Alcune risposte sulla perdita di olfatto da COVID-19.
Articolo del 21 Novembre 2020
Molti pazienti colpiti dal nuovo coronavirus soffrono di una perdita o di un’alterazione dell’olfatto, accompagnate a volte dalla perdita del gusto. Secondo alcuni studi, il problema sarebbe da imputare a un danno delle cellule dell’epitelio nasale, e non a disturbi più gravi del sistema nervoso.
Eian Kantor se ne è accorto un sabato di inizio aprile, mentre preparava una tazza di tè con foglie di menta fresca: aveva perso l’olfatto. Il tè stranamente non odorava di nulla. Kantor si è messo a frugare nel frigorifero, annusando barattoli di sottaceti, salsa chili e aglio: niente.
Kantor, 30 anni, e la sua fidanzata erano rimasti isolati nel loro appartamento a Queens, da quando lo Stato di New York era stato messo in lockdown a fine marzo, quindi non sospettava di avere COVID-19, nonostante avesse una leggera febbre che attribuiva alle allergie stagionali. Quando finalmente è riuscito a sottoporsi al test alcune settimane dopo la perdita dell’olfatto, o anosmia, è risultato negativo, ma mesi dopo, racconta, vari test hanno dimostrato che i suoi anticorpi contro il nuovo coronavirus erano “fuori dalla norma, il che confermava che l’avevo contratto”.
Si stima che l’80 per cento dei soggetti con COVID-19 abbia disturbi dell’olfatto, e molti hanno anche disgeusia o ageusia (rispettivamente, alterazione o perdita del gusto) o cambiamenti nella chemestesi (la capacità di percepire sostanze chimiche irritanti come il peperoncino piccante). La perdita dell’odore è così comune nelle persone affette dalla malattia che alcuni ricercatori ne hanno raccomandato l’uso come test diagnostico perché può essere un marcatore più affidabile della febbre o di altri sintomi.
Un mistero insoluto è in che modo il nuovo coronavirus priva le sue vittime di questi sensi. All’inizio della pandemia, medici e ricercatori temevano che l’anosmia legata a COVID-19 potesse indicare che il virus arriva nel cervello attraverso il naso, dove potrebbe causare danni gravi e duraturi. Un possibile percorso sarebbe stato attraverso i neuroni olfattivi che percepiscono gli odori nell’aria e trasmettono quei segnali al cervello.
Ma gli studi hanno dimostrato che probabilmente non è così, dice Sandeep Robert Datta, neuroscienziato della Harvard Medical School. “La mia lettura complessiva dei dati fino a oggi suggerisce che la fonte primaria di danno è in realtà nel naso, nell’epitelio nasale,” lo strato cutaneo delle cellule responsabili della registrazione degli odori. “Sembra che il virus attacchi, in prevalenza, le cellule di supporto e le cellule staminali, e non direttamente i neuroni”, dice Datta, ma questo fatto non esclude che i neuroni possano essere colpiti, sottolinea.
I neuroni olfattivi non hanno sulla loro superficie i recettori dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), che permettono l’ingresso del virus nelle cellule. Ma le cellule sustentacolari, che supportano in modo importante i neuroni olfattivi, sono costellate di recettori. Queste cellule mantengono il delicato equilibrio degli ioni di sali nel muco da cui i neuroni dipendono per inviare segnali al cervello. Se questo equilibrio viene turbato, potrebbe portare a un arresto dei segnali neuronali – e quindi dell’olfatto.
Le cellule sustentacolari forniscono anche il supporto metabolico e fisico necessario per sostenere le ciglia a forma di dita sui neuroni olfattivi, dove si concentrano i recettori che rilevano gli odori. “Se quelle ciglia vengono disturbate fisicamente, si perde la capacità olfattiva”, dice Datta.
