Covid. Crisanti: “Test antigenici rapidi non rilevano varianti”

Articolo del 28 Marzo 2021

Secondo lo studio “Emersione di varianti genetiche dell’antigene N SarsCoV-2”, pubblicato in questi giorni su medRxiv dai ricercatori del Dipartimento di Medicina Molecolare di Padova e condotto dal virologo Andrea Crisanti, i Test antigenici non rivelerebbero le varianti genetiche compromettendo quindi la capacità di utilizzare i test antigenici sia per la diagnosi che per i test di massa volti a controllare la trasmissione del virus.

Le varianti genetiche del virus Sars-Cov-2 rappresentano una grande minaccia per gli sforzi di vaccinazione in tutto il mondo, in quanto possono aumentare il tasso di trasmissione del virus e/o conferire la capacità al virus di sfuggire all’immunità indotta dal vaccino, con effetti a catena rispettivamente sulla soglia di immunità di gregge e sull’efficacia del vaccino.

Queste varianti riguardano la proteina Spike codificata dal gene S coinvolta nell’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite e il bersaglio principale dei vaccini. Tuttavia la presenza di varianti non riguarda solo la proteina Spike coinvolta nell’ingresso del virus nelle cellule ospiti ma possono interessare tutto il genoma del virus. In particolare, uno dei geni che presenta numerose varianti, anche leggermente più degli altri secondo le ultime stime, è quello che codifica per proteina ‘N’ del virus che è responsabile dell’impacchettamento del materiale genetico del virus e che viene chiamata, appunto, nucleoproteina.

Lo studio “Emersione di varianti genetiche dell’antigene N Sars CoV-2 che sfuggono al rilevamento dei test antigenici” pubblicato in questi giorni su medRxiv da ricercatori del Dipartimento di Medicina Molecolare di Padova dimostra come le varianti genetiche del gene N possano compromettere la capacità di utilizzare i test antigenici sia per la diagnosi che per i test di massa volti a controllare la trasmissione del virus.

La ricerca è stata condotta dal Prof. Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare (Dmm) dell’Università di Padova, dal Prof. Stefano Toppo (Dmm Unipd), dai dottori Annamaria Cattelan e Vito Cianci dell’Azienda Ospedale/Università di Padova.

In Italia, come in molti paesi europei, si spiega in una nota, i test antigenici stanno guadagnando molta popolarità grazie alla loro flessibilità e facilità d’uso e sono sempre più utilizzati per indagini di massa con lo scopo di diminuire la trasmissione del virus in grandi comunità. Dal giugno dello scorso anno alcune Regioni in Italia hanno progressivamente esteso l’utilizzo di massa del test antigenico con l’obiettivo di sostituire progressivamente i tamponi molecolari.

Durante la conduzione di un approfondimento diagnostico, prosegue la nota, è emerso che alcuni campioni di tampone che non risultavano positivi ai test antigenici mostravano un’elevata carica virale nei test Rt-PCR (test molecolari). L’analisi di sequenziamento dei virus che mostravano risultati discordanti nei test Rt-PCR e ai test antigenici ha rivelato la presenza di molteplici mutazioni distruttive nella struttura della proteina N (la proteina virale utilizzata per rilevare la presenza del virus nei test antigenici) raggruppate dalla posizione 229 alla 374, una regione nota per contenere le regioni chiave che permettono l’identificazione del virus in questi test. Una frazione rilevante delle varianti non rilevabili nel test antigenico conteneva le mutazioni A376T accoppiate a M241I.

“Ulteriori prove di laboratorio hanno inoltre dimostrato che questa problematica è comune a test antigenici sviluppati da diversi produttori – dice Crisanti – le sequenze di virus con queste mutazioni sono molto più frequenti nei campioni negativi ai test antigenici ma con PCR positiva e sono progressivamente aumentate di frequenza nel tempo in Veneto, una regione italiana che ha aumentato notevolmente l’utilizzo dei test antigenici raggiungendo quasi il 68% di tutti i test del tampone per Sars-Cov-2. Si ipotizza, quindi, che l’utilizzo di massa dei test antigenici rapidi possa involontariamente favorire la diffusione di varianti virali non rilevabili da parte di questi test contribuendo, così, alla loro libera circolazione e all’inefficacia del loro contenimento”.

“Questi risultati – spiega il Prof. Toppo – forniscono una prima prova che l’utilizzo di massa dei test antigenici per bloccare la trasmissione del virus favorisce la diffusione di varianti non rilevabili del virus come conseguenza della pressione di selezione esercitata dal test stesso. Questa conoscenza, mentre espande la nostra comprensione della plasticità del virus, fornirà il fondamento per implementare approcci migliori e più informati nell’utilizzo di test antigeni sia per la diagnosi che per gli approcci di controllo”.

 

FonteQuotidianoSanità.it

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