Nel microbioma intestinale una firma della depressione.
Articolo del 12 Dicembre 2020
Nuove analisi confermano che la depressione maggiore è associata a un’alterazione della composizione dei microrganismi che popolano l’intestino, con livelli di alcuni ceppi batterici più elevati del normale. Il risultato può aprire la strada a metodi diagnostici di questo disturbo psichiatrico basati su un esame strumentale oggettivo.
Il microbioma intestinale, l’insieme dei microrganismi, per la maggior parte batteri, che vivono nel nostro sistema digerente, influisce notevolmente sulla salute dell’intero organismo, di quella fisica e di quella psichica. La conferma viene da un nuovo studio pubblicato su “Science Advances” da Jian Yang della Capital Medical University di Beijing, in Cina, e colleghi di una collaborazione internazionale che ha dimostrato come la composizione del microbioma sia correlata alla depressione.
Gli autori hanno analizzato il materiale genetico di 311 campioni fecali prelevati da 156 pazienti con disturbo depressivo maggiore e 155 soggetti sani, che fungevano da gruppo di controllo. Dalle analisi effettuate sono emerse differenze nette nella composizione batterica dei due gruppi. In particolare, i soggetti affetti da depressione avevano livelli più elevati di specie batteriche appartenenti al genere Bacteroides e livelli più bassi di specie appartenenti a Blautia ed Eubacterium.
Questi risultati sono particolarmente interessanti perché precedenti studi hanno dimostrato che i Bacterioides possono indurre la produzione di citochine, molecole proteiche che svolgono il ruolo di mediatori di diversi processi, tra i quali l’infiammazione. Le specie di Blautia sono invece coinvolte nei processi antinfiammatori. Gli alti livelli di Bacterioides e bassi livelli di Blautia nel microbioma intestinale sono quindi coerenti col fatto che i soggetti con depressione maggiore hanno livelli di citochine e di infiammazione più alti della norma.
Yang e colleghi hanno anche analizzato l’abbondanza nel microbioma dei batteriofagi, virus che infettano i batteri, senza trovare complessivamente una differenza significativa tra i due gruppi di soggetti considerati. Solo due di essi (che colpiscono i generi Clostridium e Klebsiella) erano meno abbondanti, e uno più abbondante, nei soggetti con depressione.
I risultati forniscono quindi la prova che la depressione maggiore può essere caratterizzata da un’alterazione del microbioma intestinale, gettando una luce sulla base molecolare e sui meccanismi fisiopatologici di questo disturbo psichiatrico, finora rimasti per molti versi inesplorati.
Ma l’aspetto forse più importante della ricerca riguarda le ricadute cliniche. Gli autori hanno infatti dimostrato che i dati raccolti possono essere utilizzati come biomarcatori: in pratica, si apre la possibilità di individuare la depressione sulla base di un esame strumentale obiettivo, che potrebbe affiancare gli attuali criteri basati sui sintomi riferiti dal soggetto, evitando il rischio di diagnosi errate o tardive.
Fonte: Le Scienze