Generazione COVID: la pandemia sta influenzando il cervello dei bambini?

Articolo del 29 Gennaio 2022

Lo stress vissuto dai genitori durante la gravidanza e l’isolamento dai pari potrebbero essere fattori in grado di rallentare l’apprendimento motorio e quello cognitivo. Ma la ricerca sui bambini pandemici mostra un quadro misto e secondo gli scienziati è troppo presto per trarre interpretazioni significative.

Come molti pediatri, Dani Dumitriu era in allerta per il possibile impatto dell’arrivo del coronavirus SARS-CoV-2 nei suoi reparti, ma si era sentita sollevata quando la maggior parte dei neonati del suo ospedale che erano stati esposti al COVID-19 sembravano stare bene. Conoscendo gli effetti di Zika e di altri virus, che possono causare difetti alla nascita, i medici erano attenti a questo tipo di problemi.

Tuttavia erano seguiti a ruota gli indizi di una tendenza più sottile e insidiosa. Dumitriu e il suo gruppo al NewYork-Presbyterian Morgan Stanley Children’s Hospital di New York avevano a disposizione dati sullo sviluppo infantile raccolti in due anni: dalla fine del 2017, avevano analizzato la comunicazione e le capacità motorie dei bambini fino a sei mesi. Pensando che sarebbe stato interessante confrontare i risultati dei bambini nati prima e durante la pandemia, Dumitriu aveva quindi chiesto al suo collega Morgan Firestein, ricercatore post-dottorato alla Columbia University di New York, di valutare se ci fossero differenze nello sviluppo neurologico tra i due gruppi.

Pochi giorni dopo, Firestein ha chiamato Dumitriu in preda all’agitazione. “Ha detto qualcosa come: Siamo in crisi, non so che cosa fare, perché non solo siamo di fronte a un effetto della pandemia, ma è un effetto significativo”, ricorda Dumitriu. Rimase è rimasta sveglia quasi tutta la notte a esaminare i dati. I bambini nati durante la pandemia avevano ottenuto, in media, un punteggio più basso nei test di motricità grossolana (o abilità grosso-motoria), motricità fine e capacità di comunicazione rispetto a quelli nati prima (entrambi i gruppi sono stati valutati dai loro genitori usando un questionario standard). E non importava se il loro genitore naturale era stato infettato dal virus o no; sembrava esserci qualcosa che riguaradava l’ambiente stesso della pandemia.

Dumitriu era sbalordita. “La sensazione era: oh, mio Dio. Stiamo parlando di centinaia di milioni di bambini.”

I ricercatori hanno testato le capacità cognitive di oltre 600 bambini di età compresa fra tre mesi e tre anni, inclusi 39 bambini nati durante la pandemia. I punteggi ottenuti nei test per valutare i primi apprendimenti (capacità motorie come stare in piedi e camminare, linguaggio, problem solvingsono apparsi in calo nel 2020 e 2021. La banda grigia indica i punteggi attesi (fra 86 e 115)

Anche se i bambini se la sono cavata generalmente bene quando sono stati infettati da SARS-CoV-2, la ricerca preliminare suggerisce che in alcuni bambini lo stress legato alla pandemia durante la gravidanza potrebbe influenzare negativamente lo sviluppo cerebrale del feto. Inoltre, a causa dello stress i genitori, e chiunque altro li accudisca, potrebbero interagire diversamente o meno con i bambini piccoli e in modi che potrebbero influenzare le capacità fisiche e mentali del piccolo.

lockdown – che sono stati cruciali per controllare la diffusione del coronavirus – hanno isolato molte giovani famiglie, privandole delle interazioni sociali del tempo e delle distrazioni. Stressati e sotto pressione, molti di quanti si prendono cura dei bimbi non sono stati in grado di dedicare ai bambini e ai neonati tutto il tempo a tu per tu di cui hanno bisogno.

