Le hanno sparate grosse ma sono sempre in tv. Fenomenologia dei virologi star (e perché non possiamo farne a meno).

Articolo del 12 Novembre 2020

«È una follia, uccide poco più dell’influenza». «È molto più probabile avere un incidente stradale o essere colpito da un fulmine. Non ha senso preoccuparsi». «Il virus è clinicamente morto». «La malattia provocata dal nuovo coronavirus, rispetto ad altre, è banale e non è contagiosissima, ma è piuttosto comparabile all’influenza». Affermazioni infelici, previsioni sbagliate, cantonate madornali. Frasi del genere ci si aspetta di sentirle nelle serate con gli amici o al distributore di caffè chiacchierando con i colleghi in una pausa dal lavoro. E invece sono state dette, nell’arco degli ultimi mesi, da virologi di professione o, comunque, da “esperti” della materia.

Si dirà: «Ma il virus è nuovo, se ne sapeva poco o nulla e le conoscenze avanzano man mano che vanno avanti gli studi e le sperimentazioni. Era facile, tra febbraio e giugno, dire qualcosa che poi sarebbe stato smentito». Vero, ma proprio perché il coronavirus era “nuovo” forse un po’ di prudenza in più, specialmente da parte di chi viene ascoltato proprio in virtù del suo ruolo e delle sue conoscenze, non avrebbe guastato.

Eppure, alcuni virologi italiani, spesso sconosciuti fino ad un minuto prima, non hanno mai perso occasione di dire la loro sul Covid-19, anche a costo di rischiare una figura da quattro soldi. E in tanti, come detto, l’hanno fatta. In tanti, nonostante gli errori commessi, sono sempre lì, in tv o sui giornali, a commentare e spiegare il momento che stiamo vivendo. E la domanda, a questo punto, è inevitabile: perché lo hanno fatto e continuano a farlo? Perché esporsi pubblicamente in questo modo, sparando (a volte sembra quasi a caso) sentenze e considerazioni su un virus di cui si sa poco? Vale la pena dirla grossa solo per finire in tv o sui giornali?

IL MERCATO DEL RACCONTO DELLA PANDEMIA

«Il racconto della pandemia è diventato un vero e proprio mercato – spiega lo psicoterapeuta Giorgio Nardone, interpellato da Sanità Informazione per cercare di capire meglio il profilo psicologico dei virologi da copertina e delle masse che li seguono come si segue la propria squadra del cuore –, basta vedere quanti libri sono stati scritti su questo tema da autori più o meno esperti. Essere sempre in tv aiuta in questo senso. Trattandosi dunque di un mercato, rilasciare interviste in continuazione è occasione di guadagno immediato. Dal punto di vista della psicologia individuale, queste persone si elevano e dicono: “Sono il grande scienziato che tutti intervistano”. Ma la sommatoria tra la psicologia individuale e quella della folla, che è alla continua ricerca di personaggi di questo tipo, diventa una miscela esplosiva che crea un bisogno collettivo e individuale di figure che ci raccontano senza sosta ciò che sta accadendo».

Ma se i virologi e i presunti esperti affollano ogni giorno le trasmissioni televisive e le pagine dei quotidiani, vuol dire che la richiesta di informazioni sulla pandemia in corso è sempre molto alta: «Una delle prime leggi del marketing avanzato – spiega Nardone – è questa: crea l’offerta per creare la richiesta. Se creo l’offerta di notizie terribili creo anche la domanda di persone che vogliono saperne sempre di più. Insomma: sbatti il mostro in prima pagina e vendi i giornali. L’interesse del pubblico è avere una conoscenza sempre più precisa del fenomeno per avere almeno l’illusione che questa possa difenderlo in qualche modo. Ciò fa sì che l’informazione di massa abbia la necessità di nutrirsi di questi personaggi. Da qui il gioco al rialzo nel bisogno di informazioni sempre nuove».

