In Italia si usano ancora troppi antibiotici e in modo inappropriato. Boom di sovrautilizzo nella prima fase della pandemia
Articolo del 02 Gennaio 2021
A dirlo è il terzo Rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), riferito al 2019. Il consumo sul territorio (19,8 dosi al giorno ogni mille abitanti), che comprende l’erogazione sia a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sia a carico del cittadino, si mantiene superiore alla media europea (18).
In Italia la cultura dell’utilizzo corretto degli antibiotici è ancora insufficiente e questa inconsapevolezza provoca danni a cascata sulla nostra salute. Lo dimostrano i numeri del terzo Rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sull’uso degli antibiotici, riferito al 2019. Il consumo sul territorio (19,8 dosi al giorno ogni mille abitanti), che comprende l’erogazione sia a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sia a carico del cittadino, si mantiene superiore alla media europea (18). “Occorrono drastiche riduzioni dell’uso di antibiotici, non del 3-4 per cento, per un impatto positivo sulle resistenze microbiche” dichiara il direttore generale Aifa, Nicola Magrini. Durante la pandemia di Covid, denuncia subito dopo, “c’è stato un sovrautilizzo di antibiotici e un chiaro cattivo uso per far fronte a un’epidemia che ci ha preso di sorpresa”. Nella prima ondata solo il “6,9 per cento dei pazienti Covid ospedalizzati presentava infezione batterica – segnala Roberto Da Cas del Centro nazionale per la ricerca e la valutazione preclinica e clinica dei farmaci dell’Istituto superiore di sanità -. Eppure il 71,9 per cento dei ricoverati con l’infezione da Sars-Cov2 ha assunto antibiotici”. Non a caso nel mese di marzo 2020 gli acquisti ospedalieri sono raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2019. Nei primi sei mesi del 2020 però, l’uso degli antibiotici nell’ambito dell’assistenza convenzionata si è ridotto del 26,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per quanto riguarda gli acquisti diretti da parte del Ssn la riduzione è pari all’1,3 per cento.
La stragrande maggioranza degli antibiotici (il 90 per cento) viene consumata sotto prescrizione del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta, quindi in regime di assistenza convenzionata. Con valori più elevati al Sud. “La Medicina generale”, scrive di conseguenza l’Aifa, è “l’ambito su cui è importante agire per migliorarne l’appropriatezza prescrittiva”. Sebbene dal 2016 al 2019 ci sia stata una riduzione dei consumi in ambito territoriale del 5,8 per cento (rimane invariato tra il 2018 e il 2019), l’obiettivo di oltre il meno dieci per cento entro il 2020 fissato dal Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza non è stato evidentemente soddisfatto. Nel giro di un anno, dal 2018 al 2019, gli acquisti privati sono addirittura schizzati del più 17,2 per cento (i consumi maggiori al Sud e al Centro). Oggi l’antibiotico viene assunto in modo inappropriato in oltre il 25 per cento dei casi di influenza, raffreddore, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite (non complicata) e bronchite acuta. L’abuso di questi farmaci per le infezioni delle vie respiratorie si verifica soprattutto nelle regioni del Sud. I bambini tra 2 e 6 anni (con una media di circa 1,5 prescrizioni di antibiotici all’anno) e gli over 75 sono le categorie più esposti a questi medicinali. Tra le cause dell’eccessiva prescrizione in età pediatrica, spiega l’Agenzia del farmaco, ci sono “la difficoltà a effettuare una diagnosi microbiologica dell’infezione, la preoccupazione da parte dei pediatri di una scarsa compliance per antibiotici che richiedono 2 o 3 somministrazioni giornaliere e infine le pressioni da parte dei genitori, che inducono spesso il pediatra a una scarsa aderenza alle raccomandazioni delle linee guida esistenti”. Il più frequente utilizzo degli antibiotici nella stagione invernale, tra l’altro, è una spia di inappropriatezza, perché non è giustificato a livello epidemiologico: le sindromi influenzali essendo di origine virale nella maggior parte dei casi (a meno che non si siano complicanze batteriche) non richiedono la prescrizione di questi medicinali (efficaci solo contro i batteri). A tal proposito, Aifa ricorda gli usi scorretti più comuni da evitare. Innanzitutto l’abbinamento di amoxicillina e acido clavulanico nei bambini (al posto della sola amoxicillina). Qualunque antibiotico a seguito di una diagnosi di influenza, raffreddore comune o laringotracheite acuta. L’impiego di fluorochinoloni e cefalosporine in presenza di una diagnosi di faringite e tonsillite acuta. Quello di macrolidi come prima linea di trattamento della faringite e tonsillite acuta (a causa dell’elevato rischio di sviluppare resistenze). Infine, nella cistite non complicata l’uso in prima linea di qualsiasi antibiotico appartenente alla classe di fluorochinoloni.