In uno studio uscito su “Brain, Behavior and Immunity”, Nicolas Meunier, neuroscienziato dell’Università Paris-Saclay in Francia, ha infettato i nasi dei criceti siriani dorati con SARS-CoV-2. Appena due giorni dopo, circa metà delle cellule sustentacolari dei criceti era infetta, mentre i neuroni olfattivi non risultavano infetti neppure dopo due settimane. E, sorprendentemente, l’epitelio olfattivo era completamente staccato, spiega Meunier, in modo simile a quanto avviene con la desquamazione della pelle dopo una scottatura. Anche se i neuroni olfattivi non erano infetti, le loro ciglia erano completamente scomparse. “Se si rimuovono le ciglia, si rimuovono i recettori olfattivi e la capacità di rilevare gli odori”, dice.
L’alterazione dell’epitelio olfattivo potrebbe spiegare la perdita dell’odore. Tuttavia, non è ancora chiaro se il danno sia causato dal virus di per sé o dalle cellule immunitarie invasive che Meunier ha osservato dopo l’infezione. Le segnalazioni diffuse di anosmia da COVID-19 non sono tipiche di altre malattie causate da virus. “Pensiamo che sia molto specifico di SARS-CoV-2”, sottolinea Meunier. In un precedente studio con altri virus respiratori del suo laboratorio, egli ha scoperto che le cellule sustentacolari erano infettate solo raramente, mentre con SARS-CoV-2, circa la metà delle cellule conteneva l’agente patogeno. Con altri virus, l’odore è di solito compromesso dal naso chiuso, ma COVID in genere non causa congestione nasale. “Questo è molto diverso”, dice Meunier.
I ricercatori hanno trovato alcuni indizi sulla perdita dell’odore, ma sono meno sicuri su come il virus causi la perdita del gusto. Le cellule recettoriali del gusto, che rilevano le sostanze chimiche nella saliva e inviano segnali al cervello, non possiedono ACE2, quindi probabilmente non vengono infettate dal SARS-CoV-2. Ma altre cellule di supporto nella lingua hanno il recettore, il che fornisce forse qualche indicazione sul perché il gusto scompare. (Anche se può sembrare che il gusto scompaia con l’anosmia perché gli odori sono un componente chiave del sapore, molte persone con COVID-19 sviluppano veramente ageusia e non possono rilevare nemmeno il gusto dolce o salato).
La perdita della sensazione chimica – il bruciore dei peperoncini piccanti o la sensazione rinfrescante della menta – rimane anch’essa inspiegabile e in gran parte inesplorata. Queste sensazioni non sono gusti. Il loro rilevamento è invece trasmesso da nervi, alcuni dei quali possiedono ACE2, che percepiscono il dolore in tutto il corpo, compresa la bocca.
Altri indizi su come il virus annulla l’odore provengono da persone che si stanno riprendendo dall’anosmia. “La maggior parte dei pazienti perde l’odore come per effetto di un interruttore della luce che si spegne e lo recupera rapidamente”, dice Datta. “C’è una frazione di pazienti invece che ha un’anosmia molto più persistente e si riprende in tempi più lunghi”. L’epitelio olfattivo si rigenera regolarmente. “Questo è il modo in cui il corpo si protegge dall’attacco costante di tossine presenti nell’ambiente”, dice Meunier.
A più di sette mesi dalla prima esperienza di anosmia, Kantor rientra nel secondo gruppo di pazienti: non ha ancora percepito alcun odore. “È dura, perché non ti accorgi di quanto fai affidamento sull’odore finché non lo perdi”, dice. “Se la casa andasse a fuoco, non lo saprei. È molto preoccupante”. E poi c’è l’impatto dell’anosmia sul piacere di mangiare. “I cibi che una volta erano buoni ora hanno un sapore sgradevole'”, raconta.
Carol Yan, rinologa dell’Università della California a San Diego, ritiene che l’anosmia rappresenti un vero rischio per la salute. “Aumenta la mortalità”. Se non si riesce a sentire l’odore e ad assaggiare il cibo, ciò può predisporre a un danno, come il cibo marcio o una fuga di gas”, dice. “Può anche causare isolamento sociale o deficit nutrizionali”.
