I più recenti dati disponibili, riferiti al 2020, indicano che in Italia, per la fascia di età inferiore ai 15 anni, si sono contate 128 gravidanze, con 120 ivg; nel gruppo tra i 15 e i 19 anni si registrano 4.521 nati, 443 aborti spontanei e 4.098 ivg. Inoltre, tra le giovani e le giovanissime spesso una nuova gravidanza interviene a distanza di poco tempo, per essere di nuovo interrotta; e molti sono i problemi per le madri giovani e giovanissime, problemi che si ripercuoto spesso anche sui figli.
Da quando, il 24 giugno 2022, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha revocato il diritto costituzionale all’aborto, la discussione in seno alle opinioni pubbliche dei diversi Paesi ha posto l’accento soprattutto sui diritti riproduttivi delle donne. Comprensibile, legittimo e, comunque, inevitabile. Tuttavia, un commento uscito su Lancet Child & Adolescent Health il 21 novembre scorso a firma di Maya Kumar e Claudia Borzutzky ha richiamato l’attenzione su quello che le due autrici definiscono: «l’effetto devastante che queste leggi avranno sulla salute dei bambini e delle adolescenti».
Negli Stati Uniti, infatti, le adolescenti rappresentano una piccola parte di coloro che ricorrono all’interruzione di gravidanza, ma si affidano a questa scelta più di qualsiasi altro gruppo: circa il 50% delle gravidanze nelle persone di età inferiore ai 15 anni e il 25% delle gravidanze nelle persone di età compresa tra i 15 e i 19 anni si conclude con un aborto, rispetto a solo il 12-13% tra le persone di età compresa tra i 20 e i 40 anni.
Certo, tra le adolescenti pianificare una gravidanza in maniera consapevole non è esattamente una pratica comune, spiegano le autrici: «perché potrebbero non aver completato lo sviluppo cognitivo necessario per comprendere le conseguenze di un rapporto sessuale non protetto». Inoltre, ci ricordano Kumar e Borzutzky, le gravidanze adolescenziali possono essere associate alla coercizione sessuale e alla violenza.
Ma non basta: spesso ragazzine e ragazzini per arrivare a un rapporto sessuale in sicurezza devono affrontare ancora oggi barriere fisiche, legali, emotive e finanziarie che rendono difficile accedere in modo riservato alla contraccezione. Uno scenario che sembra non essere cambiato poi molto dal 1994, quando la conferenza dell’agenzia Onu per la demografia denunciava: «negli Stati Uniti ogni 31 secondi un’adolescente rimane incinta e ogni due minuti un’altra diventa madre».
La realtà italiana degli aborti minorenni
In Italia il fenomeno è ancora più estremo e la forbice del ricorso all’aborto per i gruppi di età più giovani si allarga rispetto agli Stati Uniti. Dall’ultima relazione del ministero della Salute, che documenta l’attuazione della legge 194 per l’interruzione volontaria di gravidanza (Igv) i dati 2020, i più recenti disponibili, ci dicono che le giovanissime italiane al di sotto dei 15 anni risolvono la gravidanza con un aborto nel 93,8% dei casi, contro il 50% delle americane, mentre nel gruppo successivo, tra i 15 e i 19 anni, interrompe la gravidanza il 45,2% contro il 25% delle statunitensi. Solo nel gruppo tra i 20 e i 39 anni il dato si allinea infine con quello Usa, diventando praticamente identico: 11,8% delle italiane e 12% delle americane.
Nel 2020 in Italia per la fascia di età inferiore ai 15 anni si contavano 128 gravidanze: 4 nati, 4 aborti spontanei e 120 interruzioni di gravidanza. Le cose diventano più articolate nel gruppo tra i 15 e i 19 anni che faceva registrare 4.521 nati, 443 aborti spontanei e 4.098 Ivg, con un numero di parti e di interruzioni volontarie o spontanee molto simili. Infine nel gruppo delle adulte tra i 20 e i 39 anni si contavano 364.822 nati, 31.994 aborti spontanei e 53.332 interruzioni volontarie di gravidanza.
