Le ragioni e le risultanze del nostro studio sulla lattoferrina.
Articolo del 03 Novembre 2020
Sorprende anzitutto la sorpresa che si evince dal titolo della lettera sulla ricerca pubblicata su QS: una ricerca non è mai sorprendente in negativo, se si basa su presupposti credibili ed oggettivi. La sorpresa è, al contrario, la poca e scarsa attività di ricerca che costringe il nostro Paese a mantenere bassi livelli di innovazione.
I motivi sono noti, come sottolineato anche dal Presidente della Repubblica nel suo discorso nel corso della cerimonia in occasione della celebrazione del giorno della Ricerca: scarsi finanziamenti in rapporto al PIL, frammentazione delle risorse a disposizione e poca interazione tra i vari gruppi interessati (Università, Enti di ricerca pubblici e privati, CNR, ecc.).
Nel caso specifico, la lettera dei colleghi Epidemiologi della ASL RM1 non è supportata dalla conoscenza approfondita dello studio, oggetto della disamina né della metodologia seguita.
Lo studio intrapreso presso il Policlinico di Roma Tor Vergata in collaborazione con la Prof.ssa Valenti dell’Università La Sapienza e con il Prof. Mattia Falconi della Cattedra di Bionformatica Strutturale della Facoltà di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata, ha approfondito l’attività di una molecola la lattoferrina, regolarmente notificata al Ministero della Salute, come integratore alimentare e indicata erroneamente come farmaco nella lettera apparsa sul Quotidiano Sanità.
Essendo inquadrata come integratore alimentare i protocolli di studio non sono soggetti alle normative sui farmaci ma alle normative sugli integratori.
La lattoferrina è conosciuta sin dagli anni 60 in cui fu purificata dal latte materno e da quello bovino e ne fu eseguita la struttura tridimensionale. Fino ad oggi, sulla lattoferrina sono stati pubblicati circa 9.000 lavori su riviste internazionali con referees al fine di analizzare un suo possibile uso nel ristabilire nell’uomo i disordini dell’omeostasi del ferro e mantenerne o migliorarne la salute.
La lattoferrina utilizzata nelle nostre prove in vitro ed in vivo, è estratta dal latte bovino ed è da noi controllata per la purezza, per l’efficacia di chelare due ioni ferrici per molecola e per la sua attività inibente la sintesi delle citochine proinfiammatorie inclusa l’IL-6.
Inoltre, forse gli Autori dell’articolo non sanno che la lattoferrina bovina è stata riconosciuta dall’FDA come GRAS (Generally Recognized as Safe) e da circa 20 anni è presente in numerosi integratori. Nel 2012 la FDA ha anche approvato l’aggiunta della lattoferrina bovina nel latte artificiale che ne contiene molto meno rispetto a quello materno.
Occorre altresì ricordare che la lattoferrina è una glicoproteina cationica e multifunzionale grazie alla sua capacità di chelare il ferro, di legarsi alle strutture cellulari, batteriche e virali e di modulare la sintesi delle citochine e favorire lo shift dei Th e dei macrofagi dal fenotipo infiammatorio a quello tollerogenico.
Tra tutte le sue molteplici funzioni, l’attività antivirale è stata evidenziata e scoperta negli anni 70, è stata dimostrata sia nei confronti di virus a DNA che a RNA nudi o con rivestimento (Valenti and Antonini 2005; Wakabayashiet al 2014).
L’attività antivirale nei confronti di SARS-CoV-2 è stata osservata in vitro e si basa sulla capacità della lattoferrina di legarsi al virus ed alle cellule dell’ospite con conseguente inibizione nelle fasi precoci dell’infezione virale (Campione et al 2020 BioRxiv). E’stato altresì osservato in vitro che la lattoferrina è in grado di inibire SARS-CoV-2 anche nella fase post-infezione (Mirabelli et al 2020 BioRxiv).
In risposta a quanto descritto rispetto al disegno dello studio, si vuole precisare che il pericolo segnalato da Douglas Altman in questo caso non opera in quanto, lo studio non è stato concepito come: “una prova per vedere se il trattamento in sperimentazione funziona”, ma semplicemente come uno studio “pilota” o studio “preliminare” su un integratore alimentare basato su un rigoroso razionale quale premessa per la rilevazione delle principali statistiche di base al fine di programmare, tramite una appropriata power analysis, un vero e proprio protocollo sperimentale con il rispetto di tutti i presupposti previsti da uno studio controllato o pivotale.
