Convivenza col virus: dagli USA l’idea di una “rassegnazione attiva”
Articolo del 14 Gennaio 2022
Mentre Israele offre la quarta dose di vaccino anti SARS-CoV-2 ai pazienti più fragili, gli scienziati di altre parti del mondo occidentale, come gli Stati Uniti, stanno avendo ripensamenti sulla politica del richiamo vaccinale ripetuto ogni pochi mesi. In questo contesto indeterminato, sono appena comparsi sul JAMA tre editoriali che esortano Biden ad adottare una strategia diversa e nuova, orientata a condurre una vita normale con il virus, invece che a tentare di spazzarlo via. Leggerli porta non solo a notare le inevitabili similitudini di molti problemi tra paesi diversi, ma anche di apprezzare tutte le posizioni di vantaggio che l’Italia, grazie al suo (pur deficitario) SSN e anche ai provvedimenti degli ultimi due (pur criticabili) governi, ha sulla grande America.
Mentre Israele offre la quarta dose di vaccino anti SARS-CoV-2 ai pazienti più fragili, gli scienziati di altre parti del mondo occidentale, come gli Stati Uniti, stanno avendo ripensamenti sulla politica del richiamo vaccinale ripetuto ogni pochi mesi.
La maggior parte degli immunologi rigetta l’ipotesi di un parziale fallimento della terza dose contro l’infezione a causa di un “esaurimento” del sistema immunitario, ritenendo più probabile quello che è stato chiamato “peccato originale antigenico”, ossia una risposta immunitaria confezionata in modo “sartoriale” contro la prima versione del virus e, quindi, ovviamente meno efficace contro le sue varianti (specie se, come la Omicron, presentano più di 50 mutazioni della proteina spike). Tuttavia, è plausibile che una quarta dose dello stesso vaccino non abbia maggiore efficacia. Inoltre, è irrealistico pensare di poter indurre i cittadini (negli USA già restii al booster) a sottoporsi ad altri inoculi, per di più in tempi brevi.
Molti nomi autorevoli delle università statunitensi caldeggiano l’adozione di misure diverse dalle vaccinazioni ripetute (o a esse complementari) per controllare la circolazione del virus e una maggiore definizione, da parte del governo, dell’obiettivo da raggiungere, dal momento che limitare i contagi non è la stessa cosa che limitare le ospedalizzazioni, obiettivo per il quale le due o tre dosi potrebbero essere sufficienti, data anche la messa in campo dell’immunità cellulare che supplisce al calo degli anticorpi.
Infine, gli immunologi sono ormai orientati a credere che lasciare più tempo tra le dosi potrebbe, addirittura, rafforzare l’immunità. «Ci muoviamo velocemente», ha detto in un’intervista al NYT Natalie Dean, biostatistica alla Emory University, «ma ancora non è chiaro dove vogliamo arrivare».
In questo contesto indeterminato, sono appena comparsi (6 gennaio 2022), sul Journal of the American Medical Association (JAMA), tre editoriali che esortano Biden ad adottare una strategia diversa e nuova, orientata a condurre una vita normale con il virus, invece che a tentare di spazzarlo via. Gli autori sono Luciana Borio e David Michaels, che hanno avuto cariche governative di alto rango, la prima nella Food and Drug Administration e il secondo nella Occupational Safety and Health Administration, e che hanno scritto a quattro mani con Ezekiel Emanuel, oncologo e bioeticista dell’Università della Pennsylvania, già consigliere sanitario di Barack Obama. È stato notato da commentatori che questo modo di rivolgersi al Presidente è inedito e contravviene, in qualche misura, al patto di lealtà con la Casa Bianca; ma, replica Borio, è stato dettato dalla frustrante sensazione di stare sempre combattendo la crisi di ieri invece di pensare a cosa è necessario fare per prepararci a quanto avverrà domani.
Prima della pubblicazione, gli editoriali sono stati sottoposti ai dirigenti vicini al presidente, ma Anthony Fauci si è rifiutato di commentarli. Tuttavia, qualche segnale che Biden stia valutando la possibilità di adattarsi a una convivenza con virus è arrivato sotto forma sia dell’enfasi con cui si vuole mantenere l’apertura delle scuole e dei commerci, sia della recente decisione dei Centers for Disease Control and Prevention di diminuire l’isolamento dei positivi da 10 a 7 giorni.
