PMI e welfare aziendale: la prova COVID-19 è superata?
Articolo del 16 Ottobre 2020
Nonostante le difficoltà economiche e risorse verosimilmente più limitate, secondo l’ultimo Rapporto Welfare Index PMI, la crisi COVID-19 ha agito come acceleratore di diffusione e consapevolezza delle potenzialità del welfare aziendale tra le medie e piccole imprese italiane.
L’emergenza COVID-19 ha esercitato un impatto dirompente sul tessuto imprenditoriale del Paese: tanto le grandi aziende quanto soprattutto le numerose piccole-medie imprese che caratterizzano la realtà italiana si sono ritrovate alle prese con una crisi senza precedenti, che ne ha sconvolto esigenze, ritmi di produzione o di erogazione dei servizi, organizzazione dei tempi e dei modi di lavoro, con gravi conseguenze economiche ed esiti ancora del tutto da decifrare sul fronte dell’andamento di licenziamenti e tasso di occupazione. Un quadro complesso in cui diventa lecito domandarsi quale possa essere la legittima collocazione del welfare aziendale: “stampella” fondamentale per i lavoratori in difficoltà, oltre che possibile leva di sviluppo e di rilancio del Paese, oppure “fuoco di paglia” destinato a un inevitabile arretramento davanti alle rinnovate esigenze delle imprese italiane?
Non sembra in realtà avere dubbi sulla risposta il Rapporto Welfare Index PMI, in questa sua quinta edizione arricchitosi anche di un’ampia analisi sull’impatto del nuovo coronavirus su percezione e diffusione del welfare aziendale: secondo l’ultima edizione della ricerca, la crisi sanitaria avrebbe infatti favorito un deciso salto di qualità. Nonostante le imprese intervistate confermino di essere uscite dalla fase acuta dell’emergenza con gravi difficoltà di business e risorse finanziarie limitate, per la prima volta dal 2016, le aziende attive in almeno 4 delle 12 “aree” rilevate dall’indagine superano infatti il 50% (52,3%), con un incremento nel solo ultimo anno di 6 punti percentuali. Non solo, il 79% delle imprese intervistate – più di 4.000 per il questionario generale, oltre 2.500 nel caso dell’indagine sull’impatto del nuovo coronavirus – ha confermato le proprie iniziative di welfare aziendale anche nel corso della pandemia, mentre il 28% ne ha introdotte di nuove o ha potenziato quelle già esistenti, percentuale comunque superiore a quella delle realtà che hanno invece, temporaneamente o definitivamente, rinunciato a iniziative in corso.
Non solo, a conferma – secondo la ricerca – di un approccio più maturo al welfare aziendale, quasi tutte le imprese intervistate hanno intrapreso iniziative di sostegno sociale, non limitandosi ad applicare le norme di sicurezza obbligatorie: nel dettaglio, a prevalere (nel 95,8% dei casi) sono stati proprio i progetti mirati a contrastare gli effetti dell’emergenza epidemiologica, tanto che il welfare aziendale sembra aver innanzitutto funzionato durante il picco della crisi come ulteriore presidio per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Molte le realtà che hanno ad esempio fornito materiali di protezione anche per uso extra-lavorativo o che si sono attivate per fornire alle famiglie dei dipendenti comunicazione informative di natura sanitaria, cui si sono affiancati anche servizi di consulto medico, assistenza sanitaria a distanza o, ancora, di assistenza psicologica.
Vanno poi segnalati in misura molto rilevante (78,7% dei casi) anche cambiamenti nell’organizzazione del lavoro per favorire il work-life balance e sostegni economici ai propri dipendenti. Soprattutto, però, stando alle rilevazioni, una quota significativa di PMI italiane (24,1%) ha intrapreso nuove iniziative di formazione e sostegno all’istruzione e una percentuale ancora maggiore (il 26,4%) ha offerto contributi e servizi esterni sul territorio come donazioni monetarie o di beni e servizi a supporto del sistema sanitario e della ricerca scientifica, affermando in un momento di particolare necessità una rinnovata consapevolezza a proposito del proprio ruolo, anche sociale, all’interno della comunità.
Con esiti che gli stessi intervistati hanno giudicato soddisfacenti e che, nonostante le drammatiche conseguenze innescate da COVID-19, consentono di guardare ai trend in atto con un certo ottimismo verso il futuro. Quasi la metà delle aziende (nel dettaglio, il 48,7%) prevede di aumentare il proprio impegno in questa direzione: di queste – nella maggioranza dei casi, imprese di dimensioni rilevanti o comunque già avvezze al welfare aziendale – il 17,2% si appresta a estendere sia i propri investimenti sia la gamma delle prestazioni, mentre il 31,5% (di tutte le classi dimensionali e di tutti i livelli) prevede se non altro di accrescere i servizi offerti ricorrendo quanto più possibile agli incentivi previsti dalle norme fiscali.
I numeri emersi dall’indagine sembrano quindi sposare la tesi secondo cui COVID-19 ha (involontariamente) agito come acceleratore di diffusione e consapevolezza delle potenzialità del welfare aziendale anche tra le medie e piccole imprese italiane, che hanno peraltro raccolto quell’invito alla finalizzazione dello strumento più volte invocato già in tempi ben antecedenti la crisi pandemica: sotto la pressione dell’emergenza, risorse e progetti si sono incanalati verso temi di primaria importanza e utilità come salute, sicurezza del posto di lavoro, conciliazione con la vita familiare e formazione. In aggiunta, se è vero che il welfare aziendale si è messo in luce per il sostegno che ha saputo offrire nel corso dell’emergenza, lo è altrettanto che l’esperienza “nuovo coronavirus” ha modificato, più o meno profondamente, il suo ruolo all’interno delle strategie d’impresa, rivestendolo di nuovi e più ampi significati.
Per capire se il cambio di prospettiva sarà stabile e duraturo occorrerà attendere ancora qualche mese e da non sottovalutare – nel tracciare la rotta, più o meno lineare, di questo processo tutto sommato già ben avviato – sarà naturalmente l’orientamento del legislatore.
Fonte: IL Punto. Pensioni e Lavoro