Ma i dati ci informano anche che tra le giovani e le giovanissime spesso una nuova gravidanza interviene a distanza di poco tempo, per essere nuovamente interrotta. Tra le 120 quindicenni che avevano fatto ricorso all’aborto, due (1,7%) non erano alla loro prima esperienza. Numeri anche maggiori nel gruppo di età successivo tra i 15 e i 19 anni di età: quasi l’8% (322) di quelle 4.098 che hanno scelto di abortire lo avevano già fatto in precedenza e più o meno lo stesso numero, 330 (pari all’8,1%) avevano già sperimentato la maternità. 105, infine, erano andate incontro a un aborto spontaneo.
I figli di genitori adolescenti rischiano di diventare genitori adolescenti
Ma qual è il destino di quelle adolescenti che non hanno fatto ricorso all’aborto, per scelta o per impossibilità, e che cosa attende i loro bambini? In generale la letteratura sull’argomento sottolinea che diventare genitori perché non è stato possibile ricorrere a un aborto significa aver maggiori probabilità di affrontare difficoltà economiche e un maggior rischio di restare imprigionati in relazioni violente. Condizioni che si amplificano nelle mamme adolescenti, che inoltre sembrano maggiormente esposte al rischio di ulteriori gravidanze ravvicinate e ripetute, come suggeriscono anche i dati italiani. Si alimenta, così, un meccanismo che trasmette da una generazione all’altra disagio e rischi per la salute.
A questo proposito, uno studio ungherese ha esaminato il percorso di vita dei bambini nati poco prima del divieto di aborto restrittivo emanato nel 1974, rispetto ai bambini nati successivamente. Ebbene: i bambini e le bambine venuti al mondo dopo l’entrata in vigore del divieto hanno fatto registrare livelli di istruzione più bassi, maggiore disoccupazione in età adulta e maggiori probabilità di diventare a loro volta genitori adolescenti. Insomma, un effetto potente e in grado di rendere un’intera generazione svantaggiata dal punto di vista socioeconomico, priva di relazioni e di attenzioni determinanti per sostenere e migliorare la qualità della vita, rispetto ai nati solo l’anno prima.
Tornando agli Stati Uniti e al lavoro di Kumar e Borzutzky , le due autrici sottolineano che limitare l’accesso all’aborto quasi certamente aggraverà le disparità razziali ed etniche esistenti in materia di salute materna e infantile. In Usa le gravidanze indesiderate, soprattutto tra le minorenni, sono più comuni tra le donne nere e latine rispetto alle donne bianche. La riduzione dell’accesso all’aborto avrà quindi un impatto sproporzionato sull’autonomia riproduttiva delle persone di colore.
Le mamme bambine della Lombardia
Tornando in Italia, anzi in Lombardia, molte somiglianze tra le condizioni delle mamme adolescenti americane e quelle del nostro Paese emergono da un lavoro del laboratorio per la Salute materno infantile del dipartimento di Salute pubblica dell’Istituto Mario Negri.
Nel 2019, prima che Covid-19 influisse anche sulla natalità, erano 110 le ragazze tra i 14 e i 17 anni d’età e residenti in Lombardia ad aver partorito, 317 avevano interrotto volontariamente la gravidanza e 7 sono andate incontro ad aborti spontanei.
Il fenomeno delle mamme bambine è abbastanza circoscritto nel nostro Paese, dove interessa 1,3 parti ogni mille, e oltre che in Lombardia si riscontra in misura anche maggiore nelle regioni del Mezzogiorno. In Europa sono le nazioni dell’Est ad avere il primato, con numeri anche 20 volte superiori, come è il caso della Bulgaria.
Nell’ultimo decennio il numero di parti di madri minorenni si è ridotto del 20% sebbene le caratteristiche rimangano pressoché costanti: circa la metà delle madri sono straniere e un terzo delle coppie genitoriali è straniera. La quasi totalità delle madri è nubile e senza un’occupazione lavorativa stabile.
Al parto i nati di madre minorenne pesano di meno di quelli di madre adulta, con un rischio quasi doppio di dover essere trattenuti in osservazione per qualche giorno in ospedale.
