana, l’11,5% attività di potenziamento muscolare almeno due volte a settimana e solo l’8,1% si è cimentato in entrambe le attività, come raccomandato dall’Oms. Tra bambini e adolescenti le quote sono ancora più basse: 13,9% per l’attività fisica aerobica (almeno 60 minuti al giorno), 9,5% per esercizi di potenziamento muscolare almeno tre volte a settimana e 3,8% per entrambe le attività.
Nella popolazione adulta, l’adesione alle raccomandazioni dell’Oms per l’attività aerobica scende con l’età: è massima tra i 18-24 anni (37,0%) e minima tra gli ultrasettantacinquenni (6,4%). Gli uomini adulti sono fisicamente più attivi delle donne (23,6% contro 14,9%), sebbene tra queste ultime la pratica dell’attività fisica aerobica sia in aumento rispetto al 2015 (era il 12,8%), soprattutto nella fascia di età 45-64 anni (da 12,5% a 16,0%). Inoltre, per entrambi i sessi l’adesione è maggiore tra le persone più istruite (29,3% con titolo di studio alto contro 10,6% con titolo basso) e aumenta in presenza di un reddito familiare più elevato (24,1% per l’ultimo quinto di reddito e 13,6% per il primo).
L’attitudine a essere fisicamente attivi si differenzia nelle diverse aree geografiche. Il Nord-est è la ripartizione geografica con la quota più elevata di persone di 18 anni e più che praticano attività fisica per almeno 150 minuti a settimana (25,9% è il tasso standardizzato), seguito dal Nord-ovest (22,8%) e dal Centro (20,2%); valori più bassi si rilevano nelle Isole (14,6%) e al Sud (13,3%). Le disuguaglianze territoriali sono più ampie se si considera l’attività fisica di bambini e adolescenti (5-17 anni): nel Sud e nelle Isole solo un minore su 10 (9,3%) fa attività aerobica per ameno 60 minuti al giorno, a fronte di uno su sette nel Centro (13,4%) e di uno su cinque nel Nord-est (21,6%).
Due minori su tre eccedono in comportamenti sedentari
L’Oms raccomanda di limitare la quantità di tempo libero dedicata a tali attività sedentarie per destinarla all’attività fisica di tipo aerobico. Ma solo l’8% di bambini e adolescenti sedentari pratica un’attività di tipo aerobico per almeno 60 minuti al giorno, mentre la maggioranza (56%) associa l’eccesso di sedentarietà (sette ore e più al giorno) con livelli insufficienti di attività fisica.
Due su cinque i molto sedentari tra gli adulti
In una giornata media, due adulti su cinque trascorrono 7 ore o più in comportamenti sedentari (37%). L’eccesso di sedentarietà si concentra soprattutto tra i giovani di 18-24 anni (52%) e tra gli ultrasessantacinquenni (42%). Inoltre, la prevalenza di comportamenti eccessivamente sedentari è maggiore nelle persone di 25-64 anni con un livello di istruzione più elevato (60% contro 21% dei coetanei con basso titolo di studio), perché lavorano più spesso stando seduti.
Oltre a essere eccessivamente sedentaria, il 31% della popolazione adulta non svolge neppure livelli adeguati di attività fisica aerobica. Tale quota raggiunge il 40% tra gli ultrasessantacinquenni. Solo il 7% degli adulti compensa l’eccesso di sedentarietà con livelli adeguati di attività fisica aerobica: il 18% tra i giovani di 18-24 anni e solo il 3% tra gli ultrasessantacinquenni.
La geografia del comportamento troppo sedentario cambia all’aumentare dell’età: tra bambini e adolescenti (5-17 anni) è maggiormente diffuso nelle regioni dell’Italia settentrionale dove il 65% dei minori trascorre sette ore o più al giorno stando seduto a fronte del 62% del Sud; tra gli anziani invece risultano maggiormente sedentari quelli residenti nel Sud (49% rispetto a 38% del Nord).
In Italia livelli più bassi di obesità tra gli adulti rispetto agli altri paesi europei
Rispetto ai paesi dell’Unione europea, l’indice di massa corporea, calcolato in modo comparabile tra i paesi sulla base dei dati antropometrici riferiti dagli intervistati, mostra per l’Italia i più elevati tassi di persone normopeso (50,8% contro 44,8% dell’Ue27) e i più bassi livelli di obesità tra la popolazione adulta (11,7% contro 16,5%); in quest’ultimo caso il valore più elevato si rileva a Malta (28,7%).