“Tutti vogliono documentare come ciò abbia un impatto sullo sviluppo del bambino, sulle relazioni genitori-figli e sui rapporti tra pari”, dice James Griffin, direttore del Child Development and Behavior Branch all’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development a Bethesda. “Tutti sono preoccupati.”

Alcuni gruppi che studiano questi problemi in tutto il mondo iniziano a pubblicare i loro risultati, e sono cominciati nuovi studi. Ma è difficile ottenere risposte certe, anche perché durante la pandemia molti laboratori di ricerca sullo sviluppo infantile sono rimasti chiusi.

Alcuni bambini nati negli ultimi due anni potrebbero sperimentare ritardi nello sviluppo, mentre altri potrebbero essere cresciuti perfettamente sani, specie se chi li badava è rimasto a casa per periodi prolungati e ci sono state più opportunità di interagire con i fratelli. Come per molti aspetti della salute durante la pandemia, le disparità sociali ed economiche hanno un ruolo chiaro in chi finisce per essere più colpito. I primi dati suggeriscono che l’uso delle mascherine non ha influenzato negativamente lo sviluppo emotivo dei bambini. Ma lo stress prenatale potrebbe contribuire ad alcuni cambiamenti nella connettività del cervello. Il quadro è in evoluzione e molti studi non sono ancora stati sottoposti a peer review.

Alcuni ricercatori suggeriscono che molti dei bambini che rimangono indietro nello sviluppo saranno in grado di recuperare senza effetti duraturi. “Non mi aspetto che scopriremo che c’è una generazione ferita da questa pandemia”, dice Moriah Thomason, psicologo infantile e dell’adolescenza alla New York University Grossman School of Medicine.

Un calo vertiginoso del gioco

Un laboratorio che è riuscito a rimanere aperto durante la pandemia di COVID-19 è stato l’Advanced Baby Imaging Lab della Brown University a Providence, nel Rhode Island. Lì, Sean Deoni, biofisico medico, e i suoi colleghi usano la risonanza magnetica (MRI) e altre tecniche per studiare in che modo i fattori ambientali modellano lo sviluppo del cervello nei neonati.

Anche se la pandemia ha cambiato il loro modo di effettuare la ricerca – meno ospiti e più pulizia – gli scienziati hanno continuato a invitare bambini nel loro laboratorio, per monitorarne le abilità motorie, visive e linguistiche nel quadro di uno studio settennale dei National Institutes of Health sullo sviluppo nella prima infanzia e sui suoi effetti sulla salute successiva.

Tuttavia, con il progredire della pandemia, Deoni ha iniziato a sentire commenti preoccupanti dai suoi colleghi. “Il nostro staff ha cominciato a dirmi cose come: Ehi, questi bambini ci stanno mettendo molto di più a superare queste prove'”, ricorda Deoni.

Era disorientato, così ha chiesto ai suoi ricercatori di tracciare e confrontare le medie annuali e le varianze dei punteggi dello sviluppo neurologico dei bambini. Così, Deoni e colleghi hanno scoperto che i punteggi durante la pandemia erano molto peggiori di quelli degli anni precedenti. “Il crollo è iniziato alla fine dell’anno scorso e all’inizio di quest’anno”, aveva detto alla fine del 2021. Quando i ricercatori hanno confrontato i risultati tra i partecipanti, hanno visto che in una serie di test, che misurano lo sviluppo in modo analogo ai test del QI, i bambini nati durante la pandemia hanno totalizzato punteggi di quasi due deviazioni standard inferiori a quelli dei bambini nati prima. Hanno anche scoperto che i bambini provenienti da famiglie a basso reddito hanno sofferto dei crolli più forti, che i maschietti sono stati più colpiti rispetto alle bambine e che le abilità motorie grossolane sono state quelle più interessate.