Anche in Italia, come negli Stati Uniti e in Ungheria, le mamme minorenni sono esposte al rischio di disagi nello studio, con una maggiore prospettiva di abbandono, a difficoltà sul lavoro e nelle relazioni familiari, e, soprattutto nella pianificazione e conduzione di un progetto autonomo di vita. Spesso, il loro livello di autostima è basso, sono più frequenti fenomeni di depressione, così come i disturbi alimentari o l’abuso di sostanze. Condizioni che coinvolgono anche i bambini sin dai primi mesi di vita per un aumentato rischio di abuso, trascuratezza e disturbi cognitivi.
Contraccezione: un problema di accesso?
Dal primo gennaio di quest’anno i giovani francesi fino ai 25 anni hanno diritto a ricevere gratuitamente preservativi e contraccettivi orali. Lo ha voluto il presidente Emmanuel Macron, ampliando la legge che già lo prevedeva per la fascia d’età fino ai 18 anni, misura che dopo la sua entrata in vigore nel 2013 aveva visto calare il numero di aborti dal 9,5% del 2012 al 6% nel 2018. In Italia un provvedimento analogo, affidato all’Agenzia italiana del farmaco, è tutt’ora in discussione. Avrebbe dovuto riguardare 2,5 milioni di italiane (tenute comunque a esibire una prescrizione medica) e comportare costi per 200 milioni di euro all’anno, riducibili di almeno il 30% attraverso interventi di scontistica messi in campo dalla stessa Aifa. Nello scorso ottobre i rappresentanti di Lombardia e Veneto alla Commissione prezzi dell’agenzia si sono espressi negativamente e il percorso si è bloccato.
Eppure, è evidente che una sessualità responsabile e un progetto genitoriale consapevole, che possono scongiurare la necessità di trovarsi a dover decidere se ricorrere all’aborto, sono possibili se l’accesso agli strumenti per evitare una gravidanza indesiderata è reso facile e non particolarmente costoso (“rendere facili le scelte salutari” era lo slogan di una strategia europea di prevenzione ormai dimenticata: Guadagnare salute). E questo è particolarmente vero per i più giovani che combattono non solo contro i costi (in Italia i prezzi di preservativi e contraccettivi orali sono più elevati che in altri Paesi d’Europa) ma anche con le proprie paure e timidezze.
Secondo lo European Contraception Policy Atlas 2022 l’Italia, su temi quali l’accesso ai mezzi di contraccezione, il livello di consulenza sulla pianificazione familiare e la quantità di informazioni ufficiali disponibili online sulla contraccezione non supera il 55% nella scala che misura le performance dei singoli stati e si trova in compagnia di Paesi come la Turchia, la Serbia, l’Ucraina, la Bulgaria. A guidare, invece, la classifica in positivo altre nazioni europee come il Belgio, il Regno Unito e, per l’appunto la Francia.
Per l’Italia, un ultimo tentativo di inserire i contraccettivi orali in fascia A e quindi rimborsabili intende farlo l’attuale direttore generale di Aifa, Nicola Magrini, oggetto di spoil system e in procinto di lasciare l’agenzia il prossimo 24 gennaio.
Sex education?
Un’informazione adeguata è il primo passo per garantire una scelta libera sulla salute sessuale e riproduttiva, ricorda il già citato European Contraception Policy Atlas 2022 e abbiamo visto che sono ancora tanti i Paesi, tra cui il nostro, che non dispongono di un sito istituzionale per spiegare quali sono e come funzionano i diversi metodi contraccettivi.
Ma l’Italia è carente anche sul fronte dell’educazione sessuale in senso lato, che non è obbligatoria nelle scuole, a dispetto delle tante proposte di legge che hanno provato a istituirla, la più antica risale al 1975. Inoltre, anche quando si riesce ad attivarla, la formazione si concentra quasi esclusivamente sull’aspetto biologico della sessualità, senza prendere in considerazione quelli sociali, psicologici o emotivi che tanto peso hanno nell’esperienza dei ragazzi e delle ragazze.
«Tutti i cambiamenti nello sviluppo sessuale sono influenzati da fattori biologici, ma anche psicologici e sociali», recita una guida dell’Ufficio regionale OMS per l’Europa sugli standard per l’educazione sessuale. Esattamente quelli che l’Italia trascura.
Fonte: Scienza in Rete