Insomma, dal punto di vista psicologico-sociale appare evidente «l’illusione di conoscere per controllare la situazione, non diversamente da quel che succede con le previsioni del tempo, intese come controllo della meteorologia. Ma tutti sanno che non esiste previsione corretta che superi le 12 ore. In una pandemia succede più o meno lo stesso: basta che ci sia un singolo caso che inneschi un ceppo e la situazione di un’intera nazione può cambiare».

OGGI ESISTONO DUE FAZIONI: CHI SOPRAVVALUTA E CHI SOTTOVALUTA

Umberto Eco parlava di apocalittici e integrati. In questo caso meglio distinguere tra chi «sopravvaluta e chi sottovaluta», in un turbinio di opinioni che spesso raccontano la stessa identica realtà ma da due punti di vista diversi: «C’è chi guarda lo stesso bicchiere, ma se uno lo vede mezzo pieno, l’altro lo vede mezzo vuoto, e se c’è chi sottolinea, ad esempio, la bassa mortalità che genera questo virus, c’è chi evidenzia il fatto che è uno dei virus più infettivi degli ultimi decenni. Dicono due verità ma sembra che si stiano contraddicendo a vicenda. Questo dibattito, a volte accesissimo, ha fomentato le schiere di chi si preoccupa sempre di più e si sente angosciato e chi, dall’altro lato, si difende negando la cosa».

Un dibattito, quello tra chi sopravvaluta e chi sottovaluta, che si alimenta «grazie all’illusione che stia per arrivare una notizia definitiva, salvifica. E dunque questi personaggi, e li chiamo così proprio per sottolineare l’accezione teatrale del termine, svolgono un importante ruolo nella divulgazione, il più delle volte però fallace. Da questo aspetto emerge il profilo psicologico di chi ha bisogno di stare sul palcoscenico. Molti di questi virologi stanno più tempo in tv che in ospedale…».

LA DIVISIONE DEL PUBBLICO IN TIFOSERIE DA STADIO: LA FOLLA REAGISCE RICONOSCENDO E NON CONOSCENDO

Ma cosa comporta questa valanga di informazioni, spesso contraddittorie? «La gente reagisce riconoscendo e non conoscendo. Di solito, quando ci sono eccessi di informazioni che danno degli stessi fatti interpretazioni differenti, la mente di chi ascolta non si predispone a conoscere qualcosa di nuovo ma a riconoscere ciò di cui si è già convinti. Si cercano solo informazioni che confermano quanto sappiamo o diamo per certo. Ciò comporta che, in questo modo, le persone si trasformano in una sorta di tifosi da stadio. E dunque c’è chi tifa per una fazione, quella di chi sopravvaluta, e chi per un’altra, quella di chi sottovaluta. Le posizioni si radicalizzano sulla base del meccanismo mentale e sociale che ci porta a riconoscere piuttosto che a conoscere».

È il principio dei social network, dei motori di ricerca e dei negozi online: «Visto che hai acquistato questo libro, potrebbe piacerti anche quest’altro», o ancora: «Dato che ti è piaciuto questo video, perché non guardi anche quest’altro?». «È un meccanismo mentale e il marketing dei colossi del mercato vi si è adattato», spiega Nardone.

COME USCIRE DA QUESTA SPIRALE?

Detto questo, come se ne esce? Cosa fare per cercare di non farsi ingabbiare da sovrastrutture mentali e sociali e autoescludersi da ogni tipo di tifoseria? «Ogni volta che leggiamo un’informazione – spiega Nardone – bisognerebbe fare lo sforzo di cercare la sua falsificazione, trovare il punto in cui quel concetto, quella presunta verità, non funziona. È necessario andare oltre ciò che ci è stato raccontato, trovare il modo per dire “questa notizia non è del tutto vera” anche se ne siamo convinti. La falsificazione ci serve ad aprire la mente alle scoperte». Bisogna insomma guardare «la realtà da punti di vista diversi, e quanti più ce ne sono meglio è. Perfino nella fisica è apparsa la teoria dei punti di vista. A seconda della prospettiva che assumo cambia la realtà». Oscillare insomma volontariamente tra il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto «è necessario – conclude Nardone – per non essere vittime delle proprie credenze».

 

FonteSanità Informazione

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