A tavola non s’invecchia. Ecco le regole degli specialisti per vivere a lungo e in salute
Articolo del 23 Maggio 2023
Vivere più a lungo, ma soprattutto vivere in buona salute. È il sogno di tutti e sono molti gli scienziati che da decenni si dedicano alla ricerca dell’elisir di lunga vita, cercandolo nelle pieghe del DNA (in particolare nei telomeri e nei meccanismi di protezione dalla metilazione) e nell’alimentazione. Già Ippocrate invitava a fare del cibo la propria medicina, mentre un detto di saggezza popolare sostiene che ‘a tavola non si invecchia’. Ma è proprio così?
“Fin dall’antichità – ricorda il prof. Alessandro Laviano associato di Medicina Interna presso Sapienza Università di Roma – e basta rileggere il mito di Aurora e Titone*, era ben chiara la differenza tra longevità ed eterna giovinezza. Oggi, l’obiettivo ‘eterna giovinezza’ è stato soppiantato da quello di ‘invecchiamento di successo’ (healthy ageing), cioè dall’aumentare il numero degli anni vissuti in salute (healthspan). L’invecchiamento di successo è considerato oggi una priorità per tutti i Paesi ad elevato income, poiché l’invecchiamento della popolazione è correlato ad una maggior incidenza di malattie cronico-degenerative e disabilità, e ha quindi un impatto gravoso sulla spesa sanitaria e sul welfare. È dunque necessario dare spazio a tutte le strategie che rallentino l’invecchiamento biologico, permettendo un invecchiamento di successo”.
I meccanismi responsabili dell’invecchiamento sono in gran parte noti e si cominciano a mettere a punto anche alcune strategie per contrastarlo e modularlo. Tra queste, una delle più importanti è proprio l’alimentazione. O meglio, l’alimentazione contenuta, cioè mangiare meno. Senza arrivare alla denutrizione e deprivarsi di nutrienti essenziali. I meccanismi di protezione finora individuati sono tutti legati alla restrizione calorica.
Limitare l’apporto di cibo infatti fa entrare le cellule in modalità ‘protezione’ e questo consente loro di resistere meglio agli insulti esterni; allo stesso tempo le cellule ‘a dieta’ soddisfano le proprie necessità attraverso una sorta di auto-cannibalismo (autofagia) delle componenti invecchiate e poco funzionali. In pratica dunque la restrizione calorica attiva una sorta di ‘pulizia interna’ (come quella che si fa periodicamente sull’hard drive del computer) che, oltre a rimuovere componenti deteriorati e potenzialmente pericolosi, stimola anche la rigenerazione cellulare.
Ma cosa si intende esattamente per ‘restrizione’ calorica? Per ottenere effetti benefici, è sufficiente ridurre del 20-40% le calorie introdotte con la dieta. Mangiare di meno (ma sempre in modo controllato) induce un reset del nostro metabolismo a un livello più basso; e consumando di meno, si determina minor usura. Fin qui la teoria, ma come applicare in pratica la restrizione calorica ad effetto anti-aging?
“Da un punto di vista pratico – spiega il prof. Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna – la restrizione calorica si può attuare secondo diversi approcci, da adattare alle esigenze del singolo e alle sue possibilità. Ma va detto che si tratta di estrapolazioni teoriche di quanto osservato su modelli cellulari e animali oltre che su marcatori surrogati di longevità in salute; al momento infatti per nessuno di questi approcci esiste la dimostrazione scientifica che ne documenti in modo definitivo l’efficacia nell’allungare la vita in salute, perché i risultati degli studi in corso si potranno osservare solo tra qualche decennio”.
“Alcune evidenze preliminari che questo accada anche nell’uomo vengono dallo studio CALERIE di recente pubblicato su Nature Aging: una restrizione calorica del 25% rallenta i processi di metilazione del DNA (legati a tanti processi di invecchiamento) già dopo appena due anni – prosegue il prof. Sesti – Ma il cibo, al di là delle ‘calorie’, ha anche un elevato valore simbolico, per non parlare del suo effetto ‘consolatore’ (comfort food); e questo rende molto difficile seguire un regime di stretta restrizione calorica per lunghi periodi di tempo. Per questo, gli scienziati di settore sono alla ricerca di modalità alternative e meno penalizzanti. Una di queste è la restrizione selettiva degli alimenti ‘ultra-raffinati’”.
Numerose evidenze epidemiologiche suggeriscono che una dieta ricca di alimenti ultra-raffinati (farina bianca, zucchero, ecc.) è associata ad aumentato rischio di sviluppare malattie cronico-degenerative e precoce declino cognitivo. Un’altra possibile strada è quella del digiuno intermittente, attualmente di gran moda per la perdita di peso. Nell’ottica della restrizione calorica anti-aging, un approccio efficace potrebbe essere quello di alternare giorni di quasi digiuno, a giorni in cui ci si alimenta in quantità normale (ad esempio secondo la formula 5:2).
L’argomento è al centro di tante controversie (anche non strettamente scientifiche), ma è serissimo. Tanto da trovare spazio anche su pubblicazioni del gruppo Nature. C’è poi la ‘via’ della dieta mima-digiuno che consiste nell’effettuare ogni 3-4 mesi, cicli di 5 giorni di una dieta ipocalorica, formulata in modo da riprodurre gli effetti metabolici del digiuno. Questo faciliterebbe l’aderenza alla prescrizione dietetica.
“Tra le proposte emergenti – spiega il prof. Laviano- c’è il time-restricted eating; visto che il primo induttore di attività cellulare è la luce, questo approccio suggerisce di restringere la finestra temporale nella quale ci si può alimentare a meno di 12 ore, meglio se a 8-10 ore, sincronizzandola con la luce solare (una sorta di ‘dall’alba al tramonto’). Il tutto almeno 5 giorni a settimana. È noto che mangiare tardi la sera si associa a un maggior rischio di patologie cronico-degenerative, mentre mangiare ‘con la luce naturale’ sembra ridurre lo stato infiammatorio e potrebbe facilitare il dimagrimento. Un recentissimo lavoro sperimentale, suggerisce inoltre che potrebbe essere proprio la fame, a attivare i meccanismi di protezione, ma non è chiaro se questo succeda anche nell’uomo”.
“Va sottolineato tuttavia – ammonisce il prof. Sesti – che modificare la dieta e il proprio peso corporeo può anche sortire effetti opposti e influenzare negativamente la propria età biologica. È il motivo per cui questi approcci, soprattutto i più sperimentali, devono essere sempre adottati su indicazione del medico e da lui monitorati per avere una visione globale dei rischi e dei benefici”.
Per riassumere dunque, la dieta anti-aging è soprattutto una dieta restrittiva in termini di calorie, da assumere in una finestra temporale ristretta. Non ci sono invece grandi prove scientifiche dell’esistenza di alimenti ‘anti-aging’, con l’eccezione dell’acqua e degli alimenti ricchi di poliamine (es., formaggi fermentati, germe di grano, ecc.). Al contrario, non si dispone al momento di prove relative all’effetto anti-aging di tanti alimenti di moda (es., kefir, bacche di Goji, bacche di Açai). Insomma, in linea con i dettami del galateo, quando ci si siede a tavola, se si vuole augurare lunga vita ai nostri commensali, dovremmo astenerci dall’augurare ‘buon appetito’.
Fonte: In Salute News