Anticorpi monoclonali anti-Covid, che c’è di vero nelle parole di Trump.
Articolo del 21 Ottobre 2020
Donald Trump è uno dei grandi protagonisti di questa pandemia. Con le sue spacconate, i suoi cambi repentini di opinione sul virus, e i suoi endorsement a sorpresa a questa o quella terapia miracolosa, come la clorochina, poi bocciata dagli scienziati. Da ultimo, la sua recente malattia, e il conseguente recupero lampo, hanno puntato i riflettori sugli anticorpi monoclonali, sbandierati dal presidente Usa come cura risolutiva, che promette di fornire gratuitamente a tutti gli americani per sconfiggere, una volta per tutte, l’epidemia. E se le critiche, anche in questo caso, non si sono fatte attendere, la verità è che gli anticorpi monoclonali sono realmente la più promettente strategia terapeutica in fase di sviluppo, e potrebbero salvare la vita a moltissimi pazienti (anche qui da noi) ben prima di veder finalmente arrivare un fantomatico vaccino. Ma di cosa si tratta e a che punto siamo?
Cosa sono gli anticorpi monoclonali
Un anticorpo è una molecola (o meglio una glicoproteina) che ha il compito di riconoscere gli invasori, e in particolare i patogeni come batteri e virus, per permettere al nostro organismo di neutralizzarli. Il sistema immunitario ne produce una moltitudine di tipi differenti, pronti a identificare il nemico con un sistema chiave/serratura: quando il sito di legame presente su un anticorpo trova un antigene complementare su un patogeno (o un altro elemento esterno) che sta invadendo il nostro organismo, il sistema immunitario inizia a produrre in massa l’anticorpo in questione, e in questo modo (se tutto va bene) l’infezione viene sconfitta. Come dicevamo, di anticorpi ne esistono miliardi, e non tutti hanno la stessa efficacia contro un potenziale invasore. L’organismo inoltre impiega tempo per produrli in quantità sufficienti a debellare una malattia in corso. Due problemi che possono essere risolti producendo anticorpi monoclonali: anticorpi prodotti artificialmente per essere tutti identici tra loro, e quindi con esattamente la stessa capacità di neutralizzare il proprio antigene. Basta identificare un anticorpo particolarmente efficace, e producendone in massa copie perfette ci si trova tra le mani un farmaco molto potente, con cui attaccare tumori, elementi mal funzionanti del nostro sistema immunitario (capita ad esempio nella terapia di molte malattie autoimmuni) e ovviamente anche batteri e virus come Sars-Cov-2.
A che punto è la ricerca
Nel caso dell’attuale pandemia, è facile immaginare l’utilità di un simile farmaco. I pazienti sopravvissuti a Covid hanno alte probabilità di aver sviluppato anticorpi particolarmente efficaci contro il virus. Identificandoli, e trasformandoli in anticorpi monoclonali, è possibile dare a tutti i malati le stesse chance di successo conferite dal caso a questi fortunati. Si tratta, è evidente, di un procedimento per tentativi ed errori: inizialmente gli anticorpi si testano in vitro, per verificarne la capacità di inibire la replicazione del virus; i migliori si sperimentano quindi su modelli animali e volontari umani per assicurarsi che non abbiano effetti collaterali particolarmente nocivi; e si arriva infine ai pazienti, per assicurarsi che abbiano realmente un’efficacia clinica.
Ovviamente, solo una frazione di quelli identificati nei laboratori arrivano a quest’ultima fase di sviluppo. Ma grazie agli enormi sforzi (e la pioggia di finanziamenti) messi in campo dai governi e dalle case farmaceutiche di mezzo mondo, ce ne sono già tre attualmente in sperimentazione con trial di fase 3, al termine dei quali, in caso di risultati soddisfacenti, è possibile chiedere l’autorizzazione all’immissione in commercio.
Regeneron
Gli anticorpi monoclonali sperimentati da Trump in prima persona sono quelli prodotti dalla biotech americana Regeneron, E sono forse quelli attualmente più vicini alla meta: la farmaceutica ha annunciato nelle scorse settimane i risultati preliminari del proprio trial, in cui Regn-Cov2 (il loro cocktail di anticorpi monoclonali) si sarebbe dimostrato sicuro ed efficace, in particolare, almeno per ora, in pazienti non ospedalizzati nelle prime fasi di malattia. La Regeneron ha già chiesto all’Fda (l’agenzia del farmaco americana) una procedura di autorizzazione accelerata per il suo farmaco, e con un endorsement di peso come quello del presidente, in molti ritengono probabile l’ok dell’agenzia.
