Vaccini agli ospiti delle Rsa, dal Tribunale di Milano un vademecum per capire chi dà il consenso
Articolo del 22 Gennaio 2021
Mentre cresce l’allarme per il ritardo nella consegna delle dosi, arrivano le indicazioni per rendere più fluide le procedure.
Prima gli operatori sanitari e gli ospiti e i lavoratori delle Rsa. La campagna di vaccinazione contro il Covid-19 è partita così, dalle persone più esposte al rischio di contagio e più fragili. E anche se già ora, dopo i primi giorni di somministrazioni, il piano iniziale del Governo deve essere rivisto per far fronte ai ritardi nelle consegne delle dosi da parte dell’azienda che le produce, Pfizer, va detto che da subito sono state messe in piedi le procedure che puntano a consentire una diffusione rapida dei vaccini. A partire da quelle per superare i problemi nell’acquisire il consenso al trattamento proprio degli ospiti delle residenze sanitarie, spesso incapaci, legali o naturali.
Le norme – che sono contenute nell’articolo 5 del decreto legge 1 del 2021, in vigore dal 6 gennaio – si pongono in continuità con la disciplina sul testamento biologico (219/2017) e consegnano un ruolo chiave ai direttori sanitari o ai responsabili medici delle Rsa, con l’obiettivo di far emergere comunque la volontà della persona da sottoporre al trattamento sanitario.
Il decreto legge regola una procedura per quanto possibile agile e rapida, ma comunque articolata e soggetta a diverse variabili. Per aiutare gli operatori sanitari, gli amministratori di sostegno e i rappresentanti legali delle persone incapaci impegnati nell’applicazione delle nuove disposizioni, il Tribunale di Milano ha predisposto una «casistica operativa». Per dieci situazioni tipiche viene specificato chi è chiamato a esprimere il consenso e quali sono le azioni che deve compiere. In particolare, «abbiamo cercato di chiarire quali sono i casi in cui è necessario l’intervento del giudice tutelare e quelli, molti di più, nei quali questo intervento sarebbe superfluo e rischierebbe anzi di causare ritardi nella somministrazione dei vaccini», spiega Giovanni Battista Rollero, presidente dell’ottava sezione del Tribunale di Milano.
I numeri
La necessità di regole snelle è legata al numero di persone ospitate nelle Rsa. Secondo i dati forniti dal ministero della Sanità e aggiornati al 2019 i posti disponibili nelle 4.793 strutture che operano in Italia sono 228.359 (il numero di quelli realmente occupati è tuttavia inferiore, soprattutto dopo quest’anno di pandemia).
Una parte è destinata all’assistenza di anziani disabili fisici o psichici: si tratta di 1.377 strutture che offrono 23.259 posti. La maggior parte delle Rsa è concentrata nelle Regioni del Nord: in Lombardia, Piemonte, Veneto si trova infatti più del 58% dei posti totali. E la parte del leone la fa proprio la Lombardia, dove si concentra un quarto dei posti totali nelle strutture della Penisola.
Le nuove norme
«L’autonomia di decidere a quali trattamenti medici sottoporsi – osserva Maria Carla Barbarito, responsabile del dipartimento di diritto di famiglia di Lca Studio Legale – è un diritto tutelato costituzionalmente e garantito anche a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo del 1997. Ogni paziente deve avere una specifica informazione sul trattamento medico a cui deve sottoporsi così da poter esprimere un’accettazione o un rifiuto volontari, consapevoli e coscienti». Le nuove disposizioni, prosegue, «sono dedicate alle persone fragili, che, seppur maggiorenni, non sono in grado, in tutto o in parte, di intendere e di volere. Va ricordato che, se in alcuni casi si tratta di incapacità riconosciuta legalmente, con la nomina di un tutore, un curatore o un amministratore di sostegno, nelle Rsa sono molte le situazioni di incapacità naturale. Le soluzioni individuate dal decreto legge riescono a mantenere un equilibrio tra il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione».
