Censis: La pandemia ha aggredito una società già stanca e il Servizio sanitario si è presentato piuttosto fragile all’appuntamento
Articolo del 08 Dicembre 2020
Come sempre da anni, il Rapporto sulla situazione sociale del Paese elaborato dal Censis e giunto alla 54ª edizione, offre una sua particolare interpretazione del ciclo annuale che attraversa l’Italia. E quest’anno quel ciclo è contraddistinto in tutti i suoi ambiti e settori da un unico imprevisto elemento che ha messo in crisi il Paese: la pandemia Covid.
“Il virus ha aggredito una società già stanca”, scrive il Censis. Che parla di una società, quella italiana, “provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo troppo fragile: una società indebolita nel suo scheletro complessivo, ma ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita”.
Con queste premesse non stupisce che il Censis parli di una “incapacità di visione” nell’affrontare la crisi scatenata dal Covid: “La distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi di ogni ordine e genere ha calmierato le difficoltà di imprese e famiglie. Il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione in deroga hanno posto un argine al rischio di trasferire sui soggetti più deboli gli effetti della riduzione della produzione. Ma il debito pubblico – si legge nel Rapporto – è stato accresciuto in misura rilevante, ponendo un ulteriore fardello sulle prossime generazioni”.
E “il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un’alta via. E oggi l’attesa si è trasformata in disorientamento, la semplificazione delle soluzioni nell’emergenza è diventata una sottovalutazione dei problemi, il contagio della paura rischia di mutare in rabbia”.
“In tutte le epoche di crisi – sottolinea il Censis – la società italiana ha resistito e ha saputo rilanciare grazie a un curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti. Ma la realtà odierna ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non presupporre una nuova azione sistemica della mano pubblica. Tutti avvertono che per rimettere in cammino l’economia e risaldare la società occorrono interventi concreti e in profondità”.
Ma come? Il Censis offre la sua ricetta secondo quattro linee di intervento: “In primo luogo serve un nuovo schema fiscale, perché non sono più tollerabili le distorsioni che pongono a carico degli onesti l’illegalità degli evasori. Mentre una riduzione generalizzata e indistinta delle tasse non appare, almeno nel breve periodo, un obiettivo coerente con la dimensione del debito pubblico e con gli impegni a sostegno del reddito e della crescita”.
“In secondo luogo, un ridisegno del sistema industriale e un ripensamento della qualità degli investimenti a sostegno della produzione, dell’innovazione, delle esportazioni appare prioritario, uscendo dall’indistinto aiuto a tutti, dall’impegno al ristoro come sussidio generalizzato, riconducendo invece in una politica industriale percorribile la pletora di microinterventi già decisi o in via di approvazione. A questa rimodulazione sistemica delle uscite per le imprese è poi funzionale un nuovo assetto della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico”.
“In terzo luogo, è necessario un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali. Il dibattito sul Mezzogiorno affonda precipitosamente e si impone la nuova questione settentrionale. Se da un lato le regioni settentrionali sono esposte al rischio di diventare una periferia a minore valore aggiunto dei sistemi produttivi nordeuropei, dall’altro sono poste nelle condizioni di cogliere tutte le opportunità che il nuovo quadro dell’industria europea va configurando”.
“Infine – conclude il Censis – l’anno che si va chiudendo obbliga a rivedere le attribuzioni di ruolo, identità, funzioni e responsabilità dei soggetti del terzo settore: un po’ attori e progettisti dell’intervento sociale, un po’ ammortizzatori dell’inefficienza pubblica”.
Ma anche la sanità, nonostante gli sforzi immani compiuti, secondo il Censis si è “presentata all’appuntamento con l’emergenza del Covid-19 piuttosto fragile”.
“Non solo perché ha scontato una impreparazione sistemica rispetto alla prevenzione delle epidemie, ma anche perché – sottolineano i ricercatori Censis – nel tempo è stato minato nelle sue basi economiche e umane”.
Alcuni dati.Nel 2019 la spesa pubblica per la sanità ammonta a 116 miliardi di euro, quella pro capite a 1.922 euro. Per entrambe l’andamento nel decennio è stato negativo, con un calo in termini reali rispettivamente dell’1,6% e del 3,3%.
“L’esito- scrive il Censis – è un impegno pubblico nella sanità inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei” .Nel 2019 l’incidenza della spesa pubblica per la sanità sul Pil italiano è pari al 6,5%, contro il 9,7% in Germania (dato al 2018), il 9,4% in Francia, il 9,3% in Svezia, il 7,8% nel Regno Unito (dato al 2018). Al razionamento delle risorse economiche si aggiunge il mancato ricambio generazionale di medici e infermieri. Nel 2018 i medici impiegati nel Ssn erano 111.652, diminuiti di 6.410 unità rispetto a dieci anni prima (-5,4%), gli infermieri erano 267.523, scesi di 8.221 unità (-3%).
Rappresentazione e domanda soggettiva di salute dopo il Covid-19. Il Censis rileva che l’83,6% degli italiani ritiene che le persone abbiano rispettato le regole imposte nelle varie fasi dell’emergenza, con percentuali che restano elevate nel Nord-Ovest (83,1%), nel Nord-Est (85,3%), nel Centro (84,5%) e nel Sud (82,5%).
“L’emergenza sanitaria – scrive il Censis – ha segnato il ritorno di una idea di malattia che fa paura, rovesciando quella rappresentazione rassicurante che si era imposta di pari passo con l’invecchiamento della popolazione e con la cronicizzazione delle patologie”.
Il Rapporto segnala poi che il 65% dei cittadini pensa che la comunicazione sulle modalità di diffusione del virus, i dati sui nuovi contagi e i decessi abbia spaventato le persone senza renderle pienamente consapevoli di quanto stava effettivamente accadendo. Le percentuali arrivano al massimo tra i soggetti più vulnerabili: il 72,5% tra gli anziani e il 79,7% tra chi ha un basso livello di scolarizzazione.
Rischio generazione zero figli. Nel 2019 i nati in Italia sono stati 420.170: 148.687 in meno rispetto al 2009, il 26,1% in meno. “Gli italiani fanno sempre meno figli”, scrive il Censis, e “l’esito è un inverno demografico che sta progressivamente rimpicciolendo il Paese”: nel quinquennio 2014-2019 si registra oltre mezzo milione di abitanti in meno e il saldo naturale tra nascite e decessi nel 2019 ha raggiunto il record negativo di -214.000 unità (era -96.000 cinque anni prima). “Per le madri diventare genitore – osserva il Rapporto – significa dover sacrificare la propria realizzazione individuale, specialmente a livello professionale”: il tasso di occupazione delle madri 25-54enni è pari al 57%, quello dei padri 25-54enni è dell’89,3%.
Mai più senza assistenza socio-sanitaria integrata sui territori. Per il Censis, “il fallimento della residenzialità socio-sanitaria e socio-assistenziale per gli anziani è stato uno dei capitoli più drammatici dell’emergenza sanitaria”. E gli italiani, rileva il Rapporto, sembrano ben coscienti di ciò “se il 66,9% sapeva che tante case di riposo non garantivano agli ospiti adeguati standard di sicurezza e di qualità della vita”.
“Nel post Covid-19 – conslude il Censis – diventa prioritario attivare reti integrate di assistenza per affiancare le famiglie troppo spesso lasciate sole nell’assistenza di malati cronici o non autosufficienti. La soluzione passa attraverso la figura dell’infermiere di comunità o di famiglia. Ben il 91,4% degli italiani la ritiene la soluzione migliore per l’assistenza e la cura di persone bisognose di terapie domiciliari e riabilitative”.