La strada verso l’autarchia è ancora lunga. Nell’arco di 10-15 anni tuttavia, forse meno – considerato il rapido evolversi della tecnologia -, un ospedale potrà produrre in casa modelli di organi e tessuti umani o anche i dispositivi medici di cui ha bisogno. Questo grazie alle stampanti 3D che permettono la realizzazione di dispositivi e oggetti tridimensionali, a partire da un modello digitale attraverso l’aggiunta sequenziale di materiale strato su strato.

Il laboratorio al Policlinico di Pavia

Un notevole passo avanti in questa direzione lo ha mosso Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia che, insieme al Dipartimento di Ingegneria civile e Architettura dell’università di Pavia, ha realizzato «3D4Med» un laboratorio clinico di stampa 3D ubicato all’interno del Dipartimento di emergenza e urgenza ospedaliero. «Non è soltanto un laboratorio di ricerca, ma di fatto una struttura che serve tutto l’ospedale. La struttura nasce con questa specifica volontà di essere uno strumento al servizio dei medici» sottolinea il professor Andrea Pietrabissa, direttore Uoc Chirurgia generale 2 del Policlinico. Grazie alla partnership con una delle aziende leader nel campo delle tecnologie di «additive manufacturing» («manifattura additiva», così si chiama in inglese la stampa 3D) Pavia è riuscita a fare un considerevole salto di qualità.

Un simulatore per i trapianti di rene

«Siamo passati da una prima fase in cui gli oggetti che produceva la stampa 3D ci servivano per capire meglio l’anatomia di un paziente e dunque pianificare gli interventi terapeutici, all’attuale produzione di oggetti ai quali possiamo dare una consistenza diversa anche in parti diverse in modo tale da renderli il più possibile simili ai tessuti. Questo ci consente di simulare le procedure di nostro interesse», aggiunge. Un esempio? Un simulatore per i trapianti di rene. Si tratta di un manichino che riproduce la parte inferiore dell’addome di un paziente con tutte le strutture interne. La nuova tecnologia ha consentito di stampare dei reni completi di vasi che si comportano come quelli veri. Sia ben chiaro: non si tratta di organi biologici ma di «repliche» molto realistiche. «Con i reni 3D è possibile eseguire le anastomosi (cioè un tipo particolare di “collegamento” fra due organi o parti che li rende comunicanti, ndr) e i giovani medici possono così esercitarsi in un contesto di sicurezza. E questo vale non solo per la chirurgia. Abbiamo richieste anche da anestesisti, pediatri e cardiologi», precisa il professor Pietrabissa .

I progressi e i limiti

Rispetto a qualche anno fa, dunque, i progressi sono stati rilevanti. Nei materiali, ad esempio: l’«inchiostro» può essere liquido, solido in polvere o in filamento. Oppure nel procedimento di stampa. «Però sono ancora tanti i limiti sui quali stiamo lavorando — dice Ferdinando Auricchio, professore di Scienza delle costruzioni, Gruppo meccanica computazionale e materiali avanzati, presso il Dipartimento di Ingegneria civile e Architettura dell’Università degli Studi di Pavia —: le prestazioni meccaniche dei tessuti stampati sono vicine ma non sovrapponibili a quelle dei tessuti biologici, in particolare per i tessuti sottili e i vasi molto piccoli. «Mancano ancora delle proprietà, come la visibilità all’esame ecografico oppure meccaniche e di conducibilità elettrica. A tale proposito stiamo lanciando un progetto per ottenere tessuti con prestazioni elettriche simili a quelle del tessuto umano».

I risultati e i campi di applicazione

Con quali risultati? «Tutto questo potrebbe rendere la chirurgia sempre più realistica o aprire a tutta un’altra serie di campi applicativi, come gli organi su chip (microchip delle dimensioni di una chiavetta per computer sui quali si replicano l’architettura e le funzioni di uno specifico organo, ndr) e i bioreattori (dispositivi in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici, ndr) », risponde il professor Auricchio. Non solo. Durante la pandemia, il laboratorio si è per così dire «riconvertito» e ha prodotto valvole per i respiratori che in quel momento non si riuscivano a trovare. «Di fronte a questa tecnologia, il vero limite è la fantasia. L’errore è immaginarla come destinata ad un utilizzo unico», rimarca il professor Pietrabissa.

Le collaborazioni

Il laboratorio clinico di Pavia vanta collaborazioni sia a livello nazionale (Policlinico di Milano, cardiochirurgia di Verona), sia internazionale (Imperial College di Londra, Università di Osaka in Giappone) e culla anche il sogno di diventare un centro di competenza per la stampa digitale di distretti anatomici. Senza contare che l’anno prossimo sarà inaugurato il Campus della salute, il nuovo polo didattico voluto da università e ospedale. All’interno troverà posto anche un centro di simulazione clinica molto grande, un «ospedale virtuale» al quale 3D4lab fornirà modelli di organi su richiesta.

 

Fonte: Corriere della Sera

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