Per favore, mettete la mascherina!
Articolo del 20 Dicembre 2020
La logica della richiesta di mettere le mascherine è il principio di precauzione, ma le persone non sembrano agire tutte in base a tale principio. La negazione ha molte sfumature e se si vuole che la popolazione si attenga alle misure di contenimento si devono usare umiltà, empatia e buon senso. L’umiltà di dire che non si sa con esattezza quanto le mascherine frenino la diffusione del virus; l’empatia per ammettere che indossare la mascherina è effettivamente scomodo; il buon senso di chiedere di indossarle, per favore, specialmente nei luoghi chiusi.
Il negazionismo che si manifesta con tanta “virulenza” in molti paesi del mondo sembrerebbe incomprensibile: mai, nella storia, la gente è stata tanto informata sul pericolo corso dalla vita individuale e collettiva e, al contempo, tanto restia ad accogliere le raccomandazioni degli scienziati, pur nell’interesse della propria salute. Il giornalista scientifico Benedict Carey, in un editoriale per il New York Times, suggerisce che formare assembramenti e non volersi sottoporre all’indubbio fastidio della mascherina altro non è una delle tante forme di negazione che, come egli scrive nel titolo, make the world go round.
Le sfumature della negazione
Freud chiama la negazione ora Verleugnung, rifiuto della realtà che minaccia l’ego, ora Verwerfung, rigetto di una realtà presentata come non esistente: si nega la notizia della diagnosi di una malattia cronica o letale perché non sopportabile, rischiando ritardi nelle cure, o si nega che la propria condotta (come la dipendenza da alcol o da fumo) sia autodistruttiva, perché se ne ricava piacere. Per contro, psicologi e antropologi diranno che la capacità di “guardare dall’altra parte” non sempre nuoce a chi la pratica: può anche facilitare le relazioni interpersonali domestiche e sociali ed è, addirittura, la base indispensabile del perdono. Secondo Michael McCullough, psicologo all’Università di Miami, la negazione è il patto che le persone stringono per essere creature sociali e per mantenere vantaggi individuali: provvede a derubricare chiare violazioni morali come errori, inciampi o cadute di competenza, eticamente più tollerabili.
La negazione, quindi, ha moltissime sfumature, dalla benigna “chiusura di un occhio” alla colpevole connivenza di un reato, a seconda del palcoscenico familiare, sociale o istituzionale in cui gioca il suo ruolo. Se la negazione di massa opposta all’esistenza stessa di una pandemia, oltre che alle misure per contenerla, è leggibile con la lente della psicanalisi, allora, propongono Austin Ratner e Nisarg Gandhi dalle pagine di Lancet, vi si deve opporre una soluzione psicoanalitica: non potendo trattare ogni caso individualmente, si devono educare i sanitari e i governanti a comprendere che la negazione è una difesa della mente che spinge il pericolo e l’ansia fuori dalla coscienza. Forse questa consapevolezza potrà guidare i messaggi da rivolgere alla popolazione.
Ancora una volta, dunque, la soluzione sta nel modo di comunicare, rifuggendo da ogni scorciatoia, come sostiene sul portale Medscape il dottor John Mandrola, cardiologo votato alla causa dell’Evidence Based Medicine, parecchio irritato dalla lettura di un paper sul Journal of American Medical Association (JAMA) che riporta i risultati di un esperimento condotto in Ontario su 25 persone anziane: anche nella terza età, tenere su bocca e naso la mascherina non diminuisce l’ossigenazione. Secondo Mandrola, argomentare con uno studio del genere contro l’idea che le mascherine possano essere pericolose non solo non persuade i loro irriducibili avversatori, ma mina la fiducia nella scienza e sminuisce l’importante rivista che lo ha pubblicato.
Mascherine e principio di precauzione
La mascherina è scomoda e disumanizzante, certamente ma, certamente, non nociva; chi è convinto che lo sia, di solito non legge le riviste mediche. Quand’anche le cercasse in rete, non se ne fiderebbe e, d’altronde, in questo caso non avrebbe tutti i torti: cosa mai può provare uno studio con 25 partecipanti? E, aggiunge chi è laureato in medicina (o è un buon navigatore di internet), cosa prova una saturimetria normale, mero surrogato della funzionalità polmonare? Uno studio debole non rafforza la fiducia nella scienza. Gli scettici più “scafati”, nota il commentatore di Medscape, alla fine della lettura diranno “E che mi dite della CO2?”, ignorando che ci ha già pensato un gruppo di pneumologi della Florida a dimostrare che l’anidride carbonica nel sangue non aumenta sotto la mascherina né nei sani, né nei broncopneumopatici. Forse, poi, rilanceranno con il sospetto che la mascherina induca aritmie (e bisognerebbe fare uno studio con l’ECG) e poi con un altro sospetto ancora: il dubbio irrazionale non ha mai fine. Ed è insensato contrapporvisi.