Si sottolinea ancora che lo studio in questione non aveva, pertanto, lo scopo di evidenziare l’efficacia di un farmaco, ma solo le proprietà benefiche attribuibili ad un integratore alimentare le cui evidenze ed eticità esulano dalle attività regolatorie dell’AIFA.
Lo studio su integratori alimentari viene normalmente condotto per dimostrare gli effetti sulla salute o sulla riduzione di un fattore di rischio di malattia ai sensi del Regolamento (CE) 1924/2006; o per confermare la validità dell’indicazione d’uso come ad esempio nel caso di alimenti a fini medici speciali di cui alla direttiva 99/21/CE, attuata dal DPR 57/2002.
La numerosità del campione deriva dalla effettiva disponibilità riscontrata e non, come detto sopra, dalla power analysis (sample size), inoltre il confronto, a parità di fattori strutturali tra pazienti e volontari sani, era equo (data la parità di detti fattori) e l’unico possibile, date le difficoltà oggettive di reperimento dei volontari.
La randomizzazione qui considerata riguarda non la suddivisione di una coorte di soggetti con pari caratteristiche in due gruppi da porli a confronto con trattamenti differenziati, ma la scelta casuale di due gruppi di soggetti (malati e sani) all’interno di una griglia di fattori strutturali rappresentativi della intera collettività di soggetti malati (asintomatici e paucisintomatici) registrati a quella data dal ministero della Salute, gruppi questi messi a confronto secondo il piano sperimentale ipotizzato.
Da osservare l’alta significatività statistica del confronto ottenuto che suggerisce, senza ombra di dubbio, l’assenza di fattori di confondimento, ovvero la loro scarsa influenza, come, ad esempio il più importante tra essi che è la regressione statistica verso la media.
Lo studio avrà come base i risultati ottenuti da implementare, ovviamente, secondo quanto suggerito dai criteri scientifici suggeriti ed accettati universalmente dalla competente Comunità Scientifica Internazionale.
La verità è che nessun clinico o ricercatore delle istituzioni accademiche ha contestato il disegno dello studio attualmente in corso conoscendo le procedure adottate per una ricerca, che riguarda l’utilizzo di un integratore alimentare, regolarmente notificato presso il Ministero della Salute che ha coinvolto un numero iniziale di 32 pazienti fino a comprenderne oggi più di 100.
Per ciò che riguarda le prove in vivo, partendo proprio dalla lettura dei dati sulla prima ondata pandemica che parla di una scarsa contagiosità e morbilità dei bambini, si è pensato di approfondire l’argomento in una prospettiva di interesse per la ricerca, dove prevale la tendenza a risolvere le problematiche di interesse (ricerca traslazionale), anche alla luce degli studi epidemiologici che indagano sul fenomeno patologico nel suo divenire, passato e presente, con proiezioni programmatiche nel futuro.
La letteratura scientifica mondiale è ormai satura di dati certi sul minimo coinvolgimento dei bambini all’interno dell’andamento pandemico, favorito nel suo espandersi dalla presenza di soggetti anziani, fragili e super-esposti alla malattia in presenza di comorbilità.
La ricerca in questione ha valutato l’impatto della supplementazione della glicoproteina lattoferrina, in una formulazione liposomiale, in pazienti Covid 19 paucisintomatici ed asintomatici, monitorandoli attraverso una valutazione dei sintomi clinici a dei parametri ematici di routine ed infiammatori, rilevanti per l’andamento della patologia infettiva, ed in base alle risultanze del tampone nasofaringeo.
Non essendo un farmaco, la lattoferrina, nella sua scontata azione antibatterica e antivirale, deve essere considerata unicamente come un fattore di integrazione e supplementazione.
Lo studio sarà pubblicato a breve, e comprende anche i risultati ottenuti in vitro in collaborazione con il gruppo di ricerca dell’Università della Sapienza ed in silico (docking e dinamica molecolare) grazie alla collaborazione interfacoltà con la cattedra di Bioinformatica Strutturale della Facoltà di Biologia dell’Università di Tor Vergata; è inoltre in corso una fase successiva di arruolamento pazienti per le ulteriori conferme.
Gli studi pilota rivestono un valore importante in una fase come questa in cui non sono ancora codificati trattamenti iperspecifici, efficaci o coadiuvanti nei confronti di Sars-Cov2 e questi studi all’inizio, come tutti del resto, si basano sull’utilizzo di molecole riposizionate. In una fase successiva saranno necessari studi di conferma su grandi coorti per ottenere la validazione e la qualificazione dei risultati derivanti dallo studio preliminare.
Fonte: QuotidianoSanità.it