All’inizio, Deoni ha ipotizzato che fosse in gioco un errore sistematico (bias) di selezione: forse le famiglie che hanno fatto lo sforzo di venire a fare i test durante la pandemia erano quelle i cui bambini erano a rischio di problemi di sviluppo o li stavano già mostrando. Ma, con il tempo, si è convinto che il bias di selezione non spiegava i risultati: i bambini che arrivavano non avevano esperienze pregresse, esiti alla nascita o status socio-economici diversi dai partecipanti precedenti.

Questi effetti sembravano drastici, ma alcuni ricercatori sostengono che non sono necessariamente predittivi di problemi a lungo termine. “Il QI, per i bambini piccoli, non ha un gran valore predittivo”, dice Marion van den Heuvel, neuropsicologa dello sviluppo all’Università di Tilburg nei Paesi Bassi. “È davvero difficile dire qualcosa su ciò che questo significherà per il loro futuro.” van den Heuvel indica uno studio che mostra che alcune ragazze rumene che erano state ospitate all’inizio della loro vita negli orfanotrofi, ma erano state poi adottate da famiglie prima dei due anni e mezzo di età, a quattro anni e mezzo avevano meno probabilità di soffrire di problemi psichiatrici rispetto a ragazze che erano rimaste in istituti assistenziali. Si tratta di una situazione diversa da una pandemia, ma suggerisce che, una volta eliminate le restrizioni, i bambini potrebbero rimediare alle loro difficoltà.

Con preoccupazione, tuttavia, Deoni ha scoperto che più la pandemia continuava, più i bambini accumulavano deficit. “La misura del deficit è enorme, è incredibile”, dice Deoni dei risultati, che sono ora in fase di revisione per la pubblicazione su “JAMA Pediatrics”.

Quando Deoni ha pubblicato per la prima volta i suoi risultati su un server di preprint, si è avuta una preoccupante copertura mediatica, provocando un contraccolpo sulla comunità di ricerca. C’era “una reale preoccupazione per il fatto che questi risultati fossero stati divulgati senza un’adeguata revisione tra pari”, dice Griffin.

Ma, supponendo che i risultati siano validi, perché i bambini nati durante la pandemia di COVID-19 potrebbero sperimentare significativi deficit cognitivi, e soprattutto motori? Deoni sospetta che i problemi derivino da una mancanza di interazioni umane. In una ricerca di follow-up che non è ancora stata pubblicata, lui e il suo gruppo hanno registrato le interazioni genitori-figli a casa, scoprendo che negli ultimi due anni il numero di parole pronunciate dai genitori ai loro figli, e viceversa, è stato inferiore rispetto agli anni precedenti. Sospetta anche che i neonati e i bambini piccoli non stiano facendo altrettanta pratica motoria complessiva di prima, perché non stanno giocando regolarmente con altri bambini o andando nei parchi giochi. “Purtroppo queste abilità gettano le basi per tutte le altre abilità”, dice.

Altre ricerche recenti sostengono l’idea che la mancanza di interazioni tra pari potrebbe rallentare alcuni bambini. In uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno, alcuni ricercatori del Regno Unito hanno intervistato 189 genitori di bambini di età compresa tra otto mesi e tre anni, chiedendo se i loro figli erano stati all’asilo o avevano frequentato la scuola materna durante la pandemia, e valutando il linguaggio e le abilità di funzionamento esecutivo. Gli autori hanno scoperto che le abilità dei bambini erano più elevate se avevano ricevuto assistenza di gruppo durante la pandemia, e che questi benefici erano più pronunciati tra i bambini provenienti da ambienti a basso reddito.

Quelli più a rischio sembrano essere i bambini di colore o provenienti da famiglie a basso reddito. Per esempio, un numero crescente di ricerche suggerisce che tra i bambini in età scolare, l’apprendimento a distanza potrebbe ampliare i già grandi divari di apprendimento e sviluppo tra i bambini provenienti da ambienti benestanti e a basso reddito e tra i bambini bianchi e di colore. Nei Paesi Bassi, altri ricercatori hanno scoperto che nelle valutazioni nazionali nel 2020 i bambini sono peggiorati rispetto ai tre anni precedenti, e che le perdite nell’apprendimento arrivavano fino al 60 per cento più elevate per i bambini provenienti da famiglie meno istruite.

