Covid, cosa sappiamo davvero della variante brasiliana e perché preoccupa così tanto l’Italia
Articolo del 19 Gennaio 2021
Il caso Manaus e quali possono essere le ricadute dirette sull’Europa e il nostro Paese. Le differenza tra questa mutazione e quella inglese e sudafricana.
Che il virus muti per sopravvivere è un fatto abbastanza normale, fanno sapere gli scienziati. «Tutti i virus mutano, e quello responsabile della Sars Cov-2 non fa assolutamente differenza» spiega Giovanni Di Perri, virologo e responsabile del reparto di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia di Torino. In Italia, la scorsa primavera, erano già stati isolati ben 13 ceppi virali, poi era emersa la mutazione DG614 reso il virus più contagioso. E’ indubbio, però, che qualcosa stia cambiando. Prima con la variante inglese, poi con quella sudafricana, infine con la mutazione cosiddetta brasiliana. Ma perché quest’ultima viene vista come particolarmente pericolosa?
Il virus e la mutazione giusta
Cercheremo di spiegarlo attraverso uno studio dell’Imperial College di Londra con l’Università di Oxford e di San Paolo. Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco e dell’università degli Studi di Milano la definisce così: «La variante brasiliana è una cosa pesante purtroppo». E spiega che «quello che è capitato a Manaus mette la pietra tombale sulla strategia di chi ha in mente di far circolare il virus indisturbato per arrivare a un’immunità di gregge a furia di infezioni». A Manaus, infatti, sarebbe accaduto questo: il virus è stato lasciato circolare liberamente permettendogli di infettare una percentuale importante di gente: molti sono stati così immunizzati, ma al tempo stesso «il virus ha sviluppato la mutazione giusta per tornare a essere in grado di colpire non solo quelli che non aveva ancora infettato, ma in qualche caso a quanto pare anche quelli che si erano già ammalati. E’ un elemento di notevole preoccupazione». La variante brasiliana (la B.1.1.28 (K417N / E484K / N501Y), ribattezzata P.1 mette a rischio l’efficacia dei vaccini? «Non lo sappiamo ancora» risponde Galli. Quello che è stato scoperto a Manaus, dove, appunto, il virus è circolato liberamente è che a novembre il lignaggio P.1 non era ancora presente: è stato riscontrato, però, nel 42% dei positivi a dicembre. Che cosa significa questo? Che la variante stia circolando in un posto dove si sarebbe dovuta raggiungere una certa soglia di immunità. La preoccupazione, insomma, è che la variante brasiliana possa “bucare” anche laddove l’infezione sia stata già riscontrata in precedenza.
Variante brasiliana, di cosa si tratta
Ma di che cosa parliamo quando tiriamo in ballo la variante brasiliana? Secondo lo studio dell’Imperial College in questo caso le mutazioni sono due: la B.1.1.28 (K417N / E484K / N501Y), ribattezzata P.1, e la B.1.1.28 (E484K) detta variante “sudafricana”. E’ una ulteriore mutazione che preoccupa perché sarebbe stata vista sfuggire agli anticorpi in alcuni studi. Il nuovo lignaggio P.1 trasporta 17 modifiche amminoacidiche uniche, 3 delezioni e 4 mutazioni e assieme alla variante “sudafricana” condivide tre posizioni di mutazione nella proteina spike, tra cui E484K. Secondo lo studio, le tre varianti, quella inglese, sudafricana e brasiliana si somigliano ma sarebbero nate in maniera del tutto indipendente. Nonostante ciò, in tutti e tre i casi, è stato dimostrato come i contagi siano aumentati rapidamente.
La storia degli anticorpi
Uno studio approfondito dell’Università di Siena dimostra come la variante brasiliana elude gli anticorpi. La mutazione E484K mostra infatti una riduzione di 10 volte della neutralizzazione da parte di vari anticorpi rispetto al virus “comune” in alcuni pazienti. Per studiare l’evoluzione della SARS-CoV-2 nella popolazione immunitaria è stato co-incubato un virus autentico con un plasma altamente neutralizzante di un paziente convalescente COVID-19. Il plasma ha neutralizzato completamente il virus per 7 passaggi, ma dopo 45 giorni ha trovato un altro passaggio. «Al giorno 73 – riporta lo studio – si è verificata una sostituzione E484K nel dominio di legame del recettore (RBD), seguita al giorno 80 da un inserimento nel loop NTD N5 contenente un nuovo sequone di glicano, che ha generato una variante completamente resistente alla neutralizzazione del plasma» Insomma, secondo lo studio dell’Università di Siena quella “strada” trovata dal virus modificandosi si è “espressa” al 73° giorno facendo emergere la mutazione E484K nel dominio di legame del recettore. La cosa che ha messo in allarme gli scienziati è che, in seguito alle mutazioni, il virus si sia mostrato, una settimana dopo, particolarmente resistente alla neutralizzazione del plasma.
Stop ai voli da Brasile
Un quadro del genere e in una situazione così delicata come quella che sta vivendo il nostro Paese, la presenza di questa variante particolarmente virulenta ha spinto il ministro Speranza a disporre, due giorni fa, il «blocco dei voli in partenza dal Brasile e il divieto di ingresso in Italia di chi negli ultimi 14 giorni vi è transitato». Per chi è già in Italia in provenienza dal Brasile sarà necessario segnalarlo e sottoporsi al tampone. L’aggressività della variante del virus scoperta in Brasile aveva già messo in allarme la Gran Bretagna, dove gli esperti hanno parlato di ben due mutazioni. Tanto che il governo, già alle prese con i danni provocati dalla variante inglese, ha disposto il divieto d’ingresso per tutti coloro che viaggiano dal Portogallo (porta dell’Europa per il Brasile) e dal Sudamerica.
Resistenza ai vaccini
Del caso si è occupata anche la rivista Science che ha posto un focus sul rapporto tra virus, mutazioni e vaccini. Per ora sembrerebbe che il vaccino sia in grado di respingere l’offensiva delle cosidette varianti. Lo ha sottolineato anche il vaccinologo Philip Krause, che presiede un gruppo di lavoro dell’OMS sui vaccini COVID-19. «La notizia negativa – riferisce Sience –, invece, è che la rapida evoluzione di queste varianti fa ipotizzare che possa nascere un fenotipo resistente al vaccino. E questo potrebbe accadere prima di quando immaginiamo». La biostatistica Natalie Dean dell’Università della Florida sottolinea invece quanto sia importante, in quest fase, vaccinare più persone possibili. Un’urgenza condivisa anche dal virologo tedesco Christian Drosten. Motivo: se emergono ceppi di Sars Cov-2 resistenti ai vaccini, la prima mossa da fare è quella di aggiornare i vaccini stessi.
Fonte: La Stampa