I trapianti di batteri fecali sembrano avere aiutato alcune persone a superare la resistenza della malattia a potenti immunoterapie. Ora decine di sperimentazioni si stanno focalizzando sul legame fra cancro e microbioma.
Zion Levy ricorda l’eccitazione che lui e sua figlia hanno provato quando, nel 2019, hanno esaminato le scansioni del corpo, osservando piccoli punti neri, che rappresentavano metastasi di melanoma, ridursi e infine scomparire. Non erano le scansioni di Levy. Non sapeva nemmeno da chi provenissero quelle scansioni, ma aveva un legame con esse.
Circa cinque anni prima, a Levy era stato diagnosticato un melanoma, ma era in remissione grazie a una potente immunoterapia chiamata nivolumab. Poiché aveva risposto bene al farmaco, i medici dello Sheba Medical Center di Tel HaShomer, in Israele, gli chiesero se avrebbe preso in considerazione la possibilità di donare le sue feci – e i microbi al loro interno – per aiutare altre persone che non avevano risposto alla terapia o i cui tumori erano diventati resistenti al trattamento. Levy accettò di sottoporsi a test rigorosi, prelievi di sangue e domande dettagliate su ciò che mangiava di più (pizza). Fece la sua donazione, la mise in una borsa frigo e poi chiamò un taxi noleggiato dall’ospedale. Come per ogni trapianto, il tempo di viaggio era importante. I medici volevano che il campione arrivasse in meno di 90 minuti.
Una volta lì, le feci di Levy sono state analizzate per verificare la presenza di agenti patogeni, diluite, omogeneizzate, centrifugate e setacciate fino a ottenere un brodo microbico raffinato che potesse essere liofilizzato e confezionato in capsule. L’entusiasmo di Levy per il progetto convinse Ben Boursi, oncologo allo Sheba Medical Center, che stava effettuando lo studio, a condividere le scansioni anonime di un destinatario dei microbi donati. Oggi, quella persona è rimasta per più di tre anni senza tracce di cancro ed è diventata un donatore in un analogo studio per il trattamento del melanoma. È un’eredità di cui Levy si sente soddisfatto. “Sono molto orgoglioso di poter salvare delle vite. Mi piacerebbe farlo ancora”, dice.
Lo studio israeliano e uno effettuato da ricercatori statunitensi sono stati i primi nel loro genere a usare il trasferimento microbico fecale (faecal microbial transfer, FMT) per preparare i pazienti a una migliore risposta alle immunoterapie, potenti farmaci antitumorali che scatenano il sistema immunitario dell’organismo contro i tumori. I risultati di questi due studi, pubblicati su “Science” lo scorso anno, sono stati modesti – su 26 persone che in precedenza non avevano risposto all’immunoterapia, circa una su tre lo ha fatto dopo il FMT – ma hanno suscitato grande attenzione.
“Anche se i pazienti erano pochi, in ogni gruppo c’era una coorte in grado di superare la resistenza. Penso che sia fantastico, perché dimostra che siamo sulla strada giusta”, afferma Brenda Wilson, microbiologa all’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign. Il prossimo passo, dice Wilson, è capire quali pazienti risponderanno e quali no.
Oggi sono in corso almeno 30 sperimentazioni di FMT in tutto il mondo, effettuate da laboratori accademici e aziende farmaceutiche, e i risultati stanno pian piano arrivando.
Sempre più ricerche dimostrano che il microbioma intestinale può avere effetti positivi o negativi sulla progressione di tumori a distanza, sugli effetti collaterali dei trattamenti e sulla capacità del sistema immunitario di eliminare le cellule tumorali. Alcune ricerche hanno collegato specifici batteri a effetti benefici, il che potrebbe indicare trattamenti personalizzati. Gli scienziati stanno esplorando il ruolo della dieta e della diversità dei microbi intestinali, oltre a rivelare le interazioni tra gli organismi che si trovano nell’intestino e quelli che vivono nei tumori stessi, aprendo potenzialmente all’identificazione di nuovi bersagli per il trattamento.
Tradurre queste osservazioni in terapie effettive, tuttavia, potrebbe rivelarsi difficile. Boursi ha trattato 30 persone e stima che tra 50 e 100 individui in tutto il mondo abbiano ricevuto il FMT per integrare la terapia del cancro. Quando i nuovi studi prenderanno il via, i ricercatori avranno bisogno di strategie per identificare i donatori migliori, aumentare la scala della procedura di trapianto e renderla accessibile.