Una ricerca suggerisce che in alcune parti dell’Africa sub-sahariana – tra cui Etiopia, Kenya, Liberia, Tanzania e Uganda – alcuni bambini abbiano perso fino a un anno intero di apprendimento. E negli Stati Uniti, dopo la prima serrata, un rapporto della società di consulenza McKinsey ha suggerito che gli studenti di colore stessero iniziando la scuola in autunno con un ritardo di tre o cinque mesi nell’apprendimento, mentre gli studenti bianchi erano indietro solo di uno-tre mesi.

Effetto mascherina

I bambini che durante la pandemia hanno frequentato la scuola o altri ambienti di gruppo hanno tipicamente interagito con altri che indossavano mascherine. Una domanda importante è se le mascherine, che nascondono parti del viso importanti per esprimere emozioni e parole, potrebbero anche influenzare lo sviluppo emotivo e linguistico dei bambini.

Edward Tronick, psicologo all’Università del Massachusetts a Boston, è stato bombardato da e-mail di genitori e pediatri preoccupati per i potenziali effetti di questo “mascheramento” sullo sviluppo dei bimbi. Tronick è famoso per il suo esperimento “Still Face” del 1975, che ha dimostrato che quando i genitori naturali rimanevano improvvisamente con la faccia impassibile mentre interagivano con i loro bambini, questi all’inizio cercavano di attirare la loro attenzione, ma poi lentamente si ritiravano e diventavano sempre più turbati e diffidenti.

Tronick ha così deciso di vedere se le mascherine avessero un effetto analogo. Con una sua collega, la psicologa Nancy Snidman, ha effettuato un esperimento (che non è ancora stato sottoposto a peer review) in cui i genitori hanno registrato con gli smartphone le interazioni con i figli prima, durante e dopo aver indossato le mascherine. Anche se i bambini si accorgevano che i loro genitori avevano indossato le mascherine e per un breve tempo cambiavano la propria espressione facciale, distogliendo lo sguardo o indicando la mascherina, continuavano poi a interagire con i loro genitori nello stesso modo di prima. La mascherina blocca solo un canale di comunicazione, dice Tronick. “Il genitore che indossa una mascherina sta ancora dicendo: ‘Sto interagendo con te, sono ancora qui per te, sono ancora in contatto con te’.”

Le mascherine facciali non sembrano interferire molto con la percezione emotiva o linguistica. Uno studio pubblicato a maggio ha riportato che i bambini di due anni erano ancora in grado di capire le parole pronunciate da adulti con maschere opache. I bambini “compensano i deficit di informazione più facilmente di quanto pensiamo”, dice l’autore principale dello studio, Leher Singh, psicologo della Singapore National University. Negli Stati Uniti alcuni ricercatori hanno scoperto che, sebbene le mascherine rendano più difficile per i bambini in età scolare percepire le emozioni degli adulti – un po’ come avveniva quando gli adulti indossavano occhiali da sole – i bambini erano ancora, per la maggior parte, in grado di fare inferenze accurate.

“Ci sono molti altri indizi che i bambini possono usare per analizzare come si sentono le altre persone, tipo le espressioni vocali, le espressioni del corpo, il contesto”, dice l’autore dello studio Ashley Ruba, borsista post-dottorato all’Università del Wisconsin a Madison.