Gli uomini si confermano più in sovrappeso rispetto alle donne in gran parte dei paesi Ue (43,4% contro 29,5% nella media Ue27; 42,4% contro 26,4% in Italia). Il differenziale di genere si annulla per l’obesità nella media Ue27 (16,8% per gli uomini e 16,3% per le donne) e si riduce nel nostro Paese (12,9% contro 10,7%). In alcuni paesi dell’Europa dell’Est (nell’ordine Lettonia, Lituania, Estonia) le donne sono più spesso obese rispetto agli uomini, mentre in Italia hanno problemi di sottopeso soprattutto le donne giovani di 18-24 anni (17,9% contro 10,1% della media Ue27).
In Italia, la quota di popolazione con problemi di eccesso di peso (IMC>=25)xi cresce all’aumentare dell’età, sia per gli uomini che per le donne. Riguardo al sovrappeso la quota triplica per entrambi i sessi: negli uomini passa dal 18,3% tra i giovani di 18-24 anni al 48,7% tra gli over 65, per le donne i valori sono rispettivamente 11,8% e 35,7%. Per l’obesità la quota quadruplica tra gli uomini (3,8% per i 18-24enni, 15,5% per gli over 65) e aumenta di otto volte tra le donne (da 1,8% a 15,5%).
Diffuso il consumo quotidiano di frutta e verdura, ma in bassa quantità
In Italia, il consumo giornaliero di frutta e verdura anche nel 2019 si attesta a livelli molto elevati rispetto all’Europa: riguarda il 76,2% delle persone di 15 anni e più contro una media Ue27 di 67,1%; più elevato nelle donne (79,1%) che negli uomini (72,9%). Meglio dell’Italia solo Belgio (82,6%) e Irlanda (81,0%), mentre una quota simile si rileva in Spagna (76,6%).
Per le quantità giornaliere raccomandate (5 porzioni al giorno) il nostro paese, con appena il 10% che le assume, scende poco sotto la media europea (12,4%). Tuttavia, in Italia, oltre un terzo della popolazione di 15 anni e più (34,4%) dichiara di consumare almeno 4 porzioni al giorno, con un gradiente per età che va dal 24,8% tra i più giovani di 15-24 anni a oltre il 40% tra gli ultrasessantacinquenni. Tra i minori (5-17 anni) la quota scende al 22% e anche il consumo giornaliero di almeno una porzione si riduce al 60%.
Consumo di bevande zuccherate meno diffuso in Italia rispetto ai paesi Ue27
L’indagine europea monitora, per la prima volta nel 2019 in tutti i paesi, il consumo di “soft drinks”, bevande analcoliche zuccherate gassate (cola, aranciate, limonate, gazzose, ecc.). Finlandia e tre paesi dell’Europa dell’Est (Estonia, Lituania e Lettonia) hanno frequenze di consumi molto basse.
Anche in Italia è molto contenuta (5,5%) rispetto a molti altri paesi Ue (9,1% media Ue27) e sono più elevate le quote di persone che dichiarano di non consumare “quasi mai” tali bevande (75% contro 66% della media Ue27 e 70% di Francia e Spagna). Nella maggior parte dei paesi europei, tranne Irlanda, Danimarca e Lussemburgo, le persone obese mostrano una minore attitudine rispetto ai normopeso a consumare “soft drinks”: in Italia il 77% degli obesi dichiara un consumo solo occasionale o nessun consumo (contro il 74,2% dei normopeso).
I “soft drinks” sono meno diffusi tra le persone con un elevato titolo di studio: tra i 15-64enni la quota di chi non ne consuma quasi mai è pari al 76,9% tra i laureati e scende al 67,2% tra chi non ha nemmeno un diploma. Analoghe disuguaglianze si registrano anche in Europa.
La frequenza di consumo è più bassa nell’Italia centrale, il 79% non ne consuma “quasi mai” (nel Nord-ovest 73%). Tali differenze territoriali persistono anche considerando le distribuzioni per età.
Più elevato il consumo di bevande zuccherate gassate tra i minori e i giovani
La frequenza del consumo di “soft drinks” è più elevata tra i minori di 5-14 anni rispetto alla popolazione adulta: il 10,3% li consuma almeno una volta al giorno, oltre un terzo (37,5%) da 1 a più volte a settimana. Tra i minori di 5-14 anni residenti al Sud solo il 45,1% non consuma bevande zuccherate gassate o lo fa raramente, a fronte del 56,7% dei coetanei residenti nel Nord-est; contestualmente il 12,3% dei ragazzi residenti al Sud consuma queste bevande una o più volte al giorno e il 42,5% più volte a settimana, mentre nel Nord-est le quote sono del 9,5% e del 33,8%.
Tra i giovani maschi di 15-29 anni, la quota dei consumatori giornalieri è superiore rispetto alle fasce d’età adulte (11,9% contro 6,2% delle femmine), con quote elevate al Nord (14,5%). Sempre in questa fascia di età i comportamenti di consumo di queste bevande sono simili tra i normopeso e quelli in eccesso di peso (9%), a differenza di quanto accade nella media Ue27 (12,9% tra i normopeso e 15,2% tra i giovani in eccesso di peso).