Comunque, Boursi e altri non si lasciano scoraggiare. Secondo Boursi, questo approccio potrebbe aprire le porte a un'”era dell’oncologia ecologica”, in cui una migliore comprensione del tumore, dell’ospite, del sistema immunitario e dei microbi residenti porterà a un trattamento migliore.
Sperimentazioni fondamentali
L’interesse di Boursi è iniziato nel 2006. Durante un’escursione a piedi, mentre stava terminando gli studi di medicina, si era soffermato sulle escrescenze tumorali degli alberi, che a volte sono il risultato della risposta di una pianta a un’infezione. Aveva iniziato a pensare a come i tumori e i batteri potrebbero interagire nel corpo umano, ma i colleghi lo avevano dissuaso dal perseguire l’idea. Gli dissero di “concentrarsi sulla genetica”, ricorda Boursi. Tuttavia, proseguì a effettuare studi epidemiologici che collegavano il cancro e il microbioma, esplorando come gli antibiotici potessero modificare il rischio di cancro e come la dieta potesse modificare i microbi intestinali.
Dieci anni dopo, iniziava a delinearsi un quadro del microbioma come organismo modificabile sia in salute sia nella malattia, e il legame con il cancro aveva iniziato a ricevere attenzione. Questa tendenza ha coinciso con un’esplosione di interesse per le immunoterapie. Questi farmaci hanno avuto un notevole successo in molti tipi di cancro, ma non funzionano in tutti i pazienti: solo il 15-20 per cento delle persone ha una risposta duratura.
I dati a sostegno dell’influenza dei microbi nel successo o nel fallimento di queste terapie hanno iniziato ad accumularsi ai congressi di oncologia e nelle riviste più importanti. Uno studio del 2015, spesso citato, effettuato da Thomas Gajewski, oncologo all’Università di Chicago, e dai suoi colleghi, ha dimostrato che l’equilibrio dei microbi intestinali nei topi determinava la risposta dei roditori a un certo tipo di immunoterapia. Modificando il microbioma, i topi rispondevano meglio. Nel 2018, tre articoli hanno confermato questi risultati in persone affette da melanoma e trattate con inibitori del checkpoint, un tipo di immunoterapia che essenzialmente richiama le cellule immunitarie in stallo ad attaccare le cellule tumorali. La presenza o l’assenza di alcuni microrganismi chiave nell’intestino sembrava influenzare la probabilità di una risposta.
Ben presto, ricercatori di tutto il mondo hanno avviato studi clinici sull’FMT. La procedura aveva mostrato un certo successo nell’aiutare le persone con infezioni ricorrenti di Clostridioides difficile, un batterio che può causare un disturbo diarroico debilitante. Il melanoma è un obiettivo primario per il supporto dell’FMT perché è un tumore comune e solo a volte risponde bene alle immunoterapie.
“Si tratta di una tendenza che prima non esisteva”, afferma Hassane Zarour, esperto di dermatologia e immunologia del cancro all’Hillman Cancer Center dell’University of Pittsburgh Medical Center (UPMC), in Pennsylvania. “Quello che era scetticismo ora è positività.”
Zarour ha diretto lo studio che affiancava quello di Boursi pubblicato su “Science” lo scorso anno. Insieme, questi primi studi clinici hanno trattato un totale di 26 persone. Lo studio israeliano ha arruolato dieci persone con melanoma in fase avanzata il cui tumore era progredito nonostante il trattamento con un inibitore di checkpoint. Solo tre hanno superato la resistenza alla terapia, e due di questi solo parzialmente; per inciso, tutti e tre i pazienti che hanno risposto hanno ricevuto l’FMT da Levy. Tutti i cinque partecipanti che hanno ricevuto materiale da un altro donatore (anch’egli sopravvissuto al cancro) non hanno risposto.
Lo studio statunitense, gestito dall’UPMC e dal National Cancer Institute di Bethesda, in Maryland, ha arruolato 16 persone con melanoma metastatico il cui cancro era progredito dopo l’immunoterapia. Lo studio è ricorso a sette donatori che avevano avuto una risposta duratura all’immunoterapia per il melanoma. Dei 16 riceventi, sei hanno mostrato una risposta e tre di questi hanno avuto una risposta completa, anche se non ci sono stati chiari segni che le feci di un donatore avessero un effetto più o meno positivo.
