L’antibioticoresistenza rischia di trasformarsi presto in un’autentica emergenza globale. Oggi i super batteri resistenti a molteplici classi di antibiotici uccidono più di un milione di persone ogni anno in tutto il mondo. E secondo l’Oms, entro il 2050 i decessi potrebbero ammontare a più di 10milioni: numeri paragonabili a quelli delle patologie oncologiche. Questo almeno in assenza di iniziative volte a limitare l’insorgenza e la diffusione di microorganismi resistenti, e a promuovere lo sviluppo di nuove terapie.

Maglia nera per l’Italia

Se il pericolo è attuale un poco ovunque, lo è ancor di più nel nostro paese, visto che i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) certificano la maglia nera per l’Italia anche nel 2022: lo scorso anno i decessi causati da batteri resistenti nel nostro paese sono stati infatti 19 ogni 100mila abitanti, un dato che ci pone al secondo posto, alle spalle della Grecia, nella classifica dei paesi europei in cui i super batteri uccidono di più. Per tentare di modificare la situazione, nelle scorse settimane il Ministero della Salute ha approvato il nuovo “Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico Resistenza 2022-2025”, in cui assume particolare rilievo il concetto  di “One Health”, cioè l’attenzione alle infezioni a tutto tondo, che tenga conto dell’ambiente, degli animali e dell’uomo; così come quello della transizione transizione dei pazienti tra ospedale e territorio, che sta diventando foriera di nuove infezioni da microrganismi multi-resistenti.

“Già col piano precedente abbiamo visto qualche miglioramento, soprattutto nella prevalenza di batteri come lo stafilococco e la klebsiella”, spiega Marco Tinelli, infettivologo della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) che presiederà il congresso AMIT. “Quello che auspichiamo è che con il nuovo piano nazionale si ottengano risultati anche più marcati, ma perché accada è importante che il governo trovi i fondi per finanziarlo, cosa che non è avvenuta con quello precedente”.

Le nuove terapie

A fianco degli interventi che devono mettere in campo le istituzioni sanitarie, la lotta all’antibioticoresistenza passa necessariamente anche dallo sviluppo di terapie che possano sostituire quelle che smettono, un po’ alla volta, di funzionare. E fortunatamente, ce ne sono di nuove e interessanti e all’orizzonte. “Anzitutto, possiamo contare su nuovi antibiotici – sottolinea Tinelli – Nel 2022, l’FDA americano ha approvato nuove molecole per le infezioni complicate delle vie urinarie, addominali, della cute, per tessuti molli e per particolari ceppi di micobatteri della tubercolosi resistenti ai comuni trattamenti: si tratta di veri e propri strumenti “salvavita”, che dovranno però essere gestiti con attenzione onde evitare l’insorgenza di nuove resistenze”.

Tra i trattamenti più promettenti ancora in fase di sviluppo, l’esperto richiama l’attenzione sulle “microcine”, peptidi a basso peso molecolare prodotte dai ribosomi, che nei modelli animali hanno dimostrato di ripristinare efficacemente la flora intestinale, esercitando anche un’azione battericida nei confronti dei batteri patogeni. La terapia con la microcina “McC”, quella in fase più avanzata di sviluppo, potrebbe già cominciare ad essere testata prossimamente nell’uomo, e la speranza è che si possa utilizzare un po’ come i probiotici, per ripristinare il microbiota in pazienti immunocompromessi dopo un ciclo di antibiotici, con il vantaggio aggiuntivo di un’ulteriore azione battericida che debella i batteri resistenti eventualmente presenti.

Un altro trattamento rivalutato di recente è la cosiddetta terapia “fagica”, che utilizza virus capaci di uccidere i batteri, una strategia nota da tempo, e che di recentemente è stata riportata all’attenzione dei clinici da nuovi e più approfonditi studi scientifici. “Una terapia ancora lontana dall’applicazione routinaria ma che sarà disponibile nell’armamentario terapeutico è invece il cosiddetto metodo “CRISPR-Cas” – aggiunge Tinelli – che consiste nel modificare il genoma dei microrganismi intestinali rendendoli non aggressivi oppure eliminandone alcuni, attuando così una sorta di “decolonizzazione genomica” senza sostituzione della gran parte della flora batterica come avviene con la classica decolonizzazione mediante antibiotici. Nel corso del congresso ne parlerà un’autorità indiscussa come Luigi Naldini, e anche se si tratta di un approccio ancora lontano da applicazioni pratiche, è la dimostrazione che la ricerca oggi si muove a tutto campo per trovare risposte terapeutiche diversificate al pericolo dell’antibioticoresistenza”.

Cosa possiamo fare?

La battaglia contro l’antibioticoresistenza ovviamente si combatte principalmente negli ospedali, dove la diffusione di questi microorganismi è facilitata dall’alta concentrazione di persone malate e dall’elevato utilizzo di antibiotici, che predispone all’insorgenza di ceppi batterici resistenti. Il fenomeno è però sempre più diffuso anche a livello di comunità, e per questo ci sono alcuni piccole accortezze che tutti noi dovremmo adottare per limitare il rischio di infezione per noi, e per il prossimo. L’Oms raccomanda per prima cosa di utilizzare gli antibiotici unicamente quando vengono prescritti da un medico, e di evitare quindi il fai da te e l’utilizzo scorretto, che facilità l’insorgenza di super batteri resistenti.

Solo su indicazione del medico

Importante anche non chiedere con insistenza il ricorso agli antibiotici al proprio medico, visto che non sempre sono indicati (deve esserci il sospetto di un’infezione batterica) e non condividere o utilizzare le pasticche avanzate, anche in questo caso per evitare che un uso scorretto, o un farmaco scaduto che ha un’efficacia ridotta, possano facilitare l’insorgenza di resistenza antimicrobica. “È importante che ci si renda conto che gli antibiotici vanno utilizzati solo su indicazione del medico, e rispettando scrupolosamente le sue indicazioni – conclude Tinelli – anche perché non andrebbero considerati farmaci leggeri: non solo possono indurre la comparsa di batteri resistenti quando vengono usati scorrettamente, ma sono anche farmaci con importanti effetti collaterali che possono avere interazioni dannose con altre terapie, e vanno quindi utilizzati sempre sotto il controllo di un medico”.

Evitare di ammalarsi

Fondamentale inoltre fare il possibile per evitare di infettarsi, riducendo così il rischio di contrarre un batterio resistente: lavarsi quindi spesso le mani, preparare il cibo rispettando le comuni norme igieniche, evitare il contatto con persone malate, fare sesso sicuro e assicurarsi di essere in regola con le vaccinazione. Per ultimo, anche il nostro soft power di consumatori può fare la sua parte. Se evitiamo di comprare alimenti prodotti utilizzando animali cresciuti con l’utilizzo di antibiotici, infatti, possiamo disincentivare questa pratica negli allevamenti, riducendo l’impatto di questo settore sull’insorgenza e la diffusione di nuovi super batteri resistenti.

 

Fonte: La Repubblica

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