Anzitutto, si dispone che le persone incapaci esprimono il consenso al trattamento sanitario per le vaccinazioni anti Covid attraverso il loro tutore, curatore o amministratore di sostegno, o il fiduciario che, in linea con quanto previsto dalla legge 219/2017, devono sempre cercare di raccogliere ove possibile la volontà dell’incapace.
Se queste figure non ci sono o non sono reperibili, deve essere il direttore sanitario o il responsabile medico della residenza sanitaria in cui l’incapace è ricoverato (o il direttore sanitario della Asl o un delegato) ad assumere la funzione di amministratore di sostegno dell’incapace, solo per la prestazione del consenso al vaccino. I soggetti incaricati di esprimere il consenso devono però prima sentire il coniuge, la persona parte di unione civile o convivente o, in mancanza, il parente più prossimo entro il terzo grado dell’incapace. Se questi acconsentono, il medico deve inviare una comunicazione al dipartimento di prevenzione sanitaria competente per territorio. La norma precisa che il consenso non può essere espresso in difformità dalla volontà dell’interessato o, se lui non è in grado, dei parenti indicati. In caso di rifiuto, il medico può chiedere, con ricorso al giudice tutelare, l’autorizzazione a fare comunque la vaccinazione.
Quando poi non è possibile procedere per mancanza di disposizioni di volontà dell’interessato, anticipate o attuali, e per irreperibilità o indisponibilità dei parenti, il consenso dato dal medico-amministratore di sostegno deve essere comunicato immediatamente al giudice tutelare che, nelle 48 ore successive, deve convalidare il consenso. Se la convalida viene negata, il consenso è privo di effetti. Mentre il silenzio del giudice tutelare nelle 48 ore equivale ad assenso.
L’applicazione
«La procedura prevista dal decreto legge non sta creando problemi – dice Giovanni Belloni, presidente della Società italiana medici Rsa (Simersa) -. Ci assumiamo una responsabilità nell’ottica della tutela della salute pubblica».
Al momento, al Tribunale di Milano sono state presentate pochissime richieste di autorizzazione alla somministrazione, tutte peraltro non necessarie, come è stato chiarito ai richiedenti. E, secondo Rollero, il numero delle richieste non dovrebbe essere esorbitante neanche in futuro: «I casi nei quali maggiormente si dovrebbe verificare la necessità di un intervento del nostro ufficio – spiega – sono quelli di anziani incapaci naturali, privi di tutore o amministratore di sostegno e di familiari che possano consentire alla somministrazione del vaccino oppure quelli di anziani con familiari in dissenso tra loro relativamente a questa scelta; entrambe le ipotesi si verificano in un numero di casi non trascurabile, ma certamente non maggioritario».
I PRINCIPALI CRITERI-GUIDA DI MILANO
1. Incapacità legale
La «casistica operativa» del Tribunale di Milano sull’applicazione del decreto legge 1/2021 precisa che se possibile il consenso al vaccino deve essere dato dal soggetto ricoverato. Per interdetti o inabilitati, sono invece tutori o curatori a dare il consenso. Mentre gli amministratori di sostegno danno il consenso in via esclusiva se hanno la rappresentanza in ambito sanitario, o con il paziente se sono in affiancamento in campo sanitario.
2. Se i parenti dicono sì
Nel caso di incapaci naturali senza testamento biologico, assumono la funzione di amministratore di sostegno solo per il consenso al vaccino i direttori sanitari o i responsabili medici delle Rsa o delle Asl. Ma devono acquisire il consenso dei parenti fino al terzo grado. Per il Tribunale di Milano, se acconsente il coniuge, il convivente o l’unito civile, non rileva il «no» di altri familiari.
3. Se non ci sono parenti
In mancanza di parenti, il medico che esprime il consenso deve comunicarlo al dipartimento di prevenzione sanitaria e al giudice tutelare con la richiesta di convalida.
4. Se i parenti dicono no
Se i parenti manifestano il dissenso al vaccino, il medico che lo ritenga necessario può ricorrere al giudice tutelare.
Fonte: 24+ de IlSole24Ore