Ancora incontaminato solo il 3 per cento delle terre emerse
Articolo del 16 Aprile 2021
Oltre il 97 per cento della terraferma del pianeta ha perduto la propria integrità ecologica. Lo afferma una nuova analisi che ha adottato parametri di valutazione più stringenti rispetto agli studi precedenti, utilizzando i criteri usati dall’IUCN, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, per definire il grado di integrità di un habitat naturale al di là della presenza di insediamenti umani.
La natura incontaminata è quasi scomparsa. Secondo una nuova ricerca, infatti, appena il 3 per cento degli habitat naturali di tutte le terre emerse del pianeta è ancora intatto, una percentuale circa dieci volte inferiore a quanto stimato in studi precedenti.
Ma cosa s’intende per habitat naturale intatto? Uno dei problemi degli studi sulla conservazione ambientale è che attualmente non c’è una definizione unanimamente condivisa. In passato, molte ricerche hanno considerato come parametro l’influenza delle attività umane sull’integrità dell’habitat; usando questa metrica, emerge che una percentuale variabile tra il 20 e il 40 per cento della superficie terrestre del pianeta è ancora libera da insediamenti umani, strade e inquinamento luminoso e acustico.
Ma il nuovo studio, pubblicato su “Frontiers in Forests and Global Change” da Andrew Plumptre del Key Biodiversity Areas Secretariat di Cambridge, e colleghi di una collaborazione internazionale, ha adottato un approccio più approfondito e articolato, stimando quante regioni hanno siti che si possono qualificare come Key Biodiversity Areas (KBA), vale a dire le aree del pianeta più importanti in termini di biodiversità, secondo la definizione dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN).
In particolare, uno dei criteri che identificano le KBA afferma che una comunità ecologica si può considerare intatta se al suo interno ci sono ancora tutte le specie originarie e con popolazioni ugualmente numerose rispetto ai valori iniziali.
Come riferimento temporale, gli autori hanno preso l’anno 1500 d.C., lo stesso usato dall’IUCN per stimare le estinzioni degli animali compresi nella lista rossa delle specie minacciate. Oltre all’integrità dell’habitat in generale, gli autori hanno anche valutato l’integrità faunistica, cioè la perdita di specie animali, e infine l’integrità funzionale, verificando che la perdita di densità delle specie non fosse scesa sotto un livello tale da influenzare il sano funzionamento di un ecosistema.
Incrociando le informazioni contenute in tre diversi database, gli autori hanno scoperto che, secondo questi tre parametri, solo il 2-3 per cento delle terre emerse soddisfa i criteri di integrità dell’IUCN. Inoltre, solo l’11 per cento delle aree ancora funzionalmente intatte si trova all’interno di aree protette. Si tratta di aree gestite dalle comunità indigene – che giocano un ruolo importante nella loro conservazione – come la Siberia orientale e il Canada settentrionale per i biomi boreale e della tundra, parti delle foreste tropicali dell’Amazzonia e del bacino del Congo, e il deserto del Sahara.
In questo quadro drammatico, secondo i ricercatori ci sono però anche motivi di speranza. “I risultati mostrano che sarebbe possibile aumentare le aree ancora integre dal punto di vista ecologico fino al 20 per cento attraverso reintroduzioni mirate di specie che sono andate perdute in aree dove l’impatto umano è ancora basso, a condizione che le minacce alla loro sopravvivenza possano essere affrontate e la loro numerosità ricostituita a un livello tale da soddisfare il loro ruolo funzionale”, ha detto infatti Plumptre.
Fonte: Le Scienze