Long Covid, lo studio: “Quasi un paziente su tre viene di nuovo ricoverato entro 5 mesi e uno su 8 muore per complicazioni”
Articolo del 19 Gennaio 2021
L’infezione da Covid-19 può essere più dura e più duratura di quanto immaginiamo. Nuovi dati, in attesa di uno studio che sia pubblicato su una rivista scientifica peer review, suggeriscono che quasi un paziente inizialmente guarito su tre viene poi ricoverato in ospedale entro 5 mesi e uno su otto muore per complicazioni. Questi risultati preliminari arrivano dall’analisi condotta dalla Leicester University e dall’Office for National Statistics (ONS) nel Regno Unito. Lo studio è al momento disponibile sul server di pre-stampa medRxiv ed è subito rimbalzato su molti media internazionali.
In particolare, lo studio ha rilevato che su 47.780 persone dimesse dall’ospedale durante la prima ondata nel Regno Unito, il 29,4 per cento è ritornato in ospedale entro 140 giorni e il 12,3 per cento non è sopravvissuto. Sembra infatti che Covid-19 possa avere devastanti effetti a lungo termine: l’infezione può portare molti sopravvissuti a sviluppare problemi cardiaci, diabete e malattie croniche del fegato e dei reni. Ormai ci sono pochi dubbi.
“Il nostro è il più grande studio sulle persone dimesse dall’ospedale dopo essere state ammesse con Covid”, commenta al Daily Telegraph l’autore dello studio Kamlesh Khunti, professore alla Leicester University, secondo il quale “un sacco di persone” dimesse vengono poi riammesse in ospedale. “I numeri sono così grandi”, ammette Khunti. In effetti anche se al momento lo studio deve essere ancora sottoposto a revisione paritaria, i ricercatori sono davvero sorpresi che siano così tanti i pazienti che ritornano in ospedale con una diagnosi diversa da quella iniziale, segno che molti sviluppano complicazioni in seguito. Dopo l’infezione può succedere di ricevere una diagnosi di diabete. “Non sappiamo se è perché Covid ha distrutto le cellule beta che producono l’insulina che si sviluppa il diabete di tipo 1, o se provoca insulino-resistenza e quindi si sviluppa il diabete di tipo 2, ma stiamo assistendo a queste nuove sorprendenti diagnosi di diabete”, dice Khunti.
Inoltre, lo studio fa luce su quanto potrebbero essere errate le attuali stime relative ai morti per la pandemia. Attualmente il governo britannico registra un decesso come correlato a Covid se il paziente muore entro 28 giorni dopo esser risultato positivo al test. Ma, come quest’ultimo studio dimostra, il bilancio reale delle vittime potrebbe essere molto più alto. Se migliaia di sopravvissuti a Covid vengono davvero riammessi in ospedale con gravi problemi di salute mesi dopo aver contratto la malattia, allora i conti ufficiali potrebbero non tornare.
A dicembre, l’Ons ha stimato che una persona su 10 che si è ammalata ha continuato a soffrire di “long Covid” per tre mesi o più. I sintomi comuni di questa infezione “duratura” includono estrema stanchezza, mancanza di respiro e problemi di memoria e concentrazione. Come c’era d’aspettarsi, quest’ultimo studio britannico ha già alimentato i timori di parte della comunità scientifica, specialmente nel Regno Unito. “Questo lavoro è molto importante: Covid è molto più di decessi o guarigioni. Ci sono troppi casi di effetti a lungo termine”, ha twittato Christina Pagel, direttrice dell’Unità di ricerca operativa clinica presso l’University College London.
Secondo l’Ons, il 10 per cento dei pazienti Covid continua a sperimentare sintomi fino a dopo tre mesi dalla prima infezione. Se a questo aggiungiamo i numeri sempre molto alti dei contagi, i timori di un collasso del sistema sanitario sono più che giustificati. “In Inghilterra in media ogni 30 secondi viene ricoverato un paziente con Covid-19”, dichiara Sir Simon Stevens, direttore del servizio sanitario nazionale inglese (Nhs). “I fatti sono molto chiari e non ho intenzione di addolcirli, gli ospedali e il personale sono sotto estrema pressione”, aggiunge. Le speranze sono riposte sui vaccini. “Ora speriamo nella campagna vaccinale e nella risposta della popolazione alla somministrazione delle dosi immunizzanti”, conclude Sir Stevens.
Fonte: Il Fatto Quotidiano