Prendere visione di questi tre documenti provocherà al lettore di Scienza in rete una certa sensazione di déjà vu, ma gli permetterà non solo di notare le inevitabili similitudini di molti problemi tra paesi diversi, ma anche di apprezzare tutte le posizioni di vantaggio che la piccola Italia, grazie al suo (pur deficitario) SSN e anche ai provvedimenti degli ultimi due (pur criticabili) governi, ha sulla grande America.
Lucia Borio ed Ezekiel Emanuel firmano il pezzo “A national strategy for COVID-19 medical countermeasures: vaccines and therapeutics”, nel quale definiscono “normale” una situazione in cui le infezioni respiratorie, le ospedalizzazioni e le morti totali, incluse quelle da nuovo coronavirus, non siano più numerose di quelle occorse nelle peggiori stagioni epidemiche influenzali precedenti la pandemia. Tale obiettivo, gli autori sostengono, può essere ottenuto rendendo accessibili a tutti i ceti sociali i vaccini e i farmaci innovativi o già noti. Affinché il tasso di morti per Covid-19 non ecceda l’1/100.000 abitanti, è necessario che il 90% della popolazione abbia anticorpi contro il SARS-CoV-2 (derivanti dalla vaccinazione o dalla pregressa infezione) che sono insufficienti a proteggere dal contagio con Omicron ma che riducono ricoveri e morte.
L’articolo auspica un continuo adeguamento dei vaccini alle varianti in corso (reso fattibile dalla sorveglianza genomica e dall’agile tecnologia farmaceutica) e l’effettuazione della vaccinazione annualmente, come per l’influenza. L’obbligo vaccinale, almeno per particolari fasce lavorative dell’amministrazione pubblica e delle grandi e medie imprese private, può essere efficace per chi rimanda il vaccino non perché lo avversa fondamentalmente ma perché è confuso o ha difficoltà di accesso. L’obbligo andrebbe esteso ai trasporti, agli eventi sportivi e agli spettacoli al chiuso, eventualmente sostituito da un test negativo, ma va abbinato a congedi per malattia remunerati, per far fronte alle eventuali reazioni al vaccino. Il governo deve impegnarsi, attraverso i suoi istituti, in programmi di ricerca sull’efficacia e la sicurezza della combinazione di vaccini diversi e sugli intervalli ottimali fra le dosi, nonché sullo sviluppo del vaccino universale cosiddetto pan-coronavirus.
La ricerca deve puntare anche sui vaccini somministrabili per spray nasale o per cerotto dermico e su nuovi farmaci che limitano l’eccessiva risposta infiammatoria, visto che gli attuali anticorpi monoclonali, già difficili da utilizzare per i loro limiti temporali e logistici, non sono efficaci contro Omicron (eccettuato sotrovimab). Si devono sviluppare antivirali più efficaci e sicuri degli attuali molnupiravir (che è potenzialmente mutagenico) e paxlovid, cocktail di nirmatrelvir e ritonavir (che ha molte interazioni farmacologiche). I trattamenti farmacologici ambulatoriali per Covid-19 devono essere resi immediatamente e gratuitamente disponibili (senza franchigie, co-pagamenti o costi per i non assicurati) per chiunque risulti positivo all’infezione da SARS-CoV-2 e rientri nelle indicazioni dell’FDA. Gli autori chiedono al governo la digitalizzazione dei certificati vaccinali in tutti gli stati, con connessione interstatale, superando i problemi di privacy, come già avviene per le patenti di guida, per la registrazione elettorale, per la Social Security e altro ancora.
Il secondo articolo, firmato da David Michaels ed Ezekiel Emanuel, “A national strategy for COVID-19. Testing, surveillance, and mitigation strategies”, chiede al governo di sanare: i difetti organizzativi della distribuzione dei test antigenici e molecolari per Covid-19 da parte delle istituzioni sanitarie governative, che hanno reso il test un “incubo logistico”, per di più a costo elevato; l’inefficienza e inefficacia del tracciamento, slegato dai dati demografici e geografici; i danni portati dalla sottovalutazione (fino al maggio 2021) della via di trasmissione per aerosol e dalla conseguente scorretta, confusa e ritardata indicazione all’uso delle mascherine; la carenza e la non centralizzazione dei dati di ricovero e di morte; la mancata notifica alle autorità dei positivi e il loro conseguente abbandono sociale e terapeutico; la scarsità dei test rapidi atti a diagnosticare gli atri virus respiratori, come quello influenzale, il sinciziale e i batteri patogeni per le vie aeree, per la diagnosi differenziale con SARS-CoV-2.
