Covid: i cani possono scoprire chi è positivo
Articolo del 22 Gennaio 2021
L’olfatto si è dimostrato più efficace di un tampone rapido. E molto più veloce. Riuscendo addirittura a individuare persino gli asintomatici. E gli aeroporti si attrezzano.
Appena arrivati negli aeroporti di Beirut, Dubai, Abu Dhabi ed Helsinki, succede qualcosa di singolare: ai passeggeri è richiesto di consentire il prelievo di un piccolo campione di sudore ascellare, che viene riposto in una provetta. La provetta viene infilata in uno spazio apposito nel muro accanto a cui si fermano i passeggeri. Dall’altra parte del muro una fila di cani attende diligentemente il segno degli istruttori per infilare la testa in speciali “coni olfattivi” collegati alle provette con il sudore dei passeggeri. Quando un cane rileva, con il suo olfatto finissimo, certe particolari molecole che è stato allenato a riconoscere, allora si siede. Ciò fa illuminare una luce rossa posta sopra il paziente dall’altra parte del muro: “Attenzione, questa persona sembra Covid-positiva, ora dovrà effettuare il test molecolare”. Sì, perché i cani, oggi, sono in grado di effettuare una diagnosi di positività al Covid che può superare, per accuratezza, il classico test del tampone. Con il vantaggio di essere più veloce e adatta a situazioni dove bisogna valutare in poco tempo grandi masse di persone, come succede negli aeroporti o davanti agli stadi. In Italia esistono organizzazioni come la onlus Medical Detection Dogs Italy di Novate Milanese o la società romana Italpol Vigilanza che hanno già ad destrato cani a diagnosticare il Covid dal sudore e contano di offrire il servizio nei primi mesi del 2021.
Olfatto prodigioso
Non deve stupire questa capacità dei cani: basti pensare che hanno da 200 milioni a un miliardo (a seconda delle razze) di recettori olfattivi, contro i circa 6 milioni dei nostri nasi. E che i geni per i recettori olfattivi – che si legano alla grande varietà di molecole degli odori come dei chiavistelli che riconoscono la chiave – contano per ben il 5% del genoma dei cani. È questa formidabile dotazione che permette, per esempio, ai cani addestrati al riconoscimento di esplosivi di individuare un bilionesimo di grammo di TNT in mezzo agli altri odori. C’è da dire, però, che l’uso dei cani per la diagnosi rapida del Covid è una scienza del tutto nuova – non potrebbe essere altrimenti, visto l’emergere della pandemia solo a 2020 inoltrato – e sono ancora pochissimi i lavori pubblicati in peer review. Anche perché non c’è ancora concordia tra gli scienziati su quali tracce precise dell’infezione da Sars-Cov-2 i cani riescano a individuare col loro olfatto: si sa che il sistema grossomodo funziona, ma sui dettagli c’è ancora parecchio da scoprire. Comunque alcuni risultati interessanti sono stati diffusi a novembre in un workshop online indetto da un gruppo di ricercatori chiamato “International K9 Team”. Tra questi, il più promettente è quello che riguarda l’uso di cani anti-Covid negli aeroporti in Libano e in Finlandia, dove i cani sarebbero riusciti a identificare anche persone Covid-positive asintomatiche.
Risultati incoraggianti
Nell’ambito di un progetto sui test in aeroporto che ha coinvolto Francia e Libano, sono stati trovati, su 1680 passeggeri, 158 positivi al Covid poi confermati dai test molecolari: i cani avrebbero identificato il 92% dei positivi e il 100% dei negativi. Ma questo risultato non è entrato in una pubblicazione scientifica. Uno dei pochi studi pubblicati, invece, è quello del gruppo di Holger Volk, professore di Neurologia veterinaria al Royal Veterinary College della University of London. Dopo aver allenato i cani sottoponendo al loro olfatto campioni di odore provenienti da sette Covid-positivi ospedalizzati e sette persone non infette, i cani hanno identificato l’83% dei casi positivi e il 96% dei negativi. Ma utilizzare campioni olfattivi provenienti da così pochi pazienti è sufficiente per addestrare i cani a riconoscere le caratteristiche specifiche della malattia, ovvero quelle comuni a tutti i casi? Questa è una delle critiche che sono state mosse allo studio di Volk.
Addestrare i cani anti Covid
“Perché un cane capisca che c’è un odore caratteristico del Covid, sono necessari molti campioni: per allenarlo servono circa 150 campioni di sudore di persone positive al Covid” spiega Dominique Grandjean, ricercatore presso la National Veterinary School di Alfort (Parigi). “All’inizio è impressionante perché servono solo poche ore al cane per riconoscere un campione positivo: questo perché è capace di tenere nella sua memoria un campione specifico. Se alleni il cane con 5 campioni diversi, ricorderà questi 5 campioni positivi. Ma non sarà ancora in grado di riconoscere l’odore comune a questi 5 campioni. Se invece alleni il cane con 150 campioni olfattivi, allora deve memorizzare l’odore che è comune a questi 150 campioni, e in questo caso riuscirà a raggiungere quel grado di astrazione necessario per gli screening di massa come quelli che si possono fare negli aeroporti. Perché un cane ricordi pochi campioni positivi, bastano poche ore. Ma se si vuole che riesca a riconoscere l’odore tipico del Covid astraendo da un vasto numero di campioni, sono necessarie 3-4 settimane di allenamento intensivo”. Grandjean sta lavorando da due anni a un progetto franco-libanese per la diagnosi, attraverso l’olfatto canino, di malattie come il Parkinson e il tumore al colon.