Incinta e stressata

Altri ricercatori sono interessati a sapere se la pandemia possa influenzare lo sviluppo dei bambini prima che nascano. Catherine Lebel, psicologa che lavora al Developmental Neuroimaging Lab dell’Università di Calgary in Canada, e i suoi colleghi hanno intervistato più di 8000 donne incinte durante la pandemia. Quasi la metà ha riferito di aver sperimentato sintomi di ansia, mentre un terzo aveva sintomi di depressione, una percentuale molto più alta rispetto agli anni pre-pandemia. Questo stress ha colpito anche i bambini nel grembo materno?

Per scoprirlo, i ricercatori hanno usato la risonanza magnetica per scansionare il cervello di 75 dei bambini tre mesi dopo la nascita. In un preprint pubblicato nel mese di ottobre, hanno trovato che i bambini nati da persone che hanno riportato più sofferenza prenatale – più ansia o sintomi di depressione – mostravano connessioni strutturali differenti tra la loro amigdala, una regione del cervello coinvolto nell’elaborazione emotiva, e loro corteccia prefrontale, un’area responsabile per le abilità di funzionamento esecutivo.

In un precedente, piccolo studio, Lebel e il suo gruppo avevano stabilito un collegamento tra la depressione prenatale e le differenze di connettività del cervello in quelle stesse aree, e avevano suggerito che, nei maschi, questi cambiamenti del cervello erano correlati al comportamento aggressivo e iperattivo in età prescolare. Altri gruppi hanno scoperto che negli adulti i cambiamenti nella connettività tra queste aree sono fattori di rischio per la depressione e l’ansia. “Sono le aree coinvolte nell’elaborazione delle emozioni e in molti comportamenti diversi”, dice Lebel.

Scansioni cerebrali che mostrano i modelli di connettività media tra l’amigdala e altre regioni nei neonati. In alcuni bambini lo stress legato alla pandemia durante la gravidanza ha indebolito le connessioni

Altre ricerche hanno trovato associazioni simili tra lo stress pandemico prenatale e lo sviluppo del bambino. Livio Provenzi, psicologo della Fondazione IRCCS Mondino di Pavia, in Italia, e i suoi colleghi hanno osservato che i bambini di tre mesi figli di donne che hanno riferito più stress e ansia durante la gravidanza avevano più problemi a regolare le loro emozioni e l’attenzione – facevano più fatica a mantenere l’attenzione su stimoli sociali, per esempio, ed era più difficile tranquillizzarli – rispetto ai bambini nati da donne meno stressate e ansiose durante la gravidanza.

Moriah Thomason sta effettuando un suo studio per valutare gli effetti dei fattori di stress materni sul cervello e sul comportamento dei bambini. Lei nota che, anche se c’è molta preoccupazione su come lo stress prenatale potrebbe influenzare i bambini “figli della pandemia”, questi primi risultati non significano che i bambini siano predisposti a dover lottare con questi problemi per il resto della loro vita. “I bambini sono molto adattivi ed elastici. E ci aspettiamo che le cose miglioreranno e che dovrebbero essere in grado di essere resilienti a molto di quello che è successo”, dice.

Infatti, la ricerca sulle calamità storiche suggerisce che, anche se lo stress nel grembo materno può essere dannoso per i bambini, non sempre ha effetti duraturi. I bambini nati da donne che hanno subito un notevole stress a causa delle inondazioni del 2011 nel Queensland, in Australia, hanno mostrato deficit nella risoluzione dei problemi e nelle abilità sociali a sei mesi di età, rispetto ai bambini nati da donne che hanno subito meno stress. Tuttavia, entro i 30 mesi, questi risultati non erano più correlati allo stress, e più i genitori erano reattivi alle esigenze dei loro bambini e neonati dopo la nascita, meglio si comportavano i bambini.

Cautela e azione

La ricerca sui bambini pandemici presenta un quadro misto, e gli scienziati dicono che è troppo presto per trarre interpretazioni significative. Per un aspetto, alcuni di questi primi, spesso inediti, risultati potrebbero non riflettere la realtà, dice Catherine Monk, psicologa clinica che lavora con Dimitriu al NewYork-Presbyterian Hospital.

