Calo della natalità, quali effetti su sviluppo e pensioni?
Articolo del 02 Febbraio 2021
Il calo della natalità è un problema all’ordine del giorno per molti Paesi e va affrontato, senza inutili allarmismi, organizzando servizi, produzione e consumi: il risultato? Una società meno popolosa ma (forse) più equa.
Nelle classifiche europee il nostro Paese è costantemente all’ultimo o penultimo posto per livello di crescita dell’economia, per la produttività e per l’occupazione sia totale sia soprattutto femminile e giovanile. Siamo invece ai vertici delle graduatorie per debito pubblico, livelli di infedeltà fiscale e per le attività criminali. Eppure, pare che l’unica preoccupazione che turba l’intera classe politica (e non solo) sia il calo della natalità. Non si fanno più figli, siamo in declino economico e chi ci pagherà le pensioni? Più o meno la stessa frase che si diceva a proposito dei flussi migratori, poi si è verificato che gli immigrati sono un investimento che costa.
Il numero delle nascite è in calo in tutti i Paesi, e da noi forse lo è un poco di più. In gran parte dipende dallo sviluppo. In Messico, solo per fare un esempio, si facevano dai 5 ai 10 figli a seconda del fatto che si vivesse in città o in campagna, oggi se ne fanno uno o massimo due; e così è un po’ ovunque. In parte dipenderà anche dalla mancanza di asili nido, di strutture di sostegno alla maternità e di prospettive. I demografi sanno bene che nella millenaria storia dell’uomo le fasi di declino demografico si sono succedute ad altre di crescita; è accaduto anche nel periodo prima e dopo le due guerre mondiali. Oggi la “guerra” si chiama, da un lato, crisi da globalizzazione e dall’altro, in generale, mancanza di stimoli. Pensate che sia stato più facile per i nostri padri negli anni Cinquanta e Sessanta fare figli quando mancava spesso anche da mangiare? Molti padri – ricordo il mio – dopo 9/10 ore di lavoro in fabbrica facevano un secondo mestiere per portare a casa cibo ai bambini e chiedere l’elemosina in parrocchia era l’ultima cosa a cui pensare per la propria dignità; le parole vacanze e svago non erano nel vocabolario.
Oggi sono le parole sacrifici e doveri a essere fuori vocabolario. E poi chi l’ha detto che dobbiamo continuamente crescere? Facciamo alcune considerazioni: a) sul nostro pianeta nel 1750 vivevano poco più di 795 milioni di abitanti e crescevamo già molto rispetto ai 500 milioni di cent’anni prima; nel 1918, ai tempi della spagnola eravamo circa 1,8 miliardi; 3 nel 1960 e 7,7 oggi. Insomma, ci abbiamo messo 11.800 anni per raggiungere i 795 milioni di terrestri, 170 anni per raddoppiare e arrivare a 1,8 miliardi, altri 42 per raddoppiare ancora e meno di 60 anni per passare da 3 agli attuali 7,7 miliardi. Di questo passo, le previsioni per il 2050 ci danno tra i 10 e gli 11 miliardi. Una popolazione che consuma al di sopra della sostenibilità della nostra Terra e, infatti, il cosiddetto Earth Overshoot Day 2020, o giorno del debito ecologico, nel 2020 è stato sabato 22 agosto, data alla quale la popolazione mondiale aveva già consumato tutte le risorse di un intero anno del pianeta e ha cominciando a “sovrasfruttare” la nostra Terra. Nel 2019 era stato il 29 luglio ma questo mese guadagnato non è merito nostro, bensì effetto del coronavirus che potrebbe svanire presto se non interveniamo sul nostro modo di crescere, produrre e consumare. 15 anni fa, nel 2005, l’Overshoot Day cadde il 25 agosto, e da allora il trend è sempre peggiorato. Pare che il virus ci abbia avvisati: noi umani dobbiamo comprendere che non siamo i padroni della Madre Terra, siamo solo suoi ospiti e, se esageriamo, la natura ce lo fa comprendere. Vogliamo aumentare ancora per poi sbranarci o fare nuove guerre per cibo, acqua e risorse naturali? Non vi dice nulla la politica cinese in Tibet per avere il controllo sull’acqua che nasce dai monti di quel Paese? Oppure non è meglio pensare ai lati positivi dell’invecchiamento che comunque è una bella notizia perché si vive molto di più.
b) E torniamo in Italia. Nel 1861 eravamo 22 milioni; 100 anni dopo, nel 1961 grazie anche al boom economico del Dopoguerra, eravamo già 50,6 milioni; 57 milioni nel 2001, 59 nel 2011 e 60,8 nel 2014. L’Istat ci informa che il saldo naturale (la differenza tra il numero dei nati e quello dei deceduti) peggiora dal 2002 e nel 2019 è stato di meno 193mila unità. Tuttavia la popolazione ha continuato ad aumentare fino al 2014 grazie anche ai circa 5 milioni di nuovi abitanti immigrati, flusso oggi in rallentamento, e agli oltre 1,8 milioni di cittadinanze concesse agli stranieri dal 2002. Se anche perdessimo circa 200mila abitanti l’anno ci vorrebbero 20 anni per tornare a 56 milioni di abitanti: sarebbe un dramma? Ci mancherebbe forza lavoro? No! Infatti nel 2040, secondo le stime più accreditate, il tasso di disoccupazione sarà inferiore al 4%, con un aumento dell’occupazione femminile (oggi inferiore al 50%), giovanile (meno del 30%) e degli over 55 (50%). Saremmo in piena occupazione, il che produrrà un incremento della domanda di lavoro e, quindi, anche dei redditi e quindi delle certezze. Nei prossimi 20 anni, infatti, le generazioni con 65 anni e più trasferiranno ai loro figli e nipoti qualcosa come 3.600 miliardi di ricchezza netta.
Forse con meno abitanti ci sarà meno PIL, ma se sapremo affrontare questa ineludibile transizione demografica potremmo avere una società più tranquilla e felice: la vera sfida è di invecchiare attivamente, lavorando anche dopo i 67 anni e facendo molta prevenzione per trascorrere in buona salute l’ultima parte della nostra vita. Il rapporto attivi/pensionati si manterrà per i prossimi anni su livelli accettabili (1,5) a condizione di smettere di fare Quota 100, salvaguardie, e anticipazioni varie che stanno squassando un sistema pensionistico che, nel 2019, aveva toccato il massimo di sostenibilità.
A partire dal 2040 il tasso di natalità inizierà ad aumentare seppure lentamente e inizierà un nuovo ciclo. Non si tratta di essere ottimisti a tutti i costi o fautori della decrescita felice e certo non si può imporre, come nei tempi bui, alle donne di fare figli ed è altrettanto inutile disperarsi per il calo della natalità. Occorre invece affrontare la demografia con buon senso, organizzando la società, la produzione, la distribuzione e i consumi. E forse così avremo un’Italia più saggia, con maggiore senso del dovere e meno consumistica.
Fonte: Il Punto. Pensioni e Lavoro