Correggere il DNA prima della nascita: sì o no?
Articolo del 15 Dicembre 2020
Le biotecnologie continuano a suscitare una generica diffidenza nell’opinione pubblica ma un sondaggio effettuato dal Pew Research Center in venti paesi, tra cui l’Italia, rivela che la maggioranza delle persone è favorevole all’editing degli embrioni se è a scopo terapeutico. Sorprende l’India, che dice sì anche al potenziamento dell’intelligenza.
L’editing genetico può avere innumerevoli applicazioni: molte potenzialmente utili, alcune frivole, altre rischiose. Chi ne è consapevole potrebbe essere tentato di rispedire al mittente la domanda di apertura del sondaggio internazionale sull’accettazione delle biotecnologie appena pubblicato dal Pew Research Center: l’editing genetico è un cattivo uso della tecnologia? L’unica risposta sensata sarebbe: dipende.
Ma i sondaggi non servono a dare risposte corrette, servono a fotografare gli umori, perciò vale la pena scoprire cosa hanno risposto a questo e ad altri quesiti le persone interpellate in 20 paesi, con interviste telefoniche o faccia a faccia, tra l’ottobre del 2019 e il marzo del 2020.
La prima domanda è vaga, non specifica che cosa si intenda per “editing genetico”, né tanto meno quali siano le caratteristiche genetiche eventualmente da cambiare nelle persone. Forse anche per questo le risposte raccolte in giro per il mondo sono più ostili di quanto si potrebbe immaginare: in media il 63 per cento dei soggetti giudica l’editing genetico un cattivo uso della tecnologia (il 68 per cento in Italia). La parola “genetico” probabilmente accende un campanello d’allarme e nel dubbio la maggior parte delle persone non si fida, solo in India la bilancia pende dall’altra parte.
Risposte positive all’editing terapeutico
Quando però le domande si fanno più specifiche, i giudizi si diversificano notevolmente.
È giusto o sbagliato cambiare le caratteristiche genetiche di un bambino per curare una grave malattia che avrebbe alla nascita? Quando si pone questa domanda, il 70 per cento del campione internazionale esprime un giudizio favorevole (l’80 per cento in Italia).
Per come è formulata la domanda, si presume che un intervento del genere non riguarderebbe solo le cellule dell’organo destinato ad ammalarsi, ma l’intero individuo. Avverrebbe allo stadio embrionale, perciò il cambiamento genetico riguarderebbe tutte le cellule, anche quelle riproduttive e potrebbe essere ereditato dalle generazioni successive. Insomma siamo nel campo dell’editing ereditabile, su cui la comunità scientifica non ha ancora sciolto le riserve nonostante i rapporti delle accademie e i summit internazionali.
Da una parte la tecnologia non è ancora abbastanza testata per poter intervenire sugli embrioni umani in modo “permanente” a cuor leggero. Dall’altra sono davvero pochi i casi in cui il problema non può essere risolto in modo più semplice, con tecnologie già diffuse, ovvero con la fecondazione in vitro, testando gli embrioni e trasferendo in utero solo quelli sani.
Molti ritengono che modificare in modo ereditabile il genoma umano sia un passo così importante dal punto di vista simbolico da richiedere un ampio consenso sociale. Eppure, di fronte alla possibilità di curare un bambino da una grave malattia, la grande maggioranza delle persone non si pone questi problemi e di getto risponde sì.
Veniamo alle patologie che potrebbero manifestarsi non alla nascita ma nel corso della vita. Se prima avevamo pensato a malattie genetiche come la distrofia muscolare, ora possiamo pensare alla predisposizione per alcune forme di cancro o alle malattie neurodegenerative, anche se il sondaggio non propone esempi. È giusto modificare le caratteristiche genetiche dei bambini per ridurre il rischio che si ammalino gravemente una volta cresciuti?
Questo scenario non si potrà avverare ancora per molto tempo per ragioni tecniche prima ancora che di liceità, soprattutto se l’idea è di intervenire su malattie complesse, in cui non basta modificare un gene o due. La risposta, comunque, è affermativa per il 60 per cento degli interpellati (il 68 per cento in Italia).Tanti dubbi sul miglioramento genetico.
La terza domanda, invece, fa crollare il consenso. È ammissibile modificare le caratteristiche genetiche di un bambino per renderlo più intelligente? È sbagliato, risponde l’82 per cento del campione (l’80 per cento nel nostro paese). L’India sorprende con un 64 per cento di risposte favorevoli a potenziare l’intelligenza (poco sotto si colloca la Malaysia con il 44 per cento).Sarebbe interessante conoscere i punteggi cinesi, visto che la Cina è il paese più impegnato sull’editing degli embrioni a scopo di ricerca e l’unico in cui sia stata varcata la linea rossa facendo nascere i primi due esseri umani geneticamente editati. Peccato che il gigante asiatico non sia incluso tra i venti paesi coperti dal sondaggio, sparsi tra Europa, Americhe, Asia e Pacifico.
Con questa domanda evidentemente ci siamo spostati dall’editing terapeutico all’editing per il potenziamento, entrando nel terreno eticamente minato del cosiddetto children design. Dal punto di vista scientifico un traguardo del genere è lontanissimo, non abbiamo davvero la più pallida idea di come si possano progettare a tavolino dei bambini perfetti, campioni di bellezza e di talenti, perché i tratti come l’intelligenza dipendono da migliaia di geni.
La tentazione a quanto pare c’è: sorprende che tante persone (il 14 per cento in media, il 13 per cento nel nostro paese) consideri accettabile questa prospettiva. Eppure lo scarso successo della Nobel Sperm Bank, che in passato offriva sperma di qualità “superiore” a titolo gratuito, sembra indicare che i genitori per lo più desiderino un figlio che gli somiglia anziché un superbebè.
Il sondaggio non esplora il consenso ad altre applicazioni dell’editing, ma rileva invece una diffusa opposizione alla clonazione animale (un cattivo uso della tecnologia per il 66 per cento delle persone, per il 77 per cento in Italia) e un ampio sostegno alla ricerca per risolvere i problemi di infertilità (è giusto per il 73 per cento del campione internazionale, ma solo per il 63 per cento degli italiani).
I fattori che influiscono
L’età in generale è un fattore rilevante: i giovani si confermano più aperti ai cambiamenti, anche quando riguardano la riproduzione e i genomi. La religione invece ha un peso variabile per quanto riguarda i giudizi sull’editing; per esempio, nei paesi occidentali si registra maggiore diffidenza tra i cristiani rispetto ai non credenti, ma lo stesso non accade in India per musulmani e indù.
I conflitti tra scienza e religione, probabilmente, sono troppo complessi per trattarli tutti insieme. Ma vale la pena accennare almeno a un’altra sezione del sondaggio: il 21 per cento del campione internazionale non crede nell’evoluzione (il 18 per cento in Italia). La percentuale sale al 29 per cento in Polonia, al 32 per cento negli Stati Uniti, al 36 per cento in Brasile e addirittura al 55 per cento in Malaysia. Per tutte queste persone gli esseri umani e gli altri organismi viventi sono sempre stati come sono oggi, sin dall’inizio dei tempi. In questo caso l’istruzione gioca a favore di Darwin, la religione contro.
Fonte: Le Scienze