Coronavirus: quali misure aiutano davvero a ridurre il contagio? Lo studio su The Lancet.
Articolo del 03 Novembre 2020
I contagi aumentano, e si inizia a considerare l’ipotesi di chiusure di bar, ristoranti e negozi, almeno per quelle regioni in cui la situazione è più allarmante.
Ci si prepara a chiudere le scuole superiori e le seconde e le terze medie; alcune regioni, come la Campania e la Puglia, hanno scelto di chiudere le scuole già da un po’. L’assessore della regione Puglia Pierluigi Lopalco ha spiegato infatti che la scuola è un aggregatore sociale e “a prescindere se il contagio avvenga nelle aule o al di fuori di esse, rappresenta comunque un fattore facilitante per la diffusione del virus”.
La trasmissione del virus da individui asintomatici e la durata della contagiosità rendono comunque molto difficile capire quali siano i settori più a rischio e gli ambienti in cui il contagio è maggiore. Quale ruolo svolgono le palestre? E le scuole? I trasporti? Sono in corso numerose ricerche per capirlo, delle prime risposte provengono da uno studio internazionale pubblicato il 22 ottobre da The Lancet Infectious Diseases.
Lo studio
I ricercatori dell’Usher Institute, dell’Università di Edimburgo, hanno analizzato le misure adottate da 131 Paesi in tutto il mondo tra il 1 gennaio e il 20 giugno, proprio per capire quali fossero i provvedimenti più utili a ridurre l’indice di contagio.
Hanno usato un modello che correlava il numero di riproduzione di Sars-Cov-2 (il famoso R0), agli interventi presi nei vari Paesi. In sostanza hanno suddiviso i mesi in fasi, ogni fase corrispondeva al periodo in cui era in atto una misura particolare e hanno calcolato il rapporto R0 come il rapporto tra l’R0 quotidiano di ogni fase e l’R0 dell’ultimo giorno della fase precedente (per comparare una fase all’altra, quindi una misura all’altra). Questo rapporto diminuisce in modo sostanziale (dal 3% al 24%) dopo 28 giorni dall’introduzione della chiusura delle scuole, della chiusura dei posti di lavoro, del divieto di eventi pubblici e nel momento in cui si limitano i movimenti.
Entrando più nel dettaglio i ricercatori hanno osservato che vietare eventi pubblici e riunioni pubbliche di più di dieci persone era associato a una riduzione di R del 6% dopo 7 giorni, del 13% dopo 14 e il 29% dopo 28 giorni ; se si aggiunge la chiusura dei luoghi di lavoro,
la riduzione complessiva di R aumenta: è del 16% dopo 7 giorni, del 22% dopo 14 e del 38% dopo 28 giorni. Interventi che si avvicinano al lockdown invece ridurrebbero R del 35% dopo 7 giorni, del 42% dopo 14 e del 52% dopo 28.
Le scuole
“La chiusura delle scuole è stata ampiamente adottata in precedenza per controllare i focolai di influenza e le pandemie”, scrivono gli autori. Il ruolo dei bambini nella trasmissione di Sars-CoV-2, però, non è ancora chiaro. Uno studio condotto dalla Cina suggerisce che la chiusura della scuola da sola potrebbe potenzialmente ridurre il picco di incidenza del 40-60% e ritardare l’epidemia di Covid-19. Sulla base dei dati dello studio di The Lancet sembra che la chiusura delle scuole da sola potrebbe ridurre la trasmissione del 15% dopo 28 giorni e la riapertura potrebbe far aumentare la trasmissione del 24% (un effetto che si osserverebbe sempre dopo 28 giorni).
Questi dati vanno interpretati con le dovute precauzioni, come sottolineano gli autori stessi. Naturalmente l’analisi si basa sulle politiche di controllo e non sul comportamento effettivo della popolazione che probabilmente è cambiato nel tempo, con la crescente consapevolezza dell’importanza di indossare mascherine e adottare tutte le precauzioni consigliate per l’igiene personale. Inoltre le osservazioni non prendono in considerazione l’importante eterogeneità tra i diversi Paesi in termini di misure adottate e di modalità di accertamento dei casi. Per queste ragioni vanno considerate come un riepilogo generale che può contribuire ad informare i decisori politici. Di particolare rilievo, da considerare nell’adottare le misure, è l’osservazione che occorre un certo periodo di tempo (circa 28 giorni) prima che una misura possa avere l’effetto sperato.
Fonte: QuotidianoSanità.it