Dal bioreattore alla fiala: i 100 giorni del vaccino
Articolo del 01 Marzo 2021
L’operazione di vaccinazione dura pochi minuti: giusto il tempo di diluire il contenuto della fiala, prelevare la dose e iniettarla nel braccio del paziente. È un procedimento tanto semplice quanto è complessa la macchina produttiva e logistica che ha portato la fiala in ospedale: l’iniezione è solo l’atto finale di una lunga storia iniziata almeno 100 giorni prima in un fermentatore.
Qui, ad alcuni batteri Escherichia coli è stato inoculato un frammento di DNA che codifica per la proteina spike del coronavirus SARS-CoV-2: fornendo loro tutto il nutrimento di cui necessitano, si lascia che proliferino, riproducendo anche il frammento di DNA contenuto al loro interno. Siccome la popolazione raddoppia ogni 30 minuti, bastano quattro giorni per ottenere un quantitativo di DNA utile ai successivi step di produzione. Quando questo banchetto batterico viene interrotto, le cellule vengono distrutte e il DNA recuperato. Siccome i brodi di coltura batterica sono estremamente complessi, sono necessari dieci giorni di lavoro per rimuovere tutto ciò che non serve (acqua, residui cellulari, sostanze nutritive in eccesso…) e ottenere il DNA purificato, che viene immediatamente congelato. Seguono intensi giorni di test per valutare che il materiale prodotto raggiunga tutti gli standard di qualità previsti.
Una volta ottenuto l’ok al check-in, il DNA, con un viaggio aereo all’interno di speciali buste raffreddate a -80°C (l’equivalente di un volo in business class con aria condizionata), arriva al secondo stadio di produzione, la trascrizione. Ad attenderlo ci sono dei veri e propri calderoni da 40 litri l’uno: in ognuno l’enzima RNA polimerasi “legge” le informazioni derivanti dal DNA e sintetizza filamenti di mRNA, il principio attivo del vaccino. È un processo che richiede quattro giorni per arrivare a completamento e ogni “calderone” produce abbastanza mRNA per preparare circa 10 milioni di dosi. Di nuovo, segue un lungo e certosino lavoro di purificazione, per avere la certezza che il principio attivo non contenga alcun contaminante derivante dalle lavorazioni precedenti. Appena pronti, i filamenti di mRNA sono congelati e testati. Durante la vita di un reattore, i risultati dei test non devono cambiare: solo così si può assicurare che il prodotto sia della giusta qualità richiesta a un vaccino sicuro ed efficace.
Siamo a circa metà dell’opera: mancano due step che trasformano un principio attivo in un farmaco completo. L’aggiunta degli eccipienti, quelle sostanze che facilitano l’assunzione e consegnano il filamento di RNA direttamente alla cellula bersaglio, e il confezionamento nelle fiale. L’eccipiente più importante del vaccino a mRNA sono delle nanoparticelle lipidiche: minuscole sferette di grasso che intrappolano il principio attivo al loro interno. L’unione tra eccipiente e principio attivo avviene in mixer appositamente studiati, che però hanno una capacità produttiva piuttosto bassa: Chaz Calitri, un dirigente Pfizer ha definito i macchinari un “labirinto di tubi”. Metterne a punto uno simile, ma molto più grande, sarebbe una scelta logica, ma le tempistiche necessarie collidono con le pressanti richieste di vaccini in tutto il mondo. Come se non bastasse, né Pfizer/BioNTech né Moderna, i due consorzi che lavorano sulla tecnologia a RNA, hanno impianti adatti alla preparazione delle nanoparticelle lipidiche, per cui sono costretti a comprarle da aziende esterne. La gestione della produzione, già complessa fino a questo momento, si complica ulteriormente: ricevere con costanza grandi quantitativi di lipidi è fondamentale per mantenere elevata la capacità produttiva del vaccino finito.
Siamo di fronte al classico collo di bottiglia che sempre si incontra in un processo industriale: il numero di dosi prodotte è limitato da quanto eccipiente viene fornito e da macchinari limitati. Ci si aspetta che, nel tempo, con lo stabilizzarsi delle procedure operative e la messa in esercizio di nuovi mixer, questo limite venga effettivamente superato. Una volta che anche questo scoglio è superato, si procede al riempimento delle fiale: ogni macchinario che svolge questa funzione riesce a ultimare circa 600 fiale al minuto. Queste vengono immediatamente congelate a –80°C e mantenute congelate fino al momento della iniezione nel braccio del paziente. Prima di arrivare agli ospedali, però, i lotti di vaccino devono essere accuratamente analizzati: ogni parametro (dalla purezza, alla viscosità fino anche alla colorazione della dispersione) deve rientrare nei limiti stabili dagli enti regolatori. Ogni lotto che non superi i test non può uscire dagli stabilimenti e non può essere utilizzato. È un ulteriore rallentamento, ma è assolutamente necessario per fornire alla popolazione farmaci sicuri ed efficaci.
Schematizzando tutto il processo abbiamo: isolamento e preparazione del DNA; duplicazione del DNA; trascrizione a RNA; miscelazione con gli eccipienti; preparazione delle fiale. Gli ingredienti finali del vaccino sono:
- mRNA 30µg/dose
- Colesterolo
- Lipidi cationici (DSPC, ALC-3015, ALC-0159 nella ricetta Pfizer/BioNTech; DSPC, SM-102, PEG2000-DMG nella ricetta Moderna)
- Regolatori di acidità
- Acqua
In una situazione normale, un’azienda farmaceutica impiega anni per mettere a punto un intero processo produttivo: si inizia dai test di laboratorio e si passa ad impianti sempre più capienti, aggiornando di volta in volta le procedure. I singoli step sono necessari per individuare problemi sempre diversi: in ogni passaggio si impara qualcosa di nuovo e si possono attuare modifiche per risolvere le criticità. Al termine degli studi, gli impianti sono ottimizzati e il farmaco può entrare in produzione stabilmente. Nel caso del vaccino, però, la richiesta è stata così pressante che le aziende hanno dovuto reinventare il loro modo di lavorare: si è passati dalle ricerche di laboratorio alla produzione in impianto, senza gli step di ottimizzazione normalmente utilizzati. La produzione è stata effettivamente avviata e i vaccini stanno arrivando nel mondo, ma le aziende si trovano a imparare cosa avvenga nei propri reattori durante la produzione del farmaco.
In una situazione così incerta, i problemi sono dietro l’angolo e con essi arrivano i rallentamenti, come abbiamo effettivamente riscontrato intorno a fine gennaio. Pfizer ha dichiarato che, allo stato dell’arte, l’intero processo di produzione vaccinale richiede circa 100 giorni, equamente divisi tra tempi tecnici di produzione, tempi di analisi e tempi di trasferimento. Con il procedere del tempo, con l’acquisizione di nuovi macchinari, con l’individuazione e la risoluzione di problemi impiantistici, questo tempo sicuramente si accorcerà. La Pfizer stessa ha dichiarato che le tempistiche ottimizzate saranno di circa 60 giorni. Probabilmente non si potrà fare meglio, ma se confrontiamo questi due mesi con i 18 mesi necessari a produrre altri importanti vaccini, ci rendiamo conto dell’immane sforzo che le aziende stanno producendo per dare al mondo lo strumento più efficace per tornare ad una vita normale.
Fonte: Scienza in Rete