L’intestino è il baricentro della nostra salute, sia psichica sia fisica, in virtù dell’azione del microbiota intestinale, protagonista negli ultimi anni di tantissima ricerca. Nel tempo se ne è compresa l’importanza e i probiotici – o fermenti – sono ormai proposti come rimedio per molti disturbi. Tanto che il valore globale dell’industria dei probiotici nel 2021 è stimato a quasi 60 miliardi di dollari ed è in continua crescita.
Come agiscono i probiotici
Le indicazioni terapeutiche per i probiotici sono tra le più disparate: è dimostrato che l’assunzione di fermenti lattici può contribuire a ridurre gli attacchi di diarrea dopo un ciclo di antibiotici, o aiutare a gestire problemi digestivi come la sindrome dell’intestino irritabile. Secondo l’Alliance for Education on Probiotic Products, che ha pubblicato una revisione indipendente (la Probiotics Guide, un elenco di integratori disponibili in Stati Uniti e Canada e il loro dosaggio supportato da studi sull’uomo), gli integratori probiotici possono aiutare con la diarrea del viaggiatore, la costipazione, le infezioni da Helicobacter pylori e Clostridium difficile, il mughetto e la mastite. Ma sulla loro reale efficacia i dubbi sono più delle certezze: a partire dal fatto che questi batteri concentrati in fialette o gocce non riescano in realtà a raggiungere vivi l’intestino e a colonizzarlo, ovvero ad attecchire entrando stabilmente a far parte del microbiota.
E che cosa sono i postbiotici
Si va dunque facendo strada la teoria che per tenere in equilibrio la nostra salute sia meglio affidarci ai postbiotici, ovvero a quei prodotti o sottoprodotti secreti da batteri vivi o rilasciati dopo la rottura della cellula del microrganismo. Tra i postbiotici più comuni ci sono acidi grassi a corta catena (Scfa), enzimi, peptidi, vitamine. Ognuno di essi esercita il proprio effetto, spesso, interagendo direttamente con il nostro organismo attraverso l’intestino.
Spiega Colin Hill, microbiologo della University College a Cork in Irlanda, che ha appena pubblicato un lavoro sull’argomento sulla rivista Gut Microbes: “Un microbioma che funziona in modo ottimale supporta le funzioni protettive, metaboliche e immunitarie, ma squilibri del microbiota possono portare al rilascio di tossine potenzialmente coinvolte in molte condizioni patologiche. Proprio perché i probiotici non sempre sono efficaci, l’interesse per i postbiotici è in aumento. I postbiotici infatti, sono più stabili, si conservano più facilmente ed esercitano benefici per la salute simili, se non superiori, a quelli dei probiotici”.
Il microbioma è la farmacia, i postbiotici i farmaci
Dunque, se il microbioma intestinale è come una farmacia naturale, i postbiotici sono i farmaci che essa dispensa. Vi sono prove crescenti dei possibili diversi benefici clinici dei postbiotici, in molte patologie piuttosto diffuse. Potrebbero offrire un nuovo approccio terapeutico e rappresentare un’alternativa più sicura ai probiotici. Le ricerche oggi, sottolinea Hill: “Puntano a sviluppare una terapia postbiotica per diversi problemi, da disturbi dermatologici a problemi muscolari fino anche alle vampate di calore”. Ma dobbiamo premettere che, al momento, si tratta di studi preliminari, per lo più. E che non ci sono ancora revisioni scientifiche che possano farci dire che i postbiotici sono efficaci. Ma l’interesse degli scienziati è grande. Per esempio, uno studio clinico pubblicato su Pharmacological Research e condotto da Gian Vincenzo Zuccotti dell’Ospedale pediatrico Vittore Buzzi di Milano ha mostrato che un integratore postbiotico può ridurre la dermatite atopica nei bambini, un eczema pruriginoso comune nei primi anni di vita. E, sempre sui bambini, diversi lavori hanno mostrato l’efficacia preventiva di alcuni postbiotici ottenuti dal Lactobacillo Paracasei contro le infezioni respiratorie.
Carenza di butirrato e allergie alimentari
Un postbiotico appartenente alla famiglia degli acidi grassi a catena corta, il butirrato, è importante invece per il funzionamento del sistema immunitario. Diversi studi hanno collegato la carenza di butirrato alle allergie alimentari, e suggerito che questa sostanza svolge un ruolo preventivo nei primi anni di vita. Inoltre, il butirrato mantiene forte la parete intestinale, riducendo l’infiammazione che contribuisce a obesità e malattie intestinali. Studi clinici suggeriscono che il butirrato può essere un’utile terapia coadiuvante per la colite ulcerosa. Un’altra molecola promettente è l’equolo, prodotto quando alcuni batteri intestinali “digeriscono” un composto della soia. L’equolo assomiglia alla struttura chimica dell’ormone sessuale femminile estrogeno, e un piccolo studio ha dimostrato che può ridurre la gravità delle vampate di calore in menopausa.
