Coronavirus, nuova variante in Gran Bretagna: oltre mille infezioni
Articolo del 15 Dicembre 2020
Al momento non ci sono prove che provochi una malattia più grave delle precedenti o che possa rendere inefficaci i vaccini. L’Organizzazione mondiale della sanità: monitoriamo la situazione. Nei mesi scorsi sono state individuate altre mutazioni.
Una nuova variante del coronavirus, associata a una sua più rapida diffusione, è stata identificata in Gran Bretagna. Nulla al momento suggerisce che possa causare sintomi più gravi o che i vaccini già in uso perdano di efficacia, ha assicurato il ministro della Sanità britannico, Matt Hancock. Circa mille infezioni causate dalla nuova variante sono state registrate da 60 diverse autorità sanitarie locali nel Sud Est dell’Inghilterra, area che da mercoledì sarà sottoposta in larga parte alle restrizioni di livello 3, le più rigide. E i numeri stanno crescendo rapidamente. «Dagli ultimi dati clinici appare che sia altamente improbabile che questa mutazione non reagisca a un vaccino — ha detto Hancock —, ma dobbiamo restare vigili e seguire le regole e tutti devono prendersi la responsabilità personale di non diffondere il virus».
Effetto su terapie e vaccini
«Bisogna comprendere il significato della variante in termini di contagiosità, ma anche di effetto su terapie e vaccini — ha commentato Mike Ryan, capo delle operazioni di emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) —. Sono state segnalate molte varianti diverse di coronavirus, questa sembra prevalente in Gran Bretagna. Ora le questioni sono: è diffusa a livello internazionale? Rende il virus più aggressivo? Interferisce con farmaci e vaccini? Al momento non abbiamo informazioni in questo senso, ma è importante studiare la mutazione per capire se è significativa». «Ad oggi non ci sono prove che si comporti in modo diverso dalle altre già note — ha aggiunto Maria Van Kerkhove dell’Oms, nel consueto briefing sulla pandemia —. La situazione viene monitorata dal Virus Evolution Working Group nel contesto delle mutazioni scoperte nei visoni in diverse parti del mondo».
La variante «D»
A giugno gli scienziati dello Scripps Research Institute in Florida avevano individuato una variante, significativa per la trasmissibilità di Sars-CoV-2, in un gene che codifica per la proteina spike (gene D614G). I ricercatori hanno dimostrato che questa mutazione ha l’effetto di aumentare notevolmente il numero di picchi (spike) “funzionali” (che possono penetrare nelle cellule) sulla superficie del virus: la conseguenza è che ogni particella virale è quasi 10 volte più infettiva, almeno in laboratorio, rispetto ad altri ceppi. Le analisi genomiche hanno mostrato che questa variante (chiamata ‘D’) è diventata dominante dopo l’avvio in Cina dell’epidemia e potrebbe spiegare perché il coronavirus si è diffuso così ampiamente in Europa, Stati Uniti e America Latina.
La seconda ondata
All’inizio di novembre un team internazionale di scienziati ha ricondotto l’origine della seconda ondata europea in Spagna, precisamente in un focolaio nato tra lavoratori agricoli e diffuso rapidamente da persone di ritorno dalle vacanze. L’analisi ha identificato una variante chiamata 20A.EU1, che si è diffusa rapidamente in gran parte dell’Europa e nel Regno Unito. Pochi giorni dopo l’attenzione si è spostata in Danimarca, dove il Governo ha fatto abbattere milioni di visoni in più di mille allevamenti. Motivo: la preoccupazione per una mutazione che ha infettato questi animali (e alcuni allevatori) e che potrebbe interferire con l’efficacia dei vaccini. La variante, rilevata in persone che avevano contratto l’infezione da visoni, sembrava estremamente preoccupante perché in grado di indebolire la formazione di anticorpi.
Adattamento all’ospite
Tutti i virus sviluppano mutazioni, cambiamenti nelle singole lettere del loro codice genetico che possono raggrupparsi in nuove varianti e ceppi. Aiutano a tracciare la storia di un virus a livello temporale e spaziale, ma sono varianti (almeno per il coronavirus) che non determinano per forza cambiamenti rilevabili nella trasmissibilità o patogenicità. L’obiettivo di un virus “intelligente” è adattarsi all’ospite per replicarsi, quindi un cambiamento relativo alla trasmissibilità è vantaggioso, mentre aumentare la letalità non aiuta il virus stesso nella diffusione visto che quando muore l’ospite sparisce anche il patogeno.
Fonte: Corriere della Sera