L’allattamento protegge la salute, ma un bambino su 10 non è allattato.
In Italia la quota complessiva di donne, con almeno un figlio fino a 36 mesi di età, che hanno dichiarato di aver allattato il bambino è in tendenziale aumento (90% nel 2019; 87,3% nel 2013; 83,3% nel 2005). La durata mediana dell’allattamento passa da sei mesi nel 2013 a sette mesi nel 2019xiv. Nel 2019, considerando l’indicatore Oms relativo all’allattamento dei bambini fino a 24 mesixiv, si raggiunge il 90,9% (il 9,1% non è mai stato allattato al seno).
La durata media del periodo di allattamento per i bambini fino a 24 mesi evidenzia un lieve incremento: da 6,9 mesi nel 2013 a 7,9 mesi nel 2019. La quota di donne che hanno allattato il proprio bambino per almeno 6 mesi si stima pari al 56,9%. La principale raccomandazione dell’Oms è quella di prolungare l’allattamento esclusivo al seno almeno fino a 6 mesi, seguita dal 31,1% delle madri (seppur con i limiti di un quesito di tipo retrospettivo e soggettivoxv). La durata media dell’allattamento esclusivo è invece pari a 4,3 mesi (3,8 nel 2013).
In Italia meno fumatori abituali rispetto alla media Ue27
In Italia i “fumatori abituali”, cioè coloro che fumano tutti i giorni, nel 2019 si stimano in circa 8 milioni e 700 mila, pari al 17,3% della popolazione di 15 anni e più: un uomo ogni cinque (21,6%) e una donna su sette (13,2%). I tassi sono inferiori alla media degli Stati Ue27 (per gli uomini 23,6%, per le donne 15,3%), dove la percentuale di fumatori giornalieri varia dal 7,4% in Svezia al 29,1% in Bulgaria.
Per entrambi i generi la più elevata diffusione del fenomeno si registra nell’età adulta, con il valore massimo a 25-44 anni per gli uomini (27,9%) e a 45-64 anni per le donne (16,9%).
La maggior parte dei fumatori abituali fuma sigarette (16,5% in Italia, 18,4% nell’Ue27). Mediamente gli uomini ne fumano 15 e le donne 11. La quota di “forti fumatori”, vale a dire coloro che fumano 20 e più sigarette al giorno, in Italia è di poco inferiore alla media europea: 4,7% contro 5,9%. Il valore minimo si registra in Svezia (1%) e quello massimo in Bulgaria (12,9%). I forti fumatori sono soprattutto uomini (7,3% contro 2,2% delle donne). L’abitudine a fumare 20 e più sigarette al giorno è crescente con l’età fino a 45-54 anni (dal 2,2% tra i giovani di 20-24 anni sale al 7,1% a 45-54 anni), diminuisce poi progressivamente nelle età successive fino all’1,1% tra gli ultrasettantacinquenni.
Più fumatori abituali tra le persone meno istruite
L’abitudine al fumo è strettamente associata al livello di istruzione, ma con andamenti differenziati nei due sessi. Negli uomini i fumatori abituali aumentano al decrescere del livello di istruzione (16,2% tra i laureati, 23,9% tra coloro che hanno conseguito al massimo la licenza media). Nelle donne, invece, l’influenza del livello di istruzione sull’abitudine a fumare è diversificata in funzione dell’età. Fino a 64 anni la relazione è analoga a quella degli uomini: 12,3% tra le laureate, 17,4% tra le diplomate e 18,4% tra chi ha al massimo la licenza media. Tra le donne più anziane (65 anni e più) sono invece le più istruite a far registrare la maggiore prevalenza di fumatrici (13,3% contro 6,1% di chi ha al massimo la licenza media).
Giovani più esposti ai rischi del fumo passivo
Un ragazzo di 15-19 anni ogni cinque è esposto al fumo passivo ogni giorno (21,4%). Quote elevate di esposizione giornaliera ai rischi del fumo passivo si osservano anche tra i giovani di 20-24 anni (28,8%) e 25-34 anni (24,0%).
Le persone con basso titolo di studio di 25-64 anni sono maggiormente esposte ai rischi del fumo passivo in ambienti chiusi della propria abitazione o del luogo in cui lavorano: 22,3% contro 12,6% di chi ha un titolo di studio più alto.
Una maggiore esposizione giornaliera al fumo passivo si rileva al Sud (22,9%, tasso standardizzato per età) e nelle Isole (19,6%), rispetto al valore minimo dell’11,7% nel Nord-est.
Fonte: QuotidianoSanità.it