Un altro piccolo studio ha indagato le potenzialità del Plasmalogeni che “in un trial clinico pubblicato su eBiomedicine ha mostrato effetti positivi sulle funzioni cognitive di pazienti con Alzheimer lieve”, aggiunge Hill. Come detto, si tratta di lavori piccoli e preliminari che esplorano le potenzialità biologiche di queste molecole. La capacità di alcuni postbiotici di modulare l’attività del sistema immunitario, per esempio, li rende inoltre oggetto di studio come possibile complemento alle terapie antitumorali. Diversi studi hanno dimostrato che aiutano a calmare gli effetti collaterali delle immunoterapie oncologiche.
Postbiotici e sviluppo dei tumori
Altri studi si sono poi incaricati di studiare se alcuni postbiotici siano in grado di contrastare la crescita dei tumori. Si tratta di lavori estremamente preliminari, e di laboratorio, ma alcuni sembrano indicare che i prodotti di scarto secreti dai batteri Lactobacillus possano innescare la morte delle cellule tumorali, in vitro, o ridurre la loro capacità di invadere altri tessuti.
Più concrete, stando ai lavori di un’azienda produttrice, sembrano le prospettive dell’urolitina A, prodotta dalla “digestione” di cibi come fragole, melograno e noci da parte dei batteri intestinali: aiuta la funzionalità dei mitocondri, le centraline elettriche delle cellule; in studi preliminari Davide D’Amico della svizzera Amazentis ne ha mostrato il potenziale per ringiovanire le cartilagini e la muscolatura.
E ancora, il postbiotico che si ottiene dai frammenti del microrganismo Akkermansia muciniphila in uno studio clinico pilota su 32 individui ha mostrato di contrastare il sovrappeso e la resistenza all’insulina.
Questo prodotto, afferma Hill, è stato approvato dalla agenzia europea competente (Efsa) come integratore nella prevenzione cardiovascolare e di malattie metaboliche. Oltre all’Akkermisia muciniphila, altri postbiotici sono già approvati per uso clinico (per esempio Lactobacillus LB per la diarrea acuta). E, secondo Hill, altri arriveranno con nuove indicazioni terapeutiche rappresentando in molti casi una promettente alternativa ai fermenti lattici vivi.[[ge:rep-locali:content-hub:377927598]]
Eggerthella, Subdoligranulum e Coprococcus e gli altri gruppi microbici
In futuro i probiotici potrebbero divenire parte delle terapie contro i disturbi depressivi. Due studi mostrano che i pazienti depressi hanno un microbiota intestinale simile per varietà dei microrganismi presenti, segno che esiste una firma intestinale della depressione. Pubblicati sulla rivista Nature Communications, gli studi sono stati fatti dall’Università di Amsterdam e dall’Erasmus Medical Center di Rotterdam.
I risultati identificano anche specifici batteri intestinali coinvolti nella sintesi di molecole chiave legate alla depressione come il glutammato, il butirrato, la serotonina e l’acido gamma amminobutirrico (Gaba). Il primo studio ha coinvolto 3.211 persone di diversi gruppi etnici. E ha identificato un profilo intestinale predittivo del rischio di soffrire di depressione, in gran parte uguale tra tutti i gruppi etnici. In particolare, si associa alla malattia un microbioma meno vario. L’impatto del microbiota sul rischio di depressione è risultato forte quanto importanti fattori di rischio noti quali fumo, alcol, sedentarietà e sovrappeso.
Nel secondo studio, sul microbiota intestinale di 1.054 persone, i ricercatori hanno individuato 12 gruppi microbici sempre presenti nell’intestino di persone con sintomi depressivi, tra cui Eggerthella, Subdoligranulum e Coprococcus. La scoperta potrebbe far capire i meccanismi della malattia e portare allo sviluppo di nuove cure.
Il probiotico per la sazietà
Per perdere peso potrebbe venire in aiuto anche un probiotico, il microrganismo Hafnia alvei, che rilascia una sostanza (ClpB) in grado di indurre senso di sazietà. È la promessa che arriva dalle ricerche di Pierre Déchelotte del centro ospedaliero universitario di Rouen in Francia: l’esperto ha testato il probiotico su 212 individui sovrappeso in un lavoro presentato al congresso “Targeting Microbiota” 2022.
Déchelotte ha avviato una sperimentazione su pazienti sovrappeso o obesi, che avevano solo ricevuto delle raccomandazioni su come ridurre il proprio introito calorico. Per tre mesi una parte del campione ha assunto un probiotico a base del batterio Hafnia alvei due volte al giorno; i restanti hanno assunto un placebo.
Dopo tre mesi di trattamento una consistente parte del campione (il 55%) che ha preso il probiotico è riuscita a perdere il 3% del proprio peso, una percentuale considerata significativa nella prevenzione delle complicanze come il diabete di tipo 2. In effetti, i ricercatori hanno visto che i pazienti che assumevano il probiotico avevano una glicemia più bassa, quindi un rischio inferiore di ammalarsi di diabete. Infine, i partecipanti che hanno assunto il probiotico hanno anche riferito di avvertire una maggiore sensazione di sazietà. Serviranno ulteriori studi per capire meglio il meccanismo d’azione del probiotico.
Fonte: La Repubblica