Gli scienziati non sanno ancora che cosa significhi avere “feci buone”, ovvero materiale da donatore in grado di promuovere un’efficace risposta antitumorale, afferma David Pinato, consulente oncologo e responsabile del programma di ricerca sulle terapie in sviluppo all’Imperial College London. “È necessario sapere se ciò che si sta somministrando è effettivamente attivo a livello locale”, afferma. “In fin dei conti potrebbe trattarsi di somministrare semplicemente un placebo.”
Diversi studi hanno dato risultati contrastanti su quali siano i microbi più importanti. Sebbene un microbioma diversificato sia stato fortemente collegato a un stato di salute migliore, quello di Levy era meno diversificato dell’altro microbioma usato nello studio israeliano, eppure sembrava essere benefico.
“In definitiva, i ricercatori devono trovare la ricetta segreta, un consorzio di microrganismi con buone qualità funzionali che possa promuovere l’immunità e la salute generale”, afferma Jennifer Wargo, oncologa all’MD Anderson Cancer Center di Houston, e coautrice dello studio israeliano. Ma trovare il mix ottimale potrebbe essere impossibile. La composizione del microbioma varia notevolmente in base all’etnia, alla geografia e alla dieta, afferma Alexander Khoruts, gastroenterologo e direttore medico del programma terapeutico sul microbiota dell’Università del Minnesota a Minneapolis.
Il gruppo che ha condotto la sperimentazione statunitense ha pubblicato a marzo uno studio parallelo su “Nature Medicine”, con l’obiettivo di identificare gli organismi associati alla risposta e alla mancata risposta e di verificare se l’uso del machine learning possa aiutare ad abbinare i donatori e i riceventi di microbiota. Al momento, gli scienziati non sanno se i sopravvissuti al cancro abbiano un microbioma cattivo ma un buon sistema immunitario o il contrario, afferma Amiran Dzutsev, immunologo al National Cancer Institute e uno degli autori principali dello studio.
Un lavoro più recente di un gruppo canadese ha usato l’FMT da donatori che non hanno avuto tumori, per verificare se può prevenire la resistenza all’immunoterapia in persone che non l’hanno mai ricevuto prima. Il gruppo ha presentato i risultati della sperimentazione in fase iniziale a giugno, in occasione del convegno dell’American Society of Clinical Oncology a Chicago. La resistenza primaria è il problema più grande che il campo sta affrontando, afferma Saman Maleki, immunologo alla Western University a London, in Canada, e responsabile dello studio. Lo studio canadese ha arruolato 20 persone con melanoma avanzato. Dopo l’FMT e l’immunoterapia, tre persone hanno mostrato una risposta completa, 13 una risposta parziale e tre una malattia stabile (un partecipante è morto di melanoma).
I dati sono preliminari, ma Maleki è soddisfatto dei risultati ottenuti finora. “Da tutti questi studi abbiamo ottenuto non solo un buon segnale di sicurezza, ma anche i primi segnali che indicano la capacità dei trattamenti basati sui microbiomi di migliorare l’efficacia dell’immunoterapia.”
Zeynep Eroglu, oncologa al Moffitt Cancer Center di Tampa, in Florida, sottolinea che il tasso di risposta in questo studio è stato solo di poco superiore a quello della sola immunoterapia. In genere, circa il 40 per cento dei melanomi in fase avanzata mostra una risposta all’immunoterapia. Tuttavia, afferma l’esperta, “mi congratulo con gli sperimentatori per il tentativo di portare questo farmaco in prima linea nel trattamento del melanoma metastatico”. Aggiunge che convincere le persone a provare l’FMT prima dell’immunoterapia potrebbe non essere facile. “Sarà interessante vedere dove andranno a parare questi studi.”
Manipolare un ecosistema complesso
Secondo Wargo, l’identificazione delle feci ideali per la donazione potrebbe non essere una questione di quali microbi contengono, ma piuttosto di che cosa fanno. Osservare i metaboliti prodotti dai batteri è fondamentale per caratterizzare i trattamenti, afferma Khoruts. Questo potrebbe a sua volta modificare le modalità di somministrazione.
