Come usare il cibo affinché sia una medicina

Articolo del 22 Marzo 2022

Quante sono le cellule di cui è formato il nostro corpo? Naturalmente nessuno le ha  mai  contate  e  nelle  varie  stime  si  va  da  poco  meno  di  40.000  miliardi  a  circa  100.000  miliardi  per  un  uomo  adulto  di  70  chili.  Quanto  a  varietà,  ne  abbiamo  all’incirca 200.

Consideriamo che, solo per quanto riguarda la produzione di energia, ogni cellula può possedere al suo interno migliaia di mitocondri, organelli a forma di fagiolo che producono una molecola di una sostanza chiamata adenosina trifosfato (ATP) che perderà poi un atomo di fosforo e uno di ossigeno diventando adenosina difosfato (ADP), in questo modo liberando energia.

Il processo è chimicamente piuttosto complicato e a lui si deve il fondamento del nostro essere attivi.

Ma questo è solo uno degli aspetti chimici grazie ai quali viviamo. Il nostro corpo ospita  un  laboratorio  raffinatissimo  e  di  estrema  complessità  di  cui  siamo  ancora  lontani dal sapere tutto.

 

Microbiota: una popolazione di batteri

A  complicare  le  cose  c’è  quello  che  si  chiama  microbiota,  vale  a  dire  la  popolazione  di  batteri,  virus,  funghi,  protozoi  ed  elminti  che  noi  ospitiamo  in  tutto  il  nostro  organismo, dalla pelle al cervello e, soprattutto, nell’apparato digerente con il maggiore affollamento nell’intestino.

Parliamo di almeno un chilo e mezzo di ospiti. Un tempo si parlava di “flora intestinale” commettendo così un paio di errori: per prima cosa quegli esseri non sono vegetali e, dunque, non sono flora, e poi non abitano solo nell’intestino.

Un altro errore ora comune è quello di confondere le parole microbiota e microbioma. Il primo indica l’insieme dei microrganismi viventi e dei virus con cui viviamo in simbiosi, mentre il secondo termine, il microbioma, si riferisce al loro patrimonio genetico.

Questi ospiti ricevono da noi un luogo in cui abitare e cibo, restituendoci in cambio un’infinità di funzioni indispensabili senza cui ci si ammala fino, all’estremo, a morire.

Di questo si parlerà più in dettaglio un po’ di pagine dopo questa. È evidente che, per far funzionare una macchina come è la nostra, occorre carburante e, stante l’enorme varietà di congegni che, nel loro insieme, costituiscono l’intero meccanismo del nostro corpo, occorre un carburante (che non brucia!) fatto di carburanti che possono essere anche molto diversi tra loro.

Qui  daremo  solo  qualche  accenno  brevissimo  relativo  a  qualcosa  che  sarà  poi  trattato più a fondo.

Siamo fatti principalmente di acqua

Lasciando da parte l’ossigeno che introduciamo senza sosta e senza cui le speranze di sopravvivenza sono nulle, l’alimento fondamentale di cui non possiamo assolutamente fare a meno è l’acqua, e principalmente d’acqua noi siamo fatti.

Questo in una quantità che è circa l’80% del peso corporeo in un neonato per poi diminuire nel corso della vita. Quale sia la sua percentuale rispetto al peso totale del corpo è un valore che viene riferito in maniera diversa a seconda di come avvenga la valutazione.

Ma, lasciando da parte i cavilli e prendendo per buono che un adulto di 70 chili sia fatto per 42 chili d’acqua, 28 stanno all’interno delle cellule e il resto fuori di esse. L’organismo è programmato in modo da conservare senza troppe variazioni l’acqua extracellulare, cioè quella che sta fra cellula e cellula, e lo fa attraverso le funzioni dei reni, dell’apparato digerente,  dall’apparato  cardiocircolatorio  e  di  quello  respiratorio.

Le  nostre  perdite  d’acqua avvengono principalmente attraverso l’urina, le feci, il sudore e il vapore che emettiamo espirando, e l’organismo fa in modo di aumentare o ridurre quelle perdite in base all’equilibrio che deve essere mantenuto. I reni sono gli organi di gran lunga più impegnati in questo lavoro.

Ma, se le regolazioni possono intervenire riducendo le perdite, nulla possono, ovviamente, per quanto riguarda il rifornimento che deve necessariamente arrivare dall’esterno. Insomma, dobbiamo bere e, se beviamo poco, entreranno in funzione i sistemi di risparmio mentre, se beviamo in eccesso, partiranno i meccanismi di eliminazione.

La regolazione di questo bilancio è essenziale per la nostra sopravvivenza. Infatti, una anche relativamente piccola alterazione del bilancio idrico  può  determinare  una  differenza  importante  tra  le  osmolarità,  cioè  la  concentrazione  di  sostanze  disciolte  nei  liquidi  intracellulari  e  la  concentrazione  di  quelli  all’esterno delle cellule, e far variare il volume del sangue: condizioni che influenzano sia la vitalità della cellula sia la pressione sanguigna.

