Anticorpi monoclonali, Silvestri (Emory University): «Riducono il rischio di essere ricoverati. Non capisco il ritardo in Italia»
Articolo del 28 Dicembre 2020
Il professore della Emory University di Atlanta spiega il funzionamento di questa promettente terapia anti Covid-19: «Si legano alla proteina S, quella che il virus usa per entrare nelle cellule dell’ospite, ed agiscono impedendo a questa proteina virale di legarsi al recettore cellulare».
«In Italia sono state approvate sperimentazioni su farmaci e terapie su cui non c’è grande evidenza, come ozonoterapia e Avigan: per questo non capisco la lentezza sugli anticorpi monoclonali». Guido Silvestri, professore e capo dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta, non si dà pace: era stato uno dei primi a segnalare le grandi potenzialità degli anticorpi monoclonali neutralizzanti ma in Italia per ora di questi farmaci non c’è traccia. Sulle Pillole di Ottimismo, il seguitissimo blog che vede tra gli animatori proprio Silvestri, si è parlato molto dei risultati di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine sul Bamlanivimab, uno di questi anticorpi, che in base ai primi dati riduce il rischio di ricoveri ospedalieri del 72%. L’uso di Bamlanivimab è stato infatti approvato in USA (che ha acquistato 950mila dosi), Canada (26mila dosi), Germania ed Ungheria ma, come evidenziato da un’inchiesta del Fatto Quotidiano, non in Italia nonostante il farmaco sia prodotto proprio nel nostro Paese. Ora della questione se ne sta occupando anche il neopresidente AIFA Giorgio Palù. Gli anticorpi monoclonali, che sono efficaci solo se somministrati nella prima fase della malattia, sono stati alla base del prodigioso recupero del presidente Donald Trump, anche lui colpito dal Covid-19.
Professore, come funzionano gli anticorpi monoclonali anti Covid e perché si stanno dimostrando particolarmente efficaci?
«Gli anticorpi monoclonali neutralizzanti funzionano legandosi alla proteina S, quella che il virus usa per entrare nelle cellule dell’ospite, ed agiscono impedendo a questa proteina virale di legarsi al recettore cellulare, una molecola che si chiama ACE-2. La loro efficacia è più marcata nelle fasi iniziali della malattia, quelle in cui i danni sono causati direttamente dal virus, mentre diventano inutili nelle fasi più avanzate in cui ci si trova davanti a una esagerata reazione immunitaria dell’ospite».
Negli Stati Uniti la sperimentazione degli anticorpi come sta andando? Ci sono dati a riguardo?
«Ci sono dei dati pubblicati su due articoli sul New England Journal of Medicine, da cui si evince che questi farmaci riducono in modo significativo il rischio di essere ricoverati in ospedale se infettati con SARS-CoV-2. La FDA, la nostra agenzia regolatoria del farmaco, ha autorizzato l’uso di questi anticorpi nella prima metà di novembre, ed ora li stiamo usando con regolarità nei soggetti con infezione sintomatica recente. La nostra impressione clinica conferma i dati pubblicati secondo cui gli anticorpi funzionino molto bene se somministrati in questa fase iniziale di malattia».
È vero che il Presidente Donald Trump è stato curato con un ‘cocktail’ di questi anticorpi?
«Verissimo. Eravamo ad inizio ottobre e la decisione fu presa perchè sembrava che le condizioni del presidente stessero deteriorando rapidamente. Gli venne fatta una infusione del cocktail della Regeneron ed i risultati nel suo caso sono stati ottimi. Ed infatti fu proprio questo episodio che mi spinse ad adoperarmi per accelerare l’introduzione di questi farmaci in Italia, ma purtroppo il mio tentativo non ha avuto successo».
Secondo lei perché le autorità europee non hanno ancora ammesso l’uso sperimentale di questi anticorpi monoclonali?
«Onestamente non so il perchè di questa lentezza. In Italia sono stati approvati trials clinici pragmatici per terapie di cui non c’è grande evidenza che funzionino, come per esempio Avigan ed ozono, come mi ha segnalato proprio stamattina il collega Enrico Bucci della Temple University. Per questo mi stupisce che nel caso degli anticorpi monoclonali – già approvati dalla FDA ed in favore dei quali ci sono un forte razionale scientifico, eccellenti dati preclinici, e risultati molto promettenti di Fase 2 – le cose procedano così lentamente».
Il combinato disposto di vaccino e anticorpi può segnare la fine del virus o la cosiddetta ‘variante inglese’ può complicare le cose?
«Al momento non sappiamo come si comporti questa variante inglese del virus in termini di resistenza a vaccini o anticorpi. Quello che sappiamo è che ci vorranno diversi mesi prima che la maggioranza della popolazione sia vaccinata per Covid, ed in questo periodo di transizione gli anticorpi sono probabilmente il rimedio più efficace che abbiamo a disposizione».