Il futuro è delle agro-miniere: i metalli verranno estratti dalle piante
Articolo del 03 Febbraio 2021
Si sperimentano accumulatori naturali, capaci di assorbire nickel e altre sostanze rare: sono strategiche per i prodotti high tech.
Molti metalli di interesse industriale potranno essere estratti in modo sostenibile dalle piante, in coltivazioni di nuova generazione come alternativa alle nocive estrazioni dal suolo. Una delle specie candidate per le agro-miniere è Phyllanthus rufuschaneyi: cresce naturalmente in Malesia-Borneo e i suoi arbusti, se recisi, rilasciano una linfa di un intenso colore blu-verde, ricca di metalli: in particolare il nickel, oggi sempre più prezioso non solo perché usato in apparecchi elettronici di largo consumo (dai cellulari ai computer), ma perché sempre più richiesto per le batterie ricaricabili delle vetture elettriche e per le turbine eoliche (si stima che il fabbisogno di nickel raddoppierà da qui al 2025). La pianta lo risucchia direttamente dal suolo e ne è un iper-accumulatore.
Avvistata inizialmente nel parco nazionale del Monte Kinabalu in Borneo (riconosciuto uno dei luoghi del mondo più ricchi di piante accumulatrici di metalli), Phyllanthus rufuschaneyi è uno degli ultimi tesori verdi scoperti da Anthony van der Ent dell’Istituto per i materiali sostenibili presso l’Università del Queensland in Australia: lui è un «minatore» d’eccezione, che sonda un modo sostenibile per estrarre metalli oggi di largo uso, senza pesare sull’ambiente.
L’estrazione dal suolo, oltre ad essere costosa e pericolosa, è anche dannosissima: si usa un sistema a cielo aperto, che comporta lo sradicamento di intere zone verdi e poi l’uso di esplosivi per portare in superficie la miniera. Il disboscamento espone il territorio, in caso di precipitazioni, al rischio di dilavamento e i flussi di acque tossiche finiscono in mare, dove uccidono pesci e coralli. Inoltre per raffinare il minerale grezzo si usa un processo di fusione che libera fumi tossici e tonnellate di scarti velenosi.
L’idea di «sminare» i metalli attraverso piantagioni di specie iper-accumulatrici rappresenta, dunque, un’alternativa a cui molti stanno volgendo lo sguardo. La coltivazione delle prime «piantagioni di metalli» è iniziata in Europa, Cina e Malesia in attesa dei preziosi raccolti. Tutte le piante accumulano piccole quantità di metalli dal suolo, ma ve ne sono alcune, come, appunto, la Phyllanthus rufuschaneyi, che ne trattengono grandi quantità. La prima a essere scoperta, Alyssum bertolonii – parente del cavolo e della verza – risale al 1948 ed è stata raccolta dalla botanica Ornella Vergnano in Toscana. Accumula quantità di nickel 2 mila volte maggiori di una pianta tipica, 10 milligrammi per ogni grammo di tessuto disidratato. Non è chiaro perché certe piante si comportino come iper-accumulatrici di metalli; si ritiene che li trattengano per difendersi dai parassiti. Finora, comunque, la loro esistenza era ritenuta poco più che un fatto curioso. È solo di recente che si sta pensando, invece, di sfruttarle come alternative alle miniere.
Dopo aver scoperto la Phyllanthus rufuschaneyi nel Parco Nazionale ed essersi accorto che la sua linfa contiene nickel per il 25% del suo peso, van der Ent ha impiegato alcuni anni per «stanarla» nel suo ambiente naturale e poi ha dato avvio alle coltivazioni delle prime «miniere-agricole» in Malesia. Il raccolto di van der Ent consiste in qualcosa come 250 chilogrammi di nickel l’anno per ettaro di terreno, per un valore di 4 mila dollari. In Europa, intanto, Guillaume Echevarria dell’Università della Lorena, in Francia, ha cercato a sua volta piante accumulatrici che potessero crescere sui terreni francesi; le ha trovate in Albania e sono specie simili al cavolo, da cui si può estrarre qualcosa come 200 chili di nickel per ettaro di coltivazione ogni anno (per un valore di 3 mila dollari). E, sempre partendo dall’Università della Lorena, il gruppo di Marie-Odile Simonnot ha scovato nella provincia cinese Jiangxi una felce (Dicranopteris dichotoma) che accumula metalli rari, come lantanio, cerio, praseodimio e neodimio; secondo quanto riportato dagli scienziati d’Oltralpe sulla rivista «Agromining: Farming for Metals», la specie consente raccolti annui di 300 chili per ettaro dei metalli grezzi.
Ora Van der Ent è convinto che le miniere-agricole possano essere usate per produrre metalli su vasta scala, se si trovano i luoghi adatti per coltivarle: promettente è in tal senso l’isola Sulawesi, in Indonesia, dove vi sono 15 mila chilometri quadrati di suolo ricco di metalli adatto allo scopo. L’idea è sfruttare terreni inadatti a coltivazioni agricole tradizionali, così da rispettare la biodiversità vegetale e anche gli agricoltori locali.
Van der Ent è sempre a caccia di nuovi tesori vegetali: va girando per erbari di tutto il mondo alla ricerca di altre specie di piante iper-accumulatrici. Porta con sé un agile strumento, uno spettrografo a fluorescenza in emissione di raggi X, che consente l’identificazione degli elementi chimici presenti nel campione esaminato. Puntando lo strumento sui campioni vegetali, in un attimo gli scienziati possono leggere il loro contenuto in metalli e scovare altre specie iper-accumulatrici potenzialmente coltivabili.
Fonte: La Stampa