Secondo gli autori, deve essere attuata una puntuale sorveglianza degli effetti avversi, delle infezioni e della flessione anticorpale nel periodo post vaccinale; devono essere individuati i soggetti che hanno fatto solo due dosi, per invitarli a fare la terza. Viene, soprattutto, richiesto di implementare i tre pilastri della mitigazione del contagio: mascherine, distanziamento e ventilazione. Per far restare a casa, se positivi, i lavoratori, i giorni di assenza vanno pagati. Devono essere introdotti negli uffici, nelle scuole e sui trasporti pubblici sistemi di filtrazione dell’aria e incoraggiato l’uso nei luoghi chiusi di mascherine ffp2 (chiamate N95 o KN95, negli USA) che devono essere facili da reperire e costare poco.
L’ultimo editoriale, “A national strategy for the “New Normal” of life with COVID”, è stato scritto da Ezekiel Emanuel, insieme a Michael Osterholm e a Celine Gounder. Il pezzo esordisce così: “SARS-CoV-2 è qui per restare”. Il virus, essi deplorano, continua a persistere, evolversi e sorprendere, eppure Biden ha proclamato come imminente il trionfo su di lui appena prima di essere sbugiardato dalla variante Delta e poi da Omicron, perché ha dimenticato che occorre umiltà per delineare una strategia nazionale contro un virus della cui evoluzione, in pratica, non sappiamo quasi niente: ignoriamo se la patogenicità si attenuerà, se l’epidemia si trasformerà in endemia, quanto durerà l’immunità comunque acquisita, se le nuove, inevitabili, varianti saranno più o meno letali delle precedenti. Le proiezioni predittive sono necessarie, ma non sono certe e possono essere, in ogni momento, ribaltate dal mutare del patogeno. Le risposte di cui possiamo disporre sono l’ampliamento degli strumenti di salute pubblica e l’adattamento delle norme alle comprovate realtà locali.
Non ci libereremo del virus con i vaccini: i suoi reservoir animali sono vasti e in crescita, con nuovi spillover in agguato (si pensi, per esempio, che il 30% dei cervi dei parchi nazionali statunitensi sono positivi a SARS-CoV-2), il periodo d’incubazione è molto breve, gli asintomatici circolano alla grande. Quindi, va perseguita una vita “normale” con il virus, non libera dal virus: SARS-CoV-2 va annoverato fra gli altri virus respiratori in cui i nostri polmoni possono incorrere e stabilire che non si dovrà più parlare di rischio di morte per questo o per quel patogeno, ma di rischio aggregato per tutti i virus respiratori. Tale rischio, entro i limiti che aveva nell’inverno 2017-2018, non deve imporre lo stato d’emergenza, proprio come non lo ha fatto allora, con 41 milioni di casi sintomatici d’influenza, 710.000 ricoveri e 52.000 decessi, negli Stati Uniti, dove un altro virus, il respiratorio sinciziale, provoca ogni anno 15.000 morti. Tuttavia, al 9 gennaio 2022, i morti per Covid-19 in USA erano circa 835.000 e i casi circa 60 milioni: sono numeri molto alti, che vanno abbassati con le misure di mitigazione, in associazione ai vaccini e possibilmente ai farmaci che spengono l’infiammazione e la carica virale, prima di poter parlare di “normalità”.
Non va, poi, dimenticato che l’emergenza sanitaria coinvolge le cardiopatie, il diabete e le altre malattie croniche, quelle oncologiche, l’AIDS, la TBC, che devono essere prevenute e monitorate nel territorio e curate negli ospedali. L’articolo chiede, inoltre, al governo degli Stati Uniti di potenziare i presidi sanitari scolastici per la sorveglianza delle patologie, fisiche e mentali, dei bambini e degli adolescenti e chiude rilevando che è essenziale ricostruire la fiducia nelle istituzioni sanitarie pubbliche e nell’azione collettiva al servizio della salute pubblica. Dove questa fiducia è alta, come in Danimarca, si registrano i tassi più bassi di ricoveri e di morte per Covid-19. Potrà aiutare il ristabilirsi di questa fiducia un maggior dispiego di forza lavoro nelle aree sanitarie e un’ampia e continua condivisione dei dati.
Fonte: Scienza in Rete