Ma anche troppa acqua fa male

Se è vero che di disidratazione si muore e la cosa non è poi così rara, anche troppa acqua fa guai. Bevendo una grande quantità di acqua distillata, per esempio, cioè priva di sali e, dunque, con una concentrazione di sostanze disciolte molto inferiore a  quella  che  è  all’interno  dei  globuli  rossi,  questi  si  rompono  e  si  ha  il  fenomeno  della cosiddetta emolisi. Occorre aggiungere un corollario cruciale: insieme con l’acqua di urina, sudore e feci sono eliminate tantissime scorie e, dunque, è più che opportuno che queste pos-sano essere diluite in maniera tale da rendere il più efficiente possibile il meccanismo.

Tradizionalmente alla base dell’alimentazione si pone la tripletta glucidi, lipidi e protidi. I glucidi, volgarmente carboidrati e, ancora più volgarmente, zuccheri, sono la classe di energetico principe dell’organismo almeno dal punto di vista della facilità con  cui  vengono  usati.  Spesso  li  si  sente  definire  come  combustibili  e  altrettanto  spesso si sente dire che il corpo “brucia” questo o quello.

Di fatto nessuna combustione avviene nell’organismo (se avvenisse ci sarebbe di che preoccuparsi) e l’energia è quella liberata da legami chimici che si rompono.

La loro composizione chimica elementale, cioè elemento per elemento, è molto semplice: carbonio, idrogeno e ossigeno in un rapporto 1:2:1. A seconda della loro costituzione si dividono in monosaccaridi, cioè fatti di una sola molecola come il glucosio  e  il  fruttosio;  disaccaridi,  vale  a  dire  fatti  di  due  molecole  unite  insieme  come il normale zucchero da cucina (saccarosio); e polisaccaridi, cioè composti fatti di almeno tre molecole come sono gli amidi.

I primi due sono chiamati spesso zuccheri semplici mentre i polisaccaridi sono detti zuccheri complessi. Per  ogni  grammo  introdotto  nell’organismo  i  glucidi  danno  appena  più  di  4  Calorie.

 

La grande e piccola caloria

Ora  facciamo  una  piccola  digressione:  in  fisica  la  caloria  (cal)  è  l’unità  di  misura  per la quantità di calore che serve a portare la temperatura di un grammo d’acqua distillata  da  14,5  °C  a  15,5  °C.  In  medicina  è  l’unità  pratica  che  misura  l’energia  fornita dagli alimenti all’organismo. Quando si parla di nutrizione si usa la cosiddetta grande caloria (Cal con la c maiuscola) o kilocaloria che indica una quantità di  energia  1.000  volte  superiore  alla  piccola  caloria  (cal).  Insomma,  invece  di  un  grammo d’acqua se ne scalda un chilo.

Tornando ai glucidi, muscoli e fegato (ma anche, seppure in misura minore, altri tessuti) sono capaci d’immagazzinarli sotto forma di glicogeno, cioè lunghe catene ramificate di glucosio, catene che, al bisogno, si degradano rilasciando il glucide di cui sono fatte, e quel glucide, cioè il glucosio, costituisce una fonte energetica prontamente disponibile, cosa ben nota agli atleti di lunga lena che cercano di costituire riserve che siano le maggiori possibili per essere poi utilizzate nel corso delle gare.

Frutta, verdura, miele e latte contengono glucidi semplici e così moltissimi prodotti industriali anche non strettamente classificabili come dolci. È cosa nota, infatti, che queste sostanze inducono una sorta di assuefazione, ragione per la quale li si addiziona in piccola quantità a prodotti come, ad esempio, gli hamburger, per far sì che il consumatore senta il desiderio di mangiarne ancora e si affezioni.

Gli  amidi  sono  catene  di  glucidi  complessi  e  in  questa  forma  i  vegetali  (es.  le  patate e i cereali) immagazzinano i loro zuccheri.

Glucidi complessi sono anche le cellulose, indigeribili per noi ma, unite alle cosiddette fibre, utilissime per la motilità dell’intestino e per la sua “pulizia”. Una volta ingeriti, la prima trasformazione può avvenire già in bocca. Un semplice esperimento alla portata di chiunque lo potrà dimostrare: se si mastica abbastanza a lungo un boccone di pane, il sapore diventerà dolce.

Questo perché la saliva ha liberato il glucosio dall’amido della farina. Ma i glucidi vengono tutti scissi in forma semplice nel primo tratto dell’intestino, quello detto tenue e dall’intestino passano nel sangue per arrivare al fegato dove sono tutti convertiti in glucosio.

 

Fonte: SC Scienza Conoscenza

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