Ringiovanire il cervello mangiando bene? Forse è possibile, almeno stando ai risultati di uno studio del Centro di ricerca nucleare del Negev in Israele: gli scienziati hanno coinvolto in un esperimento 294 volontari con problemi di obesità, chiedendo loro di seguire tre diverse diete mediterranee e analizzando i risultati per cercare di misurare se e come varia l’età del cervello prima e dopo il trattamento. Il nodo da sciogliere era scoprire in che modo si correlano obesità, invecchiamento delle strutture cerebrali e lo stile di vita. I risultati, pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology sembrano mostrare che effettivamente una dieta mediterranea più ricca di alimenti vegetali è in grado di migliorare l’età cerebrale, e in particolare che il cervello “ringiovanisce” di quasi 9 mesi per ogni punto percentuale di peso perduto.
L’esperimento
294 volontari, 18 mesi di dieta, 3 diverse diete da testare. Attività fisica per tutti, e, à la carte, per un primo gruppo, consigli e raccomandazioni per una corretta alimentazione. In aggiunta a queste prescrizioni, un secondo gruppo ha invece dovuto seguire una scaletta alimentare: limitazione dell’apporto calorico, tante verdure, pollo e pesce come unico apporto proteico e 28 grammi al giorno di noci. Per il terzo gruppo, la staffetta alimentare si complica: restrizioni sull’uso di carne lavorata e carni rosse, ancora più verdure, polifenoli in quantità, 3-4 tazze al giorno di tè verde e 100 grammi al giorno di Wolffia globosa (una pianta d’acqua) congelata a cubetti, a rimpiazzo della cena. Una cosiddetta dieta mediterranea “verde”, proprio perché più ricca di verdure.
Quale legame tra invecchiamento del cervello e alimentazione?
L’invecchiamento del cervello è un fenomeno multifattoriale, che per semplicità può essere ricondotto a un singolo valore, l’età cerebrale ipotizzata, un indice utilizzato per studiare le variazioni dalla naturale traiettoria di invecchiamento del cervello. In pratica, si stima l’età cerebrale di un campione di individui, e il modello che ne risulta viene comparato con quello di un individuo nuovo, sconosciuto. Lo scopo è calcolare l’età cerebrale in maniera indipendente da quella cronologica per poi vedere, nel confronto tra le due, se ci sono sovrastime dell’età cerebrale. Proprio queste sovrastime possono essere indicatrici della presenza di numerose patologie neurologiche. Già dal 2014 le sovrastime venivano osservate in correlazione proprio con problemi di obesità: non solo si ha un’accelerazione nei processi di invecchiamento in generale, ma questa accelerazione è stata notata anche nelle strutture cerebrali, fino a stati di atrofia. Di qui, l’interesse a studiare la correlazione tra questi due fenomeni.
Una dieta e il neuroimaging
Obesità e invecchiamento accelerato del cervello sono accomunati da quella che in ambito medico è definita comorbilità, ossia la compresenza di due patologie nello stesso individuo. Quindi, sintomi comuni: problemi cardiovascolari, infiammazioni, diabete di tipo 2, etc. Per studiare tale relazione, bisogna capire quali fattori concorrono, in condizioni di obesità, a danneggiare il cervello. Adiposità dei tessuti? Disfunzioni metaboliche? Alterazioni nella fauna microbica intestinale? Si tratta di costruire un compendio di fattori anatomici, funzionali e comportamentali, numericamente elevati e spesso associati anche al normale invecchiamento. Di qui, l’esigenza di munirsi delle strumentazioni adeguate.
In questo caso, una tecnica di neuroimaging per lo studio del cervello dall’acronimo complesso: imaging tramite risonanza magnetica – MSI – della connettività funzionale in stato di riposo – RSFC. Già negli anni ’90, effettivamente, questa tecnica era usata per studiare i disordini neurodegenerativi nell’uomo. Il principio si basa sulla sensibilità dello strumento allo stato di ossidazione dell’emoglobina, che viene richiamata localmente dal cervello durante la normale attività neuronale. L’attivazione neuronale segue una precisa dinamica ematica della durata di pochi secondi, e lo strumento registra un segnale e restituisce un diagramma. Come cambia il diagramma se il paziente è sotto sforzo? E se fosse in stato di riposo? Ecco la RSFC: una fotografia dello stato delle connettività funzionali in condizioni di riposo. È sufficiente fare una misurazione del paziente prima del trattamento, poi correlarla con una retta di regressione per predire l’età cronologica, e ripetere la procedura a fine trattamento, per poi comparare la differenza di età cronologica ipotizzata. Il risultato di questi esami, effettuati sui pazienti dei tre gruppi, ha per l’appunto mostrato che, tra chi ha seguito la dieta mediterranea “verde”, a ogni 1% di perdita in peso corporeo il cervello guadagnerebbe 8.9 mesi di vita.
I prossimi passi
Non è la prima volta che l’RSFC viene utilizzata per stimare l’età di una persona, ma questo è il primo studio ad investigare se la perdita di peso corporeo a seguito di una dieta possa attenuare gli effetti dell’obesità sull’invecchiamento del cervello umano. In futuro, si tratterà di sciogliere i numerosi altri nodi di questa matassa, in cui il normale invecchiamento e l’invecchiamento accelerato delle strutture cerebrali si combinano, influenzati da cosa? Stili di vita? Metodologie di analisi? Fin dove possiamo spingerci per ringiovanire il cervello?
Fonte: Galileo