Pesticidi, additivi di vario tipo e conservanti sono sostanze che oggi troviamo praticamente nella totalità dei prodotti alimentari e sono un prodotto dell’industrializzazione della filiera agroalimentare, avvenuta in maniera strutturale ed estesa a partire dal secondo Dopoguerra, quindi dagli anni 50 del secolo scorso in poi. In un periodo di appena 70 anni tutto il modo di produrre cibo, di conservarlo e perfino di consumarlo è stato praticamente stravolto rispetto ad un passato di millenni, in cui l’umanità aveva sempre utilizzato in pratica le stesse modalità di accesso e consumo al cibo, con pochissime variazioni avvenute soltanto 10 mila anni fa, con il passaggio dall’era dei popoli cacciatori-raccoglitori a quella dell’allevamento e agricoltura dei popoli stanziali.

 L’industrializzazione prima e la globalizzazione poi del settore alimentare sono nate – nella narrazione ufficiale – per far fronte alla esplosione demografica del secondo dopoguerra nei Paesi occidentali e rispondere ai bisogni alimentari di base. Pertanto le superfici agricole sono aumentate, come anche le rese per ettaro, e stabilimenti sono spuntati come funghi. Per dare da mangiare all’umanità affamata, centinaia di gigantesche navi porta-container, migliaia di aerei e milioni di camion percorrono il globo giorno e notte. Questa potente macchina industriale ed organizzativa è servita e serve ancora oggi a sfamare quasi 8 miliardi di esseri umani. 

Chiediamo però se ci siano delle contropartite negative per la salute dei consumatori e del pianeta nel seguire un tale modello? Una volta risolto il problema della quantità di cibo per tutti (non proprio per tutti, come abbiamo visto…), resta ovviamente da affrontare la faccenda della qualità: questo cibo industriale è anche salutare e sicuro?

 I guadagni in termini di rendimento economico per ettaro di questo modello industriale derivano sostanzialmente da diversi fattori tecnici, tra cui principalmente:

 1. la meccanizzazione e automazione dei processi

2. l’utilizzo di fertilizzanti chimici e pesticidi

3. la selezione varietale e genetica

 Sorvolo sui danni per così dire “collaterali” legati all’eccessivo consumo energetico, agli effetti nocivi per l’Ambiente e la biodiversità, all’inquinamento dell’aria e delle falde, per interessarci più direttamente a quello che poi ritroviamo nei nostri piatti e che non dovrebbe esserci.

 Tutti voi avete sentito parlare di pesticidi, prodotti chimici tossici come fungicidi, insetticidi, erbicidi e antiparassitari. Ma probabilmente non conoscete altri prodotti chimici largamente impiegati dall’agricoltura industriale sulle coltivazioni, ugualmente tossici. Mi riferisco ai cosiddetti “regolatori della crescita” di cui nessuno parla mai (che l’industria chiama spesso col termine meno allarmistico di fitofarmaci), e che modificano gli equilibri ormonali della pianta per influenzarne lo sviluppo e ottenere così dei frutti più abbondanti, più colorati, con fusti più o meno robusti e lunghi. In pratica stiamo parlando di ormoni della crescita, l’equivalente vegetale di ciò che si impiega negli allevamenti industriali per far crescere più in fretta gli animali, per stimolare una maggiore produzione di latte ecc.

 Ad esempio, per evitare che il grano si alletti (si pieghi verso il suolo) e aumentare così la resa, è possibile rafforzare il suo gambo e usare un prodotto che si chiama Medax Top della BASF. Sicuramente fa il suo lavoro egregiamente, ma il gigante della chimica tedesco e leader mondiale del settore indica comunque sulla sua scheda tecnica che il prodotto è “nocivo in caso di ingestione, nocivo per gli organismi acquatici, e che determina effetti nefasti a lungo termine”.

 

Fonte: L’altra medicina

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