Un altro aspetto da considerare è il microbioma del tumore stesso. I microbi costituiscono circa il 25 per cento dell’ambiente tumorale e la loro presenza può promuovere o bloccare l’immunità antitumorale. Negli ultimi anni, il lavoro di Ravid Straussman, biologo oncologico al Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, ha dimostrato che i microbi nei tumori possono mediare la resistenza alla chemioterapia. Il gruppo di Straussman ha anche identificato batteri specifici all’interno delle cellule tumorali.
Secondo Boursi, i microbi raggiungono i tumori da diverse aree, tra cui l’intestino, la cavità orale e il flusso sanguigno, a seconda del tipo di cancro. “Pensiamo che abbiano origini diverse”, afferma Florencia McAllister, oncologa all’MD Anderson Cancer Center. “Lo sappiamo confrontando, nello stesso paziente, il tumore con i tessuti adiacenti e con i microbiomi intestinali e orali.” I ricercatori stanno iniziando a intercettare la comunicazione tra microbioma tumorale e microbioma intestinale per scoprire se e come si influenzano a vicenda.
Alcuni studi stanno iniziando a svelare le complessità. Un articolo del 2019 su “Cell” ha studiato persone con adenocarcinoma pancreatico – una diagnosi con un tasso di sopravvivenza generalmente basso – provenienti da due aree degli Stati Uniti geograficamente distinte, Baltimora e Houston. Le persone che hanno avuto una risposta a lungo termine, ovvero quelle che sono sopravvissute per cinque o più anni, presentavano un microbioma tumorale più diversificato rispetto a quelle che sono sopravvissute per meno di cinque anni. Sembra che alcuni dei microbi presenti nel tumore derivino dall’intestino. L’FMT dei sopravvissuti a lungo termine ha ritardato la crescita del tumore nei topi con cancro al pancreas e ha potenziato le loro cellule immunitarie.
Per verificare queste idee il gruppo ha ora in programma uno studio clinico nelle persone affette da tumore al pancreas. “In primo luogo, vogliamo vedere se il microbioma trapiantato è stabile e può essere mantenuto nel tempo”, afferma McAllister, autore principale dell’articolo su “Cell”. A lungo termine, lo studio analizzerà se l’alterazione dei microbi intestinali con l’FMT modificherà direttamente i microbi nel tumore.
Ma non si è compreso nemmeno quanto la dieta influenzi i trapianti di microbiota, che è probabilmente l’area meno studiata di questo lavoro impegnativo di ricerca. Khoruts dice che la domanda più comune posta dalle persone che ricevono l’FMT per le infezioni da C. difficile è che cosa dovrebbero mangiare dopo la procedura. La sua risposta è di ridurre al minimo gli alimenti trasformati (o lavorati) e di privilegiare una dieta a base vegetale, perché i microbi intestinali benefici amano i carboidrati complessi.
Gli studi epidemiologici effettuati in tutto il mondo dimostrano che la dieta influenza i profili del microbioma intestinale più di quanto non facciano i geni delle persone, afferma Christine Spencer, che dirige il reparto informatico del Parker Institute for Cancer Immunotherapy di San Francisco. Spencer è l’autrice principale di uno studio del 2021 che ha dimostrato che le persone affette da melanoma che seguivano una dieta ricca di fibre avevano maggiori probabilità di rispondere positivamente all’immunoterapia, mentre i probiotici da banco erano associati a esiti peggiori.
Attenuare gli effetti collaterali
Dopo la diagnosi di melanoma maligno nel 2017, Amnon Shany si è offerto volontario per uno studio clinico che testava l’inibitore del checkpoint immunitario, il pembrolizumab, un anticorpo che inattiva una proteina che le cellule tumorali usano per nascondersi dalle cellule immunitarie. Quasi subito gli effetti collaterali si sono fatti sentire: l’artrite ha limitato tutti i movimenti e ha dovuto smettere di giocare a tennis. Nel corso di due anni, la disidratazione causata da una grave diarrea lo ha mandato in ospedale sei volte. Le metastasi si sono ridotte, ma non sono scomparse.
“Non è stato un bel periodo”, dice Shany, chirurgo orale a Ness Ziona, in Israele. Ma, aggiunge, “non ho pensato nemmeno per un momento di avere un’altra scelta. Questa era la realtà.”