Il dottor Mandrola rivolge la sua riprovazione agli autori dello studio (sapevano dall’inizio come stavano le cose, ma l’hanno fatto lo stesso e, se l’intenzione era di convincere la gente a mettere la mascherina, sono anche venuti meno al principio di scienza imparziale, non piegata a finalità politiche), ma anche agli editori della rivista (sapevano che lo studio non provava niente ma lo hanno pubblicato lo stesso, inseguendo l’audience): 13.000 visualizzazioni e molte citazioni, anche sui media. È il business, bellezza. Che entri nei santuari della medicina (i mercanti nel tempio) non solo spiace, ma è anche controproducente, perché toglie credito agli articoli importanti pubblicati dalla stessa rivista; e questo è male, dice Mandrola, perché una pandemia richiede la cooperazione della gente e la cooperazione si basa sulla fiducia, sentimento difficile da guadagnare e che si perde facilmente. La scienza deve essere imparziale e le riviste scientifiche non devono lasciare adito a dubbi in proposito.
La logica della richiesta di mettere le mascherine è il principio di precauzione, ma le persone non sembrano agire tutte in base a tale principio, ha twittato preoccupato il radiologo e blogger statunitense di origine indiana Saurabh Jha. Se si vuole, come si vuole, che vi si attengano, si devono usare gli strumenti che dovrebbero essere in dotazione a ogni medico: umiltà, empatia e buon senso. L’umiltà di dire alla gente che non si sa con esattezza quanto le mascherine frenino la diffusione del virus; l’empatia per ammettere che indossare la mascherina è effettivamente scomodo e disumanizzante; il buon senso di chiedere, dato che le mascherine non sono pericolose e probabilmente riducono la diffusione virale, di indossarle, per favore, specialmente nei luoghi chiusi.
Vaccini e mascherine
La pensa così anche Robert Steinbrook, che ha chiosato uno studio (questo buono) pubblicato da JAMA, sulla capacità filtrante dei vari tipi di mascherine, scrivendo:
“l’uso coerente, corretto e universale di maschere per il viso aumenta il vantaggio per gli individui e per tutti. Questa non è né scienza missilistica né una dichiarazione politica. È buon senso e comportamento responsabile”
È bene che chi ha l’autorità e il dovere di farlo elabori un modo efficace di comunicare a tutte le fasce della popolazione che il comportamento dovrà essere responsabile ancora per molti mesi: nell’incontro pubblico on line dell’11 dicembre, Marco Cavaleri, Fergus Sweeney, Peter Arlett e Melanie Carr della European Medicines Agency (EMA) si sono passati la staffetta di un’informazione chiara ed esauriente su come viene ideato, sviluppato, sperimentato e messo in produzione un vaccino e sui controlli cui ciascuna tappa è sottoposta. I tempi di allestimento del vaccino si sono enormemente ridotti rispetto al passato, grazie allo sforzo planetario congiunto degli scienziati del settore e all’avanzamento della tecnologia farmaceutica e non a scapito della completezza delle varie fasi della sperimentazione né dell’attenzione alla sicurezza.
I vaccini ora al vaglio della task force di EMA sono i due a RNA di Pfizer-BioNTech e di Moderna (chiamati BNT162b2 e mRNA-1273) e i due a vettore adenovirale di Astra Zeneca/Oxford e di Janssen (ChAdOx1-SARS-CoV-2 e Ad26.COV2.S), ma altre aziende sono di procinto di consegnare la documentazione. Quello che ci si aspetta da questi vaccini prima della distribuzione è che dimostrino di ridurre lo sviluppo della malattia Covid-19. Resteranno incerte, però, la durata della protezione e la capacità di prevenire l’infezione e la trasmissione del virus: tali conoscenze potranno provenire solo da studi post approvazione con l’uso su una popolazione molto vasta. I relatori di EMA hanno tenuto a ribadire che, fino a che non si avranno prove dell’efficacia del vaccino su questi aspetti, continueranno a essere ineliminabili ed essenziali l’uso della mascherina, l’igiene delle mani e il distanziamento fisico.
Fonte: Scienza in Rete