Le variazioni sul tema della percezione sensoriale si estendono a un altro sintomo chiamato parosmia, un possibile segno di recupero in soggetti con anosmia di lunga durata. Freya Sawbridge, una donna neozelandese di 27 anni, è una di loro. Ha contratto COVID-19 a marzo. Dopo diverse settimane di anosmia e ageusia, quando tutto sapeva di “cubetti di ghiaccio e cartone”, racconta, ha cominciato a ritrovare i gusti più basilari – dolce, salato, acido – ma senza alcuna sfumatura di sapore, che deriva dagli aromi dei cibi. “Il cioccolato sa di gomma dolce”, dice.
Poi, dopo circa cinque mesi, alcuni odori sono tornati, ma non come si aspettava. Per un po’ di tempo, tutti i cibi odoravano di aroma artificiale alla fragola. Ma ora “tutto ha un odore orribile e distorto”, dice Sawbridge. “Niente è preciso e gli odori sono tutti sgradevoli”. L’odore delle cipolle, dice, è insopportabile, e uno strano sapore chimico pervade tutto. “È come se tutto il mio cibo fosse stato spruzzato di detergente per vetri”, aggiunge Sawbridge.
La parosmia può verificarsi quando le cellule staminali appena cresciute che si sviluppano in neuroni del naso tentano di estendere le loro lunghe fibre, chiamate assoni, attraverso piccoli fori alla base del cranio, collegandosi con una struttura cerebrale chiamata bulbo olfattivo. A volte gli assoni si collegano nel posto sbagliato, causando un odore irregolare, ma il cablaggio errato è in grado di correggersi da solo, se c’è il tempo sufficiente.
Questa notizia è benvenuta per persone come Sawbridge. Ma quello che vorrebbe sapere è quanto durerà la sua anosmia. “Non conosciamo il decorso temporale finale della guarigione per chi soffre di anosmia”, dice Yan, ma di solito va da sei mesi a un anno. “Con una perdita di odore post virale a lungo termine a causa dell’influenza, dopo sei mesi c’è una probabilità del 30-50 per cento di guarigione spontanea”, aggiunge. “Ci sono stati casi di guarigione dopo due anni. Dopo quel periodo, pensiamo che la capacità rigenerativa possa essere ostacolata. E le possibilità di guarigione sono purtroppo piuttosto scarse”.
Kantor ha provato ogni strada immaginabile per riacquistare l’olfatto: un ciclo di steroidi ad alto dosaggio per ridurre l’infiammazione; un programma di condizionamento dell’olfatto con oli essenziali; integratori di beta-carotene per la rigenerazione dei nervi; agopuntura. Ma nulla ha fatto la differenza.
Yan raccomanda la “irrigazione” dei seni con budesonide, uno steroide topico che ha dimostrato di migliorare i risultati in uno studio dell’Università di Stanford su soggetti con perdita dell’olfatto post-influenzale per più di sei mesi. Un altro trattamento promettente che Yan e altri stanno studiando è a base di plasma arricchito di piastrine, un intruglio antinfiammatorio isolato dal sangue che è stato usato per trattare alcuni tipi di danni ai nervi. Ma nessun trattamento, spiega Yan, ha dato risultati sorprendenti”. Non è che ti sveglierai e dirai: “Wow, sento di nuovo gli odori”. Ma se riesci a sentire di nuovo l’odore del sapone o a goderti il sapore di alcuni cibi, è un grande risultato”.
C’è un’ultima nota preoccupante sull’anosmia: è stata identificata come fattore di rischio per alcune malattie neurodegenerative. “Dopo la pandemia influenzale del 1919, abbiamo osservato un aumento della prevalenza del morbo di Parkinson”, dice Meunier. “Sarebbe davvero preoccupante se qualcosa di simile accadesse anche ora”.
Ma Yan pensa che i timori siano esagerati. “Esiste certamente un legame tra anosmia e malattie, ma pensiamo che l’anosmia indotta dal virus sia un meccanismo completamente diverso”, dice. “Avere un’anosmia post-virale non comporta un rischio maggiore di malattia”. Questi sono due fenomeni completamente separati”. Ciò dovrebbe rassicurare Sawbridge e Kantor, così come milioni di altri in tutto il mondo colpiti dalla perdita di olfatto dovuta a COVID-19.
Fonte: Le Scienze