Coronavirus, come avvengono i contagi negli ambienti chiusi.
Articolo del 01 Novembre 2020
Le droplet medie (che hanno cioè un diametro di 10 micron) restano nell’aria per 15 minuti. Ciò significa che tutti i luoghi chiusi con permanenza di persone, se non aerati, sono pericolosi anche se apparentemente vuoti.
La responsabilità della straordinaria diffusione del Sars-CoV 2 della seconda ondata è in gran parte da attribuire all’irresponsabilità di molte persone, e alla mancanza di organizzazione di una fase che tutti si aspettavano, ma che è stata oggetto di una rimozione collettiva, dal punto di vista delle azioni concrete. Ma, in parte, è anche della confusione che per mesi ha imperato sul tema più importante, in assenza di vaccini e terapie risolutive: la prevenzione, ovvero tutto ciò che attiene al tipo di mascherina da usare, ai rischi in ambienti chiusi, alle distanze di sicurezza, alle caratteristiche delle droplets e delle differenti emissioni e così via. Ora però alcuni aspetti sono molto più chiari, rispetto a pochi mesi fa.
Come ha fatto notare un gruppo internazionale di esperti di cui fanno parte fisici e virologi del MIT di Boston, dell’Università di Vienna e della Sorbona di Parigi in articolo pubblicato sull’International journal of Multiphase Flow, per i calcoli sulle droplet ci si è basati su metodi risalenti a 30-40 anni fa, che non tenevano conto di un elemento cruciale: le specificità della coesistenza delle fasi liquida (delle goccioline) e gassosa (dell’aria), insieme alla variabilità legata a temperatura e umidità.
Goccioline sospese nell’aria per 15 minuti
Se invece lo si fa, si giunge a una conclusione poco confortante: le droplet medie (che hanno cioè un diametro di 10 micron) restano nell’aria per 15 minuti. Ciò significa che tutti i luoghi chiusi con permanenza di persone, se non aerati, sono pericolosi anche se apparentemente vuoti (si pensi per esempio agli ascensori, o le aule dopo una lezione). E che le mascherine, da sole, non bastano, soprattutto contro le droplet più grandi. Alla stessa conclusione è giunto anche un altro studio condotto da fisici, questa volta dell’Università del New Mexico, e pubblicato su Physic of Fluids.
Aerazione determinante
I quali si spingono a consigliare, per le classi, le barriere in plexiglas tra un banco e l’altro (dello spessore di 2,4 cm), in aggiunta al filtraggio dell’aria per 15 minuti ogni ora, o all’apertura delle finestre, che può abbattere la carica virale anche del 70%. Questi, anche quando uniti alla disinfezione delle mani, da soli non sarebbero sufficienti. Del resto, un ulteriore studio pubblicato anch’esso su Physic of Fluids e incentrato sulla tosse negli ambienti chiusi conferma quanto, più di ogni altra cosa, siano cruciali distanziamento e aerazione.
Quanto è importante la mascherina
In base agli studi sui jet, si può affermare che un colpo di tosse genera una nuvola che si espande per i primi 5-8 secondi, e che se non si indossa la mascherina è 7 volte più grande rispetto a quando ci si protegge con la chirurgica, e 23 volte più grande rispetto a quando si ha una FP2. Anche in questo caso – fanno notare gli autori, ricercatori del Politecnico di Mumbai, in India – molto dipende dall’umidità dell’aria, dal volume dello spazio e da quello del colpo di tosse stesso.
Tuttavia, quando non indossa la mascherina, non importa se quest’ultimo è forte o leggero: in ogni caso la nuvola si espande. Al contrario, quando si indossa, la dimensione iniziale influenza quella di ciò che riesce a uscire lo stesso.
Il ruolo dell’aerazione è stato sottolineato anche da ricercatori italiani coordinati dall’ordinario di termodinamica dei fluidi dell’Università di Cassino Giorgio Buonanno, che hanno pubblicato su Environment International quanto scoperto applicando modelli fisici adeguati (il cosiddetto Metodo Monte Carlo) a due situazioni molto note e studiate, dove si sono registrati due tra i primi focolai: un ristorante di Guangzhou, in Cina, e un coro di Mount Vernon, negli Stati Uniti.
Per entrambi è stata sempre ipotizzata la presenza di un superdiffusore, ma secondo i calcoli di Bonanno non occorre nulla del genere per causare un disastro: basta la sola permanenza in un luogo chiuso alla presenza di una persona infetta per meno di un’ora, con aerazione non ottimale. Non si deve insomma parlare di superdiffusori ma di superduffusioni, cioè di circostanze che determinano un passaggio di virus particolarmente efficiente.
Infine, spesso i contagi della seconda ondata provengono da un asintomatico. Anche sull’isolamento e sulla quarantena di chi è positivo al tampone ma non ha sintomi ci sono state molte e diverse versioni. Un’analisi di quanto uscito finora in tutto il mondo, e cioè di 77 studi, 59 dei quali pubblicati su riviste peer review, condotta dagli epidemiologi dell’Università dell’Oregon e uscita sul Infection Control and Hospital Epidemiology, conferma le indicazioni ultime dei CDC di Atlanta, e cioè per gli asintomatici bastano 10 giorni di isolamento, per i sintomatici ce ne vogliono 20, a prescindere dall’esito del tampone, mentre per chi ha sintomi lievi ne sono necessari 17. Il virus può lasciare tracce genetiche identificabili con un tampone anche per 92 giorni, ma questo non significa che ci siano particelle virali vitali. In media, si vede da sei giorni prima a 20 giorni dopo l’esordio dei sintomi.
Fonte: 24+ de IlSole24Ore