La ricerca sugli animali e sulle piante che colonizzano le navi in arrivo da tutto il mondo: “In pericolo un gigantesco habitat che credevamo incontaminato”.
Dopo l’inquinamento e i cambiamenti climatici l’ennesima minaccia al Continente Bianco, l’Antartide, arriva clandestinamente: è nascosta sotto gli scafi delle tante navi che passano per il Polo Sud e si tratta di una moltitudine di specie infestanti, tra cozze, granchi, crostacei e alghe. Tutte minacciano di insediarsi in Antartide, sconvolgendone l’habitat finora quasi incontaminato.
È l’allarme lanciato da ricercatori dell’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, e della British Antarctic Survey in uno studio pubblicato sulla rivista «Proceedings of the National Academy of Sciences». Gli esperti hanno analizzato una vasta mole di dati, prima di tutto immagini satellitari, relativi all’attività navale a Sud dei 60 gradi di latitudine: così si è riusciti a tracciare i movimenti globali delle navi che entrano nelle acque antartiche. I risultati sono impressionanti: 1600 porti in tutto il mondo sono connessi con un territorio così remoto come il «Sesto Continente».
A minacciare gli equilibri di questa distesa di ghiacci sono piccoli animali marini che si incrostano letteralmente sugli scafi delle navi: imbarcazioni di qualsiasi tipo, da quelle turistiche, come i grossi scafi da crociera, a quelle di rifornimento, da quelle utilizzate dai ricercatori nelle spedizioni tra i due Poli a quelle dedicate alla pesca. «Specie invasive, non-native dell’Antartide, rappresentano una delle più grandi minacce alla biodiversità di tutta l’area e le cui specie indigene sono rimaste isolate per gli ultimi 15-30 milioni di anni – spiega David Aldridge del Dipartimento di of Zoologia della University of Cambridge, coordinatore del rapporto su “PNAS” -. Queste specie potrebbero anche avere un impatto economico, distruggendo le attività di pesca». Le specie aliene, anche grazie al riscaldamento delle acque oceaniche e al fatto che si sono adattate alle intemperie nel corso dei loro viaggi sugli scafi, potrebbero presto moltiplicarsi in Antartico, predare le specie native e, poi, scalzarle.
«Le specie che crescono sugli scafi delle navi sono determinate dalle rotte delle navi stesse. Abbiamo scoperto che, se da una parte le navi da pesca che operano nelle acque dell’Antartico visitano di fatto una ristretta rete di porti – spiega Arlie McCarthy, primo autore dello studio –, quelle turistiche e quelle da rifornimento viaggiano in tutto il mondo» e, quindi, rappresentano una minaccia ancora più grande, anche perché stazionano a lungo in molti porti, dando così il tempo alle specie aliene di attecchire sugli scafi e di adattarsi. «Siamo rimasti sorpresi nel vedere che l’Antartide è molto più connessa a livello globale di quanto pensassimo. I nostri risultati mostrano che le misure di biosicurezza adottate finora per proteggere il Sesto Continente vanno estese a più ampio raggio».
«Ci sono ferrei regolamenti in atto per impedire che specie aliene non-native raggiungano l’Antartide (come ad esempio l’obbligo di ripulire gli scafi dalle bioincrostazioni prima di un viaggio che abbia l’Antartide nella rotta – spiega lo studioso –, ma il successo di questi regolamenti dipende proprio dal possesso di informazioni atte a prendere decisioni idonee. Speriamo che i nostri risultati migliorino la capacità di impedire che le specie invasive colonizzino tutti quei territori». E aggiunge: «Le misure di sicurezza come il lavaggio degli scafi si concentrano attualmente su un piccolo gruppo di scali portuali riconosciuti come porti gateway, ossia quelle aree localizzate in posizione strategica rispetto ai grandi mercati di origine e di destinazione dei carichi. Questi nuovi risultati – ribadisce Lloyd Peck della British Antarctic Survey, altro autore dello studio – evidenziano la necessità di migliorare i protocolli di biosicurezza e le misure di protezione ambientale per le acque antartiche. L’obidettivo è difenderle dalle specie invasive, in particolare ora che le temperature oceaniche continuano a salire a causa del cambiamento climatico».
Fonte: La Stampa