La plastica non costituisce un grave problema ambientale solo quando si trasforma in rifiuto. Il suo attuale ciclo di produzione comporta l’emissione di una notevole quantità di gas serra.

 

Con il moltiplicarsi dei consumi di plastica, e con l’ampio uso del carbone come fonte energetica nei suoi processi produttivi, anche il suo impatto sulle emissioni di gas serra si è fatto rilevante.

L’impatto ambientale della plastica a cui si pensa più spesso è quello dovuto alla sua dispersione come rifiuto, che ormai si sta trovando dovunque, sui suoli e nei mari ma anche nell’aria, e che, soprattutto in forma di microplastiche, può danneggiare gravemente la nostra salute e quella degli animali. In alcuni casi i rifiuti vengono anche bruciati, rilasciando in aria carbonio e polveri.

Tuttavia l’impronta ecologica della plastica deriva anche dai combustibili fossili necessari per produrla, che emettono in atmosfera anidride carbonica e polveri, in quantità particolarmente elevate se si brucia il carbone. Ora, considerando che la domanda globale di plastica è quadruplicata negli ultimi 40 anni, è chiaro che l’impatto climatico della sua produzione sta diventando sempre più importante.

Ma quanto importante? È la domanda che si sono posti Livia Cabernard, del Politecnico federale di Zurigo (ETH), e i suoi collaboratori in un articolo pubblicato di recente sulla rivista “Nature Sustainability”.

In maniera semplicistica si potrebbe pensare che la produzione di plastica richieda più o meno la quantità di combustibili fossili contenuti nella plastica stessa, che fondamentalmente è fatta di petrolio.

Ma si tratta di una sottostima. Analizzando tutto il ciclo di vita del materiale, i ricercatori hanno mostrato che la sua impronta di carbonio è il doppio di quella che deriva da questa stima semplicistica, ed è almeno raddoppiata dal 1995 a oggi. Nel 2015 ha raggiunto i due miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, andando a rappresentare circa il 4,5 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. Nello stesso periodo l’impronta sanitaria globale della plastica, a causa delle emissioni di polveri fini, è aumentata del 70 per cento.

Lo studio mostra chiaramente come questi dati allarmanti siano dovuti soprattutto all’uso del carbone per la produzione di plastica in paesi come Cina, India, Indonesia e Sudafrica, dove è stata ricollocata gran parte della produzione a uso dei paesi occidentali.

Nel 2015, l’85 per cento della forza lavoro richiesta per la produzione di plastiche consumate da Stati Uniti e Unione Europea era impiegata all’estero, soprattutto in Oriente.

Lo studio mostra quindi come il ciclo della plastica dia un contributo non trascurabile al cambiamento climatico, per ridurre il quale bisogna ridurre il suo impiego, ma anche produrla in modo più sostenibile e pulito, almeno evitando il carbone, che è il combustibile fossile più impattante. Ed è chiaro che queste considerazioni vanno inserite nel contesto del negoziato internazionale sul clima, richiedendo ai paesi in via di sviluppo una transizione energetica che consenta loro di abbandonare il carbone, ma dando anche un forte aiuto per farlo.

 

Fonte: Le Scienze

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