La resistenza di alcuni batteri agli antibiotici è un effetto collaterale dell’uso smodato che continuiamo a fare di questi farmaci. “L’antibiotico-resistenza è un’emergenza cronica”, così la definisce Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, “che è stata per anni trascurata”. Per combatterla è necessario mettere in atto quello che già è stato previsto dal Piano nazionale, ma che resta disatteso quasi ovunque: l’attivazione di programmi di antimicrobial stewardship (cioè di gestione degli antibiotici) nei diversi ambiti assistenziali, guidati “da team multidisciplinari formati da infettivologi, per le linee di trattamento, microbiologi, per i dati sulle resistenze, igienisti, per la cura degli ambienti, e farmacisti, per i dati di consumo, che insieme indirizzino all’uso responsabile degli antibiotici in ospedale e sul territorio” chiarisce Evelina Tacconelli, direttrice dell’unità operativa complessa di Malattie Infettive e Tropicali – di cui è anche docente alla scuola di Medicina – dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona. “I comitati di stewardship dovrebbero essere obbligatori e diventare un criterio per l’accreditamento degli ospedali – propone la professoressa -. Nella nostra struttura ospedaliera abbiamo deciso di formare all’uso prudente e consapevole degli antibiotici due specialisti per ogni reparto a cui assegniamo un patentino di prescrizione a cui è associata l’assegnazione dei punti per il budget destinato al reparto”. In generale, fa notare la dottoressa, finché non si diffonde una cultura robusta di questi medicinali, “l’infettivologo non va consultato solo per i casi più difficili di germi multiresistenti, ma anche quelli per più comuni, come l’otite del bambino, le infezioni alle vie urinarie nelle donne o nei pazienti anziani, per le polmoniti prese in comunità”. Il controllo degli antibiotici è decisivo soprattutto sul territorio. “È importane istituire una stewardship integrata tra ospedale e comunità poiché nei reparti curiamo pazienti che hanno sviluppato resistenze per lo più all’esterno – sottolinea Tacconelli -. La Regione Veneto lo ha fatto, creando due gruppi, uno con i rappresentanti dei medici territoriali e un altro con i referenti di tutti gli ospedali hub e spoke, sia pubblici che privati accreditati, ma a causa del Covid non sono ancora entrati in azione”. L’adozione di un documento regionale sull’organizzazione delle stewardship è uno dei punti del Piano nazionale che andrebbe implementato in tutta Italia. Interventi di questi tipo non richiedono necessariamente più personale. “L’infettivologo non deve essere l’unico prescrittore – avverte ancora Tacconelli -, bisogna creare una cultura dell’uso corretto degli antibiotici tra tutti i medici perché sono farmaci che tutti gli specialisti possono prescrivere, dal ginecologo al pediatra, gastroenterologo, neurologo, tutti insomma. Per questo – suggerisce – sarebbe utile inserire all’ultimo anno della laurea in Medicina un esame di terapia antibiotica. Nel 2019, stando al Rapporto Aifa, l’uso degli antibiotici a livello ospedaliero è calato appena dello 0,7 per cento rispetto al 2018 e si mantiene in linea con la media europea anche se ci sono differenze non trascurabili nelle tipologie di sostanze somministrate. “Rispetto agli altri Paesi europei – conclude la professoressa – in Italia si ricorre troppo spesso ad antibiotici a largo spettro, più dannosi, che andrebbero riservati a casi selezionati”.
Intanto Aifa, insieme a Regioni, ministero della Salute e ministero dell’Economia, ha ideato un apposito cruscotto per favorire il monitoraggio più tempestivo (da un mese all’altro) e capillare, a livello di singole asl, di alcuni indicatori di appropriatezza. Lo strumento sarà online a patire dal 25 gennaio 2021.