Ricorderete gli incendi dello scorso anno in Canada, il terzo peggiore della storia: 1600 roghi si sono estesi per più di 8700 chilometri quadrati. In California la stagione degli incendi dura ormai 12 mesi all’anno e, in generale, gli esperti dicono che negli Stati Uniti si è allungata di almeno due mesi. Il Nord America è uno dei punti caldi per lo sviluppo di incendi, ma un report uscito sulla Review of geophysics dell’Advancing Earth and Space science mostra che la tendenza è globale: la durata della stagione degli incendi (quando tende a verificarsi la maggior parte degli incendi) è aumentata in modo significativo in molte regioni a partire dagli anni Ottanta. In media, questa stagione si è allungata del 27% a livello globale, di più in Amazzonia, nel Mediterraneo e nelle foreste occidentali del Nord America, come scrivono gli autori su The Conversation.
Una conseguenza del riscaldamento globale
L’aumento delle temperature, la diminuzione delle precipitazioni e in generale dell’umidità dell’aria e il conseguente cambiamento della vegetazione – tutte conseguenze dei cambiamenti climatici sempre più evidenti sul nostro pianeta – creano condizioni favorevoli all’accensione e alla diffusione degli incendi. Nell’ultimo secolo la temperatura è cresciuta di più di un 1°C e le previsioni per la fine di questo secolo dicono che potremmo raggiungere i 2.7°C di riscaldamento globale. I modelli climatici prevedono che gli incendi diventeranno sempre più frequenti e intensi con il riscaldamento globale.
Le previsioni per il futuro
Analizzando dati storici e meteorologici, e combinandoli con i modelli climatici, i ricercatori hanno calcolato che il numero di giorni in cui si verificano incendi estremi – quando, specificano, le temperature sono particolarmente elevate, non ci sono precipitazioni recenti, l’umidità è particolarmente bassa e i venti sono in grado di alimentare le fiamme – è aumentato del 54% a livello globale. Per questo motivo, gli incendi più estesi e gravi, difficili da contenere, oggi sono più probabili che in passato. Non solo, l’aumento degli incendi genera anche un circolo vizioso per cui bruciando la vegetazione si emette ulteriore CO2 in atmosfera, che a sua volta contribuisce all’aumento delle temperature.
Per quel che riguarda gli scenari futuri, poi, la situazione è ancora più allarmante perché c’è poco che si possa prevedere con certezza. Se le temperature dovessero aumentare al di sopra dei due gradi rispetto all’epoca preindustriale, infatti, le condizioni globali saranno irriconoscibili rispetto a quelle che hanno caratterizzato la storia recente di molte regioni del mondo, e gli esperti non hanno alcun precedente storico o modello a cui attingere.
Siamo parte attiva
Molto più degli incendi naturali, causati da scariche di fulmini nelle foreste ad esempio, quelli legati – direttamente o indirettamente – all’essere umano predominano. Lasciando da parte quelli di natura dolosa, gli incendi succedono per lo più in prossimità delle città, a causa delle scintille provocate da linee elettriche difettose o da macchinari agricoli, oppure sono causati dall’uso del fuoco per bruciare residui agricoli o di disboscamento.
Secondo gli scienziati, comunque, l’uomo è ancora in grado, in molte regioni, di agire direttamente per mitigare gli effetti del riscaldamento globale sugli incendi. A livello globale, rallentare e invertire la tendenza di accumulo di CO2 e di altri gas serra nell’atmosfera terrestre rallenterebbe certamente l’accelerazione del rischio di incendi. Le condizioni meteorologiche che favoriscono gli incendi sono già aumentate più rapidamente del previsto in molte regioni a rischio, e non riuscire a mantenere il riscaldamento globale sotto i due gradi, l’obiettivo minimo dell’Accordo di Parigi, potrebbe essere pericoloso.
Fonte: Galileo