Il farmaco in questione è un cocktail composto da due anticorpi monoclonali, uno isolato in un paziente di Singapore, e un altro ottenuto in laboratorio inserendo la proteina spike del coronavirus nell’organismo di un topo modificato genericamente per fornirgli un sistema immunitario umano.
I dati presentati dall’azienda sembrano effettivamente incoraggianti, e suggeriscono che il farmaco potrebbe rivelarsi utile anche nel caso dei pazienti più gravi. I dubbi comunque non mancano: in molti infatti ritengono impossibile che la Regeneron riesca a produrre il farmaco in quantità sufficienti anche solo per il mercato americano. Attualmente, l’azienda riferisce di avere scorte per circa 50mila trattamenti, e promette di arrivare a produrne a sufficienza per circa altri 300mila pazienti nel giro di qualche mese. Secondo le stime di alcuni esperti servirebbero però farmaci per almeno 3-400 mila terapie ogni mese per stare al passo con le necessità dei soli Stati Uniti.
Eli Lilly
Praticamente al passo con la rivale Regeneron troviamo un big dell’industria farmaceutica come Eli Lilly. Il suo farmaco, noto per ora con la sigla LY-CoV555, ha mostrato di ridurre del 72% il rischio di ospedalizzazione per pazienti con sintomatologia moderata, in un trial con placebo che ha coinvolto 452 pazienti. Anche in questo caso l’azienda ha chiesto una procedura di autorizzazione accelerata, ma proprio negli scorsi giorni sono emersi i primi problemi. Il governo americano ha infatti bloccato un trial in corso con LY-CoV555 su pazienti ospedalizzati, a causa di un cambiamento nelle condizioni cliniche dei pazienti trattati con il farmaco ritenuto pericoloso. Di più al momento non è dato sapere, ma è probabile che, anche se il trial riprenderà nelle prossime settimane, l’approvazione del farmaco risulterà quanto meno rallentata da questo intoppo.
Astrazeneca
Più nota per il suo vaccino anti Covid (quello che verrebbe prodotto anche negli stabilimenti di Pomezia), anche la multinazionale del farmaco inglese Astrazeneca ha un anticorpo monoclonale in stadio avanzato di sviluppo. È identificato per ora con la sigla AZD7442, e stando alle informazioni diffuse dall’azienda ha la particolarità di essere stato sviluppato utilizzando una tecnologia che permette di allungare la sopravvivenza degli anticorpi nell’organismo. Se arriverà a diventare un farmaco a tutti gli effetti, potrebbe fornire una protezione contro Covid per un periodo di 6-12 mesi. Ben più a lungo degli altri due rivali, e abbastanza per trasformare la terapia in una sorta di vaccino stagionale (una strategia definita immunizzazione passiva, per distinguerla da quella attiva garantita da un vaccino). L’azienda ha annunciato il lancio di due trial di fase 3 per il suo anticorpo monoclonale, che coinvolgeranno oltre 6mila pazienti, ma anche se i risultati saranno incoraggianti difficilmente il farmaco riuscirà a sbarcare sul mercato prima del prossimo anno.
Prometheus
Un’altra esperienza particolarmente interessante è quella della collaborazione internazionale Prometheus, che dal 2019 è a lavoro per studiare nuove terapie contro i coronavirus, e in particolare quelli che (come Sars-Cov-2) derivano dai pipistrelli. Nel loro caso, l’anticorpo monoclonale in fase di sviluppo non arriverà ad un trial di fase 3 prima della seconda metà di dicembre. Ma nonostante i ritardi, è atteso con ansia dalla comunità scientifica per due importanti motivi: avrebbe un’efficacia di oltre sei mesi e, soprattutto, promette di risultare efficace su tutti i tipi di coronavirus, e potrebbe quindi rivelarsi prezioso in futuro in caso di nuovi spillover pandemici.
Toscana Life Sciences
Anche in Italia siamo al lavoro nel campo degli anticorpi monoclonali. Se ne occupa il Monoclonal Antibody Discovery Lab di Fondazione Toscana Life Science, a Siena, sotto la supervisione di Rino Rappuoli. Ad agosto i ricercatori avevano annunciato di aver isolato 3 anticorpi estremamente promettenti, e giusto negli scorsi giorni è arrivata la conferma che uno questi è stata scelto per lo sviluppo di un farmaco che, a detta dei suoi creatori, promette di rivelarsi il più potente tra quelli in fase di studio, con un’efficacia (studiata per ora sui criceti) sia preventiva che terapeutica contro il virus. I test clinici, in questo caso, dovrebbero iniziare entro la fine dell’anno.
Fonte: Galileo