Perché il sudore
“A marzo abbiamo deciso di tentare la diagnosi del Covid, ipotizzando che l’infezione produca un odore specifico – spiega Grandjean – il primo passo è stato capire su che tipo di campioni focalizzarci. Se il virus nel suo replicarsi produce delle molecole specifiche, in che modo – ci siamo chiesti – queste molecole possono uscire dal corpo? La risposta è: attraverso il sudore, la saliva, l’urina o le feci. Noi abbiamo scelto il sudore, perché non trasmette il virus e quindi non c’è rischio di infezione per le persone o per i cani nel prendere dei campioni di sudore. Abbiamo scelto di prelevarli dalle ascelle delle persone da diagnosticare, perché è il luogo dove il rischio di contaminazione passiva è minore”. Per i primi esperimenti sono stati coinvolti dei cani delle forze dell’ordine, addestrati al rilevamento degli esplosivi. “Tra aprile e settembre abbiamo allenato e messo alla prova diversi gruppi di cani, ottenendo una sensibilità (la capacità di identificare correttamente i soggetti ammalati) tra il 92 e il 98% e una specificità (la capacità di identificare correttamente i soggetti sani) tra il 95 e il 99%: è un’affidabilità paragonabile a quella dei test PCR”, spiega Grandjean. “All’inizio del progetto i Paesi coinvolti erano solo Francia e Libano. Ora invece abbiamo 23 nazioni che lavorano direttamente insieme a noi sul tema dei cani anti-Covid, e in tutto, nel mondo, sono circa 40 i Paesi che stanno seguendo con loro progetti questo approccio”.
Quell’odore che tradisce il Covid
Ma cosa riconoscono, precisamente, i cani annusando campioni di sudore dei Covid-positivi? “I cataboliti, ovvero le molecole più semplici che vengono prodotte dai processi metabolici che avvengono quando il virus si replica, o quando usa la cellula per produrre il suo effetto tossico. Due laboratori, in Francia, stanno lavorando con noi per isolare queste molecole. Uno a Bordeaux e uno all’ospedale Foch vicino a Parigi – spiega Grandjean – all’ospedale Foch si fa lo stesso tipo di test ma sull’aria che viene espirata dalle persone: esiste infatti una “firma olfattiva” del virus anche nell’aria espirata. E presto capiremo quali molecole precise sono coinvolte, così potremo andare dalle industrie chimiche e chiedere se hanno queste molecole nel catalogo o se possono sintetizzarle. In questo modo potremo addestrare i cani con le molecole sintetiche che costituiscono la “firma olfattiva” del virus”. E incrementare, in questo modo, a piacimento la quantità di cani addestrabili. “Il nostro è un sistema molto semplice, fin troppo. Però incontra qualche difficoltà da parte dei medici, che non desiderano lavorare sulla salute umana insieme ai veterinari – spiega Grandjean – il cane sembra “troppo semplice” per i medici, abituati a macchinari sofisticati. È qualcosa al di fuori della loro cultura. Quindi sappiamo che ci vorrà del tempo, e soprattutto una buona quantità di risultati pubblicati in peer review, per convincerli”.
Un supporto agli altri test
La cosa da ricordare è che i cani anti Covid rappresentano più un supporto alla medicina che un metodo in grado di soppiantare gli altri. “I cani non dovrebbero rimpiazzare gli altri test: non è assolutamente questo il nostro obiettivo – spiega Grandjean – il cane può essere un pre-test non invasivo, non costa nulla e ha risposta immediata. Se hai una popolazione da controllare in modo rapido, puoi farla annusare dai cani. Così soltanto coloro che risultano positivi all’olfatto del cane possono essere sottoposti agli altri test più costosi e approfonditi”. E si ottimizzano le risorse e il tempo necessari allo screening. “Vuole un esempio? Oltre a impiegare i cani in aeroporti e stadi, come già si sta facendo in alcuni Paesi, li si potrebbe portare nelle scuole, nelle università, in tutti i posti frequentati da molte persone, e in particolare persone giovani che pur non ammalandosi possono essere portatori del virus. Fin quando il virus è attivo, i cani riescono a rilevarlo. I sindaci di piccole città potrebbero, inoltre, mettere un cane a disposizione della popolazione: chi desidera fare il test per il Covid può avvicinarsi al cane e avere un’indicazione immediata”, spiega Grandjean. “Se vogliamo fermare il Covid bisogna sottoporre a test il maggior numero possibile di persone, e fare in modo che i positivi rimangano a casa. E questa è la critica che ci fanno i Paesi asiatici: non testiamo abbastanza. E non tutti i test sono molto affidabili: ad esempio la sensibilità di certi test antigenici è intorno al 57%, solo un po’ meglio del tirare una moneta in aria”..
Fonte: La Repubblica