Poi, un anno e mezzo fa, il suo medico gli ha chiesto di provare l’FMT con un altro ciclo di immunoterapia. La prima reazione di Shany è stata di shock. “Se ho passato tutta questa agonia, l’ultima cosa al mondo che ho in mente è di ingoiare le feci di qualcun altro”, disse.
Ma l’esitazione non è durata a lungo. Firmato il modulo di consenso, ha preso parte allo studio durante il caos della pandemia di COVID-19. Si è sottoposto a un ciclo di FMT attraverso la colonscopia, una procedura che aveva imparato a temere. A questo sono seguire altre due dosi di 32 capsule – grandi come olive – che ha dovuto inghiottire in una sola volta. Shany le ha soprannominate “zeppelin”. Poi ha ripreso l’immunoterapia. Questa volta sembrava funzionare meglio. La sua ultima PET, a maggio, era pulita.
L’FMT di Shany proveniva dall’unico responsivo completo del primo studio clinico israeliano, rendendo Shany, in sostanza, un beneficiario di seconda generazione della donazione di Levy. Non solo l’immunoterapia ha funzionato, ma i suoi effetti collaterali sono stati ridotti al minimo, con grande sollievo di Shany.
Per i ricercatori è una grande speranza che la modulazione del microbioma possa alleviare i gravi effetti collaterali che l’immunoterapia può comportare. L’FMT è in fase di sperimentazione in studi pilota al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, alla University of Minnesota Medical School e in altri centri in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali, per compensare i danni al microbioma dovuti a cicli di chemioterapia, radioterapia e antibiotici.
“Le principali cause di mortalità non tumorale in questo contesto sono le infezioni e la malattia da trapianto contro l’ospite”, spiega Khoruts.
Rendere scalabile la terapia
Ma se i trapianti di microbiota per il cancro dovessero diventare una pratica corrente, potrebbero mettere a dura prova la limitata disponibilità di donatori. Poche delle persone che vogliono donare sono effettivamente qualificate. Per ottenere un donatore idoneo Maleki sottopone a screening 40 persone. Devono essere testate per le infezioni batteriche e virali e la pandemia di COVID-19 ha causato l’interruzione di alcuni studi in attesa dello sviluppo di test appropriati.
E sebbene la preparazione delle feci sia semplice, la necessità di evitare la contaminazione incrociata fa sì che i ricercatori possano trattare un solo campione di donatore in una stanza al giorno. Secondo Khoruts, anche le strutture accademiche più efficienti non saranno probabilmente in grado di gestire l’aumento della domanda. I trapianti di microbioma potrebbero essere affidati a un’impresa commerciale o no profit. “Farlo su larga scala richiede investimenti”, afferma Khoruts. Ci sono già segnali che si stanno concretizzando, con alcuni studi clinici condotti da aziende.
Alla fine, l’FMT per il cancro potrebbe portare a una convergenza di diverse tecnologie, afferma Zarour, con il ricorso a batteri di origine umana o ingegnerizzati per creare farmaci. Questo sforzo richiede una maggiore comprensione della complessità delle comunità microbiche nel cancro rispetto a quella che i ricercatori hanno attualmente.
Inoltre, via via che emergono le tecnologie, potrebbero avere un prezzo che non tutti possono permettersi, afferma Colleen Kelly, gastroenterologa alla Brown University di Providence, nel Rhode Island. Esistono già disparità nell’accesso al trattamento del cancro. Kelly ha scoperto che negli Stati Uniti i neri e gli ispanici hanno meno probabilità di ricevere l’FMT per le infezioni da C. difficile rispetto ai bianchi. L’autrice sta verificando se queste disparità siano dovute alla mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, di rinvio a centri specializzati o ai costi. Kelly teme che la stessa cosa possa accadere con l’FMT somministrato come parte del trattamento oncologico, per il quale si aspetta che i nuovi strumenti terapeutici siano costosi. Nonostante le incertezze, le sperimentazioni stanno andando avanti e si stanno espandendo ad altri tipi di cancro. Secondo Boursi, queste sperimentazioni “cambieranno il modo in cui vediamo il cancro, il modo in cui indaghiamo sul cancro e, infine, cambieranno il modo in cui trattiamo il cancro”.
Fonte: Le Scienze