I genitori che hanno scelto di partecipare ad alcuni studi iniziali, per esempio, potrebbero non essere un campione rappresentativo, osserva Monk. Forse erano già preoccupati per i loro figli sulla base dei comportamenti che stanno osservando. Inoltre, aggiunge, i risultati degli studi di persona come quello di Deoni potrebbero essere influenzati dall’uso di mascherine per il viso: forse non molto, ma abbastanza da alterare i risultati.

Come Thomason ha scritto su “JAMA Pediatrics” l’anno scorso, l’incentivo a pubblicare risultati interessanti potrebbe anche aver influito su questi primi studi. “Gli scienziati fanno presto ad andare a cercare una differenza dannosa. È la cosa che attirerà l’attenzione dei mezzi di comunicazione, e che verrà pubblicata in una rivista ad alto impatto”, dice.

I ricercatori e i finanziatori stanno inaugurando grandi studi e collaborazioni che potrebbero aiutare a costruire un quadro più chiaro. Il National Institute on Drug Abuse degli Stati Uniti sta finanziando una manciata di studi nel quadro del suo Healthy Brain and Child Development Study. Questi studi esamineranno come lo stress materno e l’uso di sostanze durante la pandemia influenzano lo sviluppo del bambino. Inoltre, sono state formate alleanze e conferenze per riunire i ricercatori e condividere i dati emergenti. Nel marzo 2020, Thomason ha lanciato la COVID Generation Research Alliance, di respiro internazionale, che riunisce ricercatori di 14 paesi che stanno studiando le famiglie con bambini piccoli durante la pandemia. L’alleanza, che ha tenuto un vertice di ricerca nel novembre 2021, include ricercatori che lavorano in Nord e Sud America, Europa, Australia, Asia, Medio Oriente e Africa.

Anche se i cervelli dei bambini fossero veramente colpiti dalla pandemia, c’è ancora tempo per riportarli sulla strada giusta, nota Dumitriu. “Possiamo sicuramente evitare che questa diventi un’emergenza di salute pubblica”, dice. “Il cervello dei bambini di sei mesi è molto plastico, e possiamo organizzarci e cambiarne la traiettoria.”

I genitori possono stimolare i progressi giocando e parlando regolarmente con i loro bambini piccoli, e dando loro l’opportunità di giocare con gli altri in ambienti sicuri. Anche i cambiamenti politici volti a sostenere le famiglie e i bambini potrebbero fare la differenza. La ricerca di Lebel ha scoperto che un supporto sociale significativo, come quello di un partner o di un amico intimo, durante la gravidanza ha portato a una minore sofferenza prenatale. “Potremmo fare molto di più di questo nell’ecosistema delle cure prenatali”, dice Monk. I ricercatori caldeggiano anche gli interventi di sostegno alle famiglie subito dopo la nascita. La ricerca di Provenzi ha scoperto che le donne che hanno appena partorito e sono state visitate a casa da infermieri e neonatologi hanno sperimentato meno stress e ansia di quelle che non hanno ricevuto queste visite.

Nel complesso, i ricercatori sostengono che la maggior parte dei bambini probabilmente starà bene, anche se un numero maggiore del solito potrebbe trovarsi in difficoltà. E se vogliamo sostenere quelli che stanno rimanendo indietro, dovremmo idealmente intervenire presto. “I bambini sono certamente molto resilienti”, dice Deoni. “Ma allo stesso tempo, non possiamo dimenticare anche l’importanza dei primi mille giorni di vita di un bambino durante i quali vengono gettate le prime basi cruciali.” I primi bambini pandemici, nati nel marzo 2020 hanno, oggi, più di 650 giorni.

I bambini “sono un prodotto del loro ambiente”, dice Deoni. “Possiamo stimolarli, giocare con loro, leggere per loro e amarli; ed è quello che ci vuole.”